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Sinistra antipatica? Ma politica non è solo sorrisi


Tao
 Tao
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«Sì, la sinistra è antipatica ma la politica non è solo sorrisi»

L’ULIVO MANCA DAVVERO DI UN SENSO COMUNE? «RESET» INTERROGA IL GIORNALISTA-SCRITTORE Michele SErra

RESET: «Il punto chiave del libro di Ricolfi, quando parla di antipatia, è questo: l'antipatia è la risposta, fatta di linguaggio confuso e supponente, che nasce dall'assenza di una visione chiara, comune e condivisa. La chiarezza e la semplicità diventano fonte di divisioni. Parlar chiaro sembra produrre il risultato opposto a quello desiderato; su una scelta chiara si scompongono le file, chi va di qua chi va di là».

SERRA: «Simpatia e antipatia sono concetti molto impolitici e non mi sembrano il punto di partenza migliore per instradare una discussione né sul senso comune né sulla questione delle famose identità. Nella società di massa o dello spettacolo, simpatia può essere anche sinonimo di ruffianeria o demagogia. Può anche voler dire tentare di accattivarsi il «senso comune» del paese, dicendo cose genericamente piacevoli e ottimiste, il famoso lisciare il pelo. Lo stesso vale per il concetto di antipatia: per fare un caso estremo, Pasolini non era simpatico. Un intellettuale che, per suo ruolo e sua funzione, “rompe le scatole” e dice le cose che non vanno ed esercita una funzione critica raramente è un buontempone. È questo il vero punto debole del ragionamento di Ricolfi. C'è una grande confusione riguardo a questi argomenti. È nel gioco delle parti che la sinistra, da sempre e come sua ragione fondante, possa dire anche delle cose sgradevoli. Cosa vuol dire antipatia e simpatia?».

RESET: «Questa è una critica all'uso dei concetti di simpatia e antipatia. Va bene, ma l'esempio di Pasolini non funziona. Qui non stiamo parlando di intellettuali, stiamo parlando di una proposta, di una “offerta” politica».

SERRA: «Mi spiego meglio: non credo che la sinistra possa migliorare la sua “offerta politica” dicendo cose più simpatiche. Penso che insistere su questo aspetto molto epidermico, secondo il quale la sinistra ha la puzza sotto il naso e parla sempre di cultura mentre la destra è allegrotta e parla sempre di sesso, sia sintomo di un abbassamento penosissimo del livello del dibattito. Non penso che le differenze tra destra e sinistra siano queste: ma se anche lo fossero, non è affatto vero che l'opinione pubblica in senso lato sia così stupida da confondere il senso critico con l'antipatia o le “balle” demagogiche con la simpatia. Fassino che va dalla De Filippi è simpatico? A me non è simpatico. Penso invece che sia uno sforzo insincero di simpatia. È un travestimento. Sono i famosi responsabili dell'immagine che credono di poter vestire di simpatia la sinistra mandando Fassino ad abbracciare la sua tata. Conosco parecchia gente disturbata da questo episodio, ed è tutta gente che sa benissimo che la diversità non è quella mitica dei tempi del Pci: però le differenze reali esistono. E rispecchiano una differenza, una spaccatura che c'è anche nel paese. È vero che purtroppo ci sono due Italie: non è un'invenzione. Certo, non bisogna dirlo in modo stupido, schematico o moralista. Le carte sono molto mescolate e andrebbero mescolate anche di più, ma resta l'evidenza delle diverse sensibilità, dei diversi metri di giudizio».

RESET: «Se ci sono due Italie ci sono allora anche differenze di carattere sociale e culturale. Questo vuol dire che la capacità di entrare in sintonia è un tema legittimo: possiamo allora scartare i termini simpatia e antipatia, resta però la necessità di esaminare la questione dell'entrare sulla stessa lunghezza d'onda psicologica dell'elettorato».

SERRA: «Capisco perfettamente. La classe dirigente della sinistra si rivolge a una società molto più complicata e frastagliata di prima, ed è necessario uno sforzo per farsi capire da tutti, anche da chi non ti vota. Ma nella comunicazione è fondamentale la credibilità di chi comunica. Berlusconi è esplicito ed efficace quando dice: siamo ricchi e stiamo bene perché ci sono molti telefonini e molti televisori. Dice qualcosa che si inscrive perfettamente nella mentalità del consumismo soddisfatto, del suo “zoccolo duro”. Allo stesso modo, se la sinistra è convinta che non si misuri il benessere di una società attraverso i telefonini e i televisori, deve dirlo. A patto che ne sia veramente convinta, però: penso, per esempio, a questioni come l'alta velocità, sulla quale non mi sembra che le idee siano chiare. «Una parte pensosa e combattiva del pensiero economico contemporaneo ritiene che il concetto di quantità sia insufficiente e deleterio, che qualità e costi ambientali siano parametri forti e fondamentali per capire lo sviluppo, indirizzarlo o magari cambiarlo. Lo so, è un pensiero forte, difficile da comunicare, perché si rischia sempre di cadere nella vecchia immaginetta della Cassandra che annuncia la malora, la vulgata fastidiosa dell'ambientalismo piagnone. Ma il dilemma è realissimo, e urgente: o hanno ragione Rifkin e Amartya Sen e il modello di sviluppo ha qualcosa di strutturalmente pericoloso, oppure no, va bene così. «Non c'è scampo, su certe grandi questioni bisogna scegliere: non è solo un problema di comunicazione, è anche un problema di cultura e di identità di una parte politica. Mi sembra, invece, che tutto o quasi sia ridotto a marketing politico e comunicazione. Penso ai famosi consulenti per l'immagine: per aiutarli a fare meglio il loro lavoro, ogni tanto dovrebbero ricordarsi del vecchio, indispensabile concetto di giusto o sbagliato. Se qualcuno decide che una cosa è sbagliata, lo deve dire: in modo non arrogante, in modo non iettatorio, ma lo deve dire. Altrimenti la sua funzione politica è del tutto inutile».

Fonte: www.lastampa.it
19.01.06


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