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No, gli USA non faranno mai e poi mai la fine della Grecia


EasyGoing
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No, gli USA non faranno mai e poi mai la fine della Grecia
di Matthew O'Brien

Non esistono evidenze per cui Paesi come gli USA fronteggino punti di non ritorno sul debito

Avete letto i quotidiani negli ultimi 3 anni? Si? Allora, non esiste chance migliore che voi non siate capitati in qualche analisi che prevedeva per gli USA la fine della Grecia.

Forse perché è da un po’ di tempo che… ricapitoliamo. La versione breve della storia prevede che finiamo in bancarotta. La versione lunga dice che troppo debito pubblico rende i mercati nervosi. Mercati nervosi richiedono maggiori tassi di interesse. Interessi più alti e crescita più debole, entrambi i quali si traducono in un debito più pesante. Il debito più pesante rende i mercati ancora più nervosi. E cosi ci avvolgiamo all’interno di un ciclo che ci conduce al fallimento.

Da quando esistono racconti spaventosi, questo è una di quelli dannatamente spaventosi. Ma è solo una favola. I tassi di interesse non sono saliti e lo stesso vale per il debito; sono caduti a livelli mai cosi bassi nella storia. Certamente, non hanno fermato i cori greci che predicevano come la nostra economia stesse andando verso Hades. Ma quando? Quando il debito raggiunge il 100% del PIL? O il 90%, come Carmen Reinhart and Kenneth Rogoff hanno affermato?

O l’80%?

Questa era la linea bianca disegnata su un recente paper da David Greenlaw, James Hamilton, Peter Hooper e Frederic Mishkin. Greenlaw & Co. Riguardava una regressione su 20 economie avanzate dal 2000 al 2011 per capire se ci fosse una relazione tra i costi per prendere in prestito e il debito pubblico di un determinato Paese, quello netto e le partite correnti medie a 5 anni comparate con le precedenti. (Glossario: debito lordo, si riferisce all’ammontare totale di debito, inclusi i debiti che il governo deve a se stesso. Il debito netto è l’ammontare tenuto dal pubblico, meno gli asset del governo. Le partite correnti rappresentano il saldo commerciale, che include le esportazioni nette, le importazioni nette e gli investimenti esteri).

Essi hanno trovato un collegamento. Secondo i loro calcoli, il coefficiente per il debito lordo e netto “era altamente significativo per entrambi”, e aumenti per entrambi i debiti dell’1% sul PIL avrebbero incrementato i costi relativi al prestito del 4.5%. Il coefficiente per le partite correnti era anche esso altamente significativo, e una diminuzione dell’1% delle partite correnti rispetto al PIL avrebbero fatto crescere i costi per l’indebitamento del 18%.

Questo è un grosso problema. Non che questa equazione regressiva abbia chi sa quale potere predittivo (gli autori ammettono che non lo ha) o che sopra il 4.5% tutti sono preoccupati; è la dichiarazione stessa secondo cui vale una relazione statistica significativa tra debito e tassi [ad avere una certa influenza, ndt]. Dopo tutto, se Greenlaw & Co. avessero ragione sul fatto che esiste un punto di non ritorno per il debito, allora noi siamo, tecnicamente parlando, fottuti. Il nostro debito/PIL è già al 102% [il riferimento è agli USA, ndt] – abbastanza per rendere i nostri costi per l’indebitamento crescenti, come loro hanno predetto sotto.

Se loro hanno ragione.

Loro non ce l’hanno.

PERCHÉ SIAMO SPECIALI.

[le cose stanno per diventare abbastanza complicate, cosi l'editore mi ha costretto a riassumere qualcosa qui. Le 2 conclusioni più importanti]

Non tutto il debito creato è uguale. Paesi che prendono in prestito nella valuta che controllano agiscono sotto un differente set di regole. Essi non possono mai finire i soldi per pagare i debiti, poiché possono sempre stamparne quanta necessitano in ultima istanza. Questo non è come dire che realmente lo fanno o che dovrebbero rivolgersi alla stampante per finanziare loro stessi. Però l’opzione di dichiarare di poterlo fare calma i mercati. Dopo tutto, l’inflazione è una perdita molto minore rispetto al default per i creditori. Questo è il motivo per cui è tutto complicato per le nazioni che non prendono in prestito nella valuta che emettono. Loro possono fare default. E questo è uno di quei casi dove le cose che si pensano possono accadere. Invece, come Paul De Grauwe ha sottolineato, Paesi che non hanno la loro propria Banca Centrale, come i membri dell’area euro, possono cadere vittime di crisi di panico auto-realizzate che li spingono in bancarotta. In altre parole, le forze di mercato spingono i tassi di interesse perché temono il default – che allora spinge loro realmente al default. Come se tutti andassero a ritirare i soldi in banca, ma la banca qui è uno Stato.

Rispondiamo a una questione importante. Quanto dei risultati di Greenlaw & Co. sono influenzati dai Paesi dell’area euro che hanno completamente dinamiche del debito differenti rispetto agli Stati non-euro?

Bene, come Paul Krugman ha sottolineato, 12 dei 20 Paesi osservati fanno parte dell’euro, o, come il caso della Danimarca, hanno agganciato la loro valuta all’euro. I rimanenti mostrano dinamiche diverse in merito al discorso del punto di non ritorno sul debito. Spesso dinamiche opposte. Questo è abbastanza semplice per permetterci di non rispettare il loro modello. Il grafico sotto mostra i livelli pre crisi dal loro campione, e mostra gli Stati non-euro in rosso, i Paesi dell’area-euro in verde, e i PIIGS in blue. Prima, almeno, non c’erano differenze tra loro, tranne per il Giappone, che aveva sia molto più debito sia costi per l’indebitamento minori. Né erano notabili relazioni significative debito-tassi di interesse.

Ma quando Lehman fallì, il mondo cambiò. I debiti aumentarono e i costi per l’indebitamento diminuirono, tranne per i PIIGS

Decisi di tornare indietro e vedere che tipo di risultati avrei ottenuto osservando i Paesi non-euro e i PIIGS separatamente. Iniziai tentando di ricreare i risultati di Greenlaw & Co. Per tutto il campione dei 20 Paesi nell’arco dei 12 anni considerati – che io ero in grado di elaborare, con qualche minima incongruenza dovuta all’utilizzo di diverse fonti (Non ho trovato i dati IMF sui tassi di interesse per ogni Paese di lungo termine, cosi ho usato quelli OECD per colmare i vuoti). Poi, ho costruito una regressione con gli effetti sui Paesi non-euro considerando una tabella temporale fissa — Australia, Canada, Giappone, Norvegia, Svezia, Svizzera, U.K., e U.S. — dal 2000 al 2011. Ho ottenuto i coefficienti di .00743, .00575, e -0.0695 per il debito lordo, debito netto e le partite correnti, rispettivamente. Nessuno di loro ha mostrato risultati rilevanti, cioè prossime al livello di 95%. (I valori P>t erano 0.13, 0.18, e 0.087).

In parole povere: la nostra equazione per i Paesi non-euro ci dice che un aumento del debito dell’1% sul PIL aumenta il costo dell’indebitamento solo dell’1.3%. E questo risultato, in realtà, non è statisticamente rilevante. In altre parole, non esiste evidenza di un punto di rottura sul debito per gli Stati che prendono in prestito la moneta che emettono.

Per quanto riguarda i problemi economici dell’Europa? I risultati Greenlaw & Co. Dovrebbero condurci li, e dove se no? Bene, in un certo senso. Ho costruito una regressione a intervalli temporali fissi per i PIIGS — Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, e Spagna — dal 2000 al 2011, e ho ottenuto i coefficienti di 0.0605, 0.0209, e -.8952 per il debito lordo, il deb
ito netto e le partite correnti. Il coefficiente per il debito pubblico e le partite correnti era statisticamente significativo (l’ultimo soprattutto), ma questo non vale per il debito netto dal momento in cui i PIIGS hanno più o meno lo stesso ammontare di debito netto e lordo. (I valori P>t erano 0.046, 0.342, e 0). Sono tornato indietro per creare un’altra regressione, questa volta senza considerare il debito netto e ho ottenuto i coefficienti 0.0843 e -0.9157 per il debito pubblico e le partite correnti. Entrambi i dati sono significativi. (I valori P>t erano 0 per entrambi).

Traduzione: la nostra equazione per i PIIGS ci dice che un aumento del debito dell’1% sul PIL aumenta i costi per l’indebitamento dell’8.4% — ma un incremento del deficit delle partite correnti dell’1% induce un aumento dei costi per l’indebitamento del 91%! I PIIGS hanno un serio problema, il problema è quello di prendere troppo in prestito dagli stranieri e non dal fatto che un governo si indebiti troppo in generale. Certamente, queste non sono novità Paul Krugman, tra gli altri, ha mostrato per anni come la crisi dell’euro sia in realtà una crisi della bilancia dei pagamenti che però sembra una crisi del debito a causa della moneta unica.

***
Attenzione economisti che non sopportate le regressioni – stesso discorso per i giornalisti.
La dimensione del mio campione era talmente piccola che i risultati sono a malapena presentabili. Cosi non poni l’attenzione all’evidenza. Concentrati sulla mancanza di evidenze.

Non esiste evidenza alcuna che gli U.S., o qualsiasi altro Paese che prende in prestito nella stessa valuta che controlla, possano fronteggiare problemi di non ritorno del debito nel momento in cui i costi per l’indebitamento andassero fuori controllo. Allo stesso modo non ci sono evidenze che questo sia vero per le traballanti economie europee. I costi per l’indebitamento sono diminuiti per i PIIGS nel 2012 (un anno dopo la conclusione dello studio di Greenlaw & Co.), non perché queste nazioni avessero ridotto il debito, ma perché la Banca Centrale Europea promise di fare “whatever it takes” [qualsiasi cosa, ndt] per salvare l’euro. Uno scudo monetario è più importante di qualsiasi ammontare del debito. La riduzione del debito non è empiricamente urgente come vogliono farci credere.

I cori greci assomigliano più a piccoli pulcini piuttosto che a Cassandra.

Link con i grafici qui : http://memmt.info/site/no-gli-usa-non-faranno-mai-e-poi-mai-la-fine-della-grecia/


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