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Se se magna la vita !


Anonymous
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Alda Merini visse a lungo dimenticata la sua povertà e le sue sigarette, passeggiando per Milano anonima tra i tanti, o accudita da chi non ha dovuto attendere la sua morte per sapere di quanta dolorosa e candida arte avesse prodotto con le sue poesie, che molto mi hanno insegnato. Quando finalmente il suo viso che aveva i segni della sofferenza venne sbattuto in TV, e i suoi vestiti a fiori divennero familiari ai tanti spettatori, che ebbero più curiosità della sua presunta pazzia che non della sua sensibile bravura, dopo anni e anni ricevette il sussidio della legge Bacchelli, che è commisurato alle esigenze dell’artista che ne fa richiesta, se indigente. Per fortuna Alda Merini tornò ad essere anche una poetessa (succede quando la TV fa l’onore di farti esistere) e forse gli ultimi anni della sua vita furono meno duri e faticosi.

Ne ricordo eccome, poesie della Merini. Ne ho alcune dentro.

Ora è il turno di Califano. Indigente, si dice, con ventimila euro all’anno, perché i soldi che ha guadagnato in una vita se li è magnati, scopati o sniffati. Sono bastati due articoli di giornale, i racconti di una vita dissipata passata tra grandi alberghi, attrici, mignotte e macchine, per smuovere il mondo che può aiutarti a vivere, dopo che ti sei fratturato tre vertebre.

Di Califano ricordo la parodia di qualche sua canzone riattata per essere consona al personaggio, che a me un po’ di senso dello squallore l’ha sempre dato. Ho due ricordi fermi di lui: la volta che sfrecciando come un burino in via del Colosseo, a bordo ella sua Ferrari rischiò di spalmare sui sanpietrini una comitiva di giapponesi che mi stava avanti, all’altezza dell’ingresso della metro, perché intento a salutare con i suoi modi da cafone arricchito, tre ragazze americane che gridavano: “Ferariferariferai”. Poi un’intervista che per quanto non mi ricordi dove la sentii, mi restò comunque dentro anche se non allo stesso modo e nello stesso posto di una poesia della Merini, in cui il cantante spiegava come fosse normale, per un uomo, pisciare nel lavandino.

La legge Bachelli va in soccorso di quei personaggi che si sono distinti nel mondo della cultura, dell’arte e dello sport che vivono momenti di indigenza, leggo su Wikipedia. E a misurare la solerzia dell’interessamento del ministro (sic!) bondi, forse bisognerebbe aggiungere anche, in soccorso immediato di tutti coloro che hanno dimostrato di essere vicini al pensiero imposto dal regime, dato che l’indigenza ha poco a che fare con chi dice di guadagnare ventimila euro all’anno, ovvero molto più di quanto prenda un pensionato, uno schiavo o un precario.

Sarebbe fin troppo semplice cadere nel tranello di paragonare l’aiuto di stato a Califano con i tagli di stato verso i malati, i disabili, i bambini down, o le famiglie che quotidianamente devono combattere in solitudine contro uno stato che non esiste e non assiste.

Ho pensato molto in questi giorni in cui ho dovuto persino imparare ad alzarmi dal letto da sola, inventarmi un trucco per infilarmi le scarpe, stare attenta a che le mutande non cadessero troppo in basso da non poter essere recuperate, o attendere che un’anima buona passasse da qua per aiutarmi a lavarmi, che ci sono persone che in questa condizione ci vivono e ci vivranno per sempre, stando in attesa di chi le porti da mangiare o semplicemente si ricordi della loro esistenza. Alla solitudine della malattia che fa compagnia solo alla povertà. Ho pensato a quelle persone che con le piaghe sulla pelle muoiono sole nei loro letti maleodoranti, magari dopo una vita che non si sono potuti “magnare”.

Rita Pani (APOLIDE)

http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/


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