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Quelle morti in carcere di cui non parla quasi nessuno


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Elezioni in primavera o no, la propaganda elettorale è già iniziata: e quando si cercano i consensi, si sa, è meglio non parlare di carcere, di 54 suicidi in meno di un anno, di 5 giovani impiccati in una età compresa tra i 22 e i 27 anni in meno di dieci giorni; o di tre ergastolani attivi nel comitato per l’abolizione dell’ergastolo trasferiti dal carcere di Spoleto (chiediamo ufficialmente al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il perché di questo trasferimento che ci appare punitivo).

E a pochi giorni dall’anniversario della morte di Stefano Cucchi, è meglio non parlare della morte di Simone nel carcere di Belluno. Le (scarse) cronache della scorsa settimana parlavano della solita overdose. Poi addirittura il consigliere regionale della Lega Toscani ha dichiarato: «L’aggravamento delle condizioni di salute del giovane detenuto non sono riconducibili in alcun modo all’assunzione di sostanze stupefacenti». Ma oggi Simone non c’è più.

Intanto Christian Bianchini, un detenuto del carcere di Taranto di 28 anni, da tempo affetto da tumore al fegato, ha ottenuto da più di 40 giorni l’autorizzazione al ricovero in una struttura ospedaliera a Palermo, ma la mancanza di fondi per il trasferimento del detenuto e la burocrazia ottocentesca dell’amministrazione penitenziaria gli impediscono di vedersi garantito il diritto alla salute, se non alla vita.

Una vita, quella reclusa, trascorsa nel sovraffollamento terzomondista che attanaglia le patrie galere
(quasi 69mila detenuti in spazi che dovrebbero contenere 43mila persone, con una media di tre mq a detenuto), dimenticando che il carcere è uno spazio della nostra società dove non possono essere inflitte pene contrarie al senso di umanità.

Bene ha fatto allora il magistrato di sorveglianza di Firenze, Stefano Tocci, ad accogliere il reclamo presentato dai detenuti di Sollicciano sulla messa in mora dell’amministrazione penitenziaria del carcere fiorentino che non garantisce i diritti minimi (a partire dal diritto alla vita, alla salute e alla dignità). Anche noi, nel nostro piccolo, con i nostri consiglieri regionali, insieme ad Antigone e ad altre realtà della società civile, abbiamo messo in mora le pubbliche amministrazioni di mezza Italia (comuni, regioni, Aassll), perché non dimentichino le carceri.

Finora le uniche risposte sono arrivate dal Comune di Firenze e dalla Regione Piemonte, ma non demordiamo.
Anche se siamo consapevoli che le amministrazioni locali poco possono fare (ma, almeno quel poco, devono farlo, almeno nominando Garanti locali imparziali ed attribuendo agli stessi poteri effettivi) a causa dei tagli indiscriminati che hanno subito nelle ultime finanziarie.
Così come possono fare gli operatori della giustizia (a partire dal personale amministrativo in protesta per i tagli al personale e alle risorse subiti) di fronte ad un tasso di incarcerazione nazionale che, come hanno ricordato di recente i Garanti locali dei detenuti, anche essi in protesta, è pari al 42 % a fronte di una media europea del 24%, con Germania e Inghilterra al 15%.

Dunque, se non si inverte la tendenza politica che dagli anni Novanta in poi ha operato sotto l’insegna dell’ipertrofia legislativa e della bulimia carceraria, se non torniamo a pensare, almeno a sinistra, che il vero senso dello Stato è la prevenzione del crimine e del disagio, è la promozione delle politiche sociali per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione), non risolveremo mai il dramma del carcere e del disagio sociale e non saremo mai competitivi ed alternativi a quelle fabbriche della paura di destra che, invano, nelle elezioni della seconda repubblica il centro-sinistra ha sempre cercato di simulare.

Come ha ricordato Patrizio Gonnella sul manifesto del 12 ottobre “Il sovraffollamento carcerario, la violenza istituzionale, la carcerazione di massa del disagio sociale non sono eventi naturali. Sono il frutto di politiche pubbliche scellerate decise per ottenere consenso”.

Contro di esse le opposizioni devono (dobbiamo) fare un cambio di passo. Dobbiamo in primo luogo interloquire con le altre forze democratiche del Paese per capire se abbiamo o meno la stessa idea di giustizia, della pena e, più in generale, la stessa idea sul rapporto intercorrente tra politiche sociali e politiche criminali.
Per non farci cogliere impreparati, come avvenuto nella scorsa legislatura. Dove saggiamente abbiamo approvato un provvedimento di indulto, ma non lo abbiamo sostenuto con politiche legislative che statuissero il ritorno dallo stato penale allo stato sociale, al sogno dell’eguaglianza sostanziale, al sogno di una società diversa e possibile.

Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro
Fonte: www.liberazione.it
15.10.2010


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Anonymous
Illustrious Member
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èh... ci sono ben' altri problemi da affrontare...tipo i giudici comunisti...


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