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Un golpe istituzionale?


gelsomino
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Napolitano sta attuando un golpe istituzionale ? Non si dimette ma non dà a nessuno l'incarico di formare un nuovo governo, lascia in carica il governo Monti ad libitum e forma due "gruppi ristretti" di persone scelte non si sa da chi e con quale legittimazione che elaboreranno proposte di legge. La domanda quindi sorge spontanea: il Parlamento cosa sta a fare? Perchè abbiamo votato?


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Masaccio
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Riporto il commento di un utente del Fatto Quotidiano. Che ne pensate?

Da studente di giurisprudenza non posso che ravvisare oggettivamente due elementi di assoluta novità che entreranno (forse) nelle future prassi costituzionali qualora tali elementi si consolidassero:

1) Il Presidente Napolitano ha riconosciuto la totale legittimità del governo dimissionario e fiduciato dal parlamento precedente ad operare anche senza il supporto fiduciario del parlamento attuale.

Per me è una grossa novità e accoglie un'istanza e un dubbio proposto dal mio libro di diritto costituzionale sul concetto di ordinaria amministrazione.
In genere dovete sapere che si dice che il governo dimissionario ha il ruolo di gestire solo l'ordinaria amministrazione e gli affari correnti, come spesso si riempono la bocca diversi osservatori e gionalisti... peccato che spesso e volentieri è IMPOSSIBILE stabilire cos'è ordinaria amministrazione e amministrazione sostenuta da fiducia parlamentare, poiché i provvedimenti assunti dai vari ministeri e dai vari dirigenti sono inevitabilmente decisioni politiche.

Stabilire se fare x piuttosto che y è una decisione politica, sempre. A maggior ragione in un contesto come quello attuale, particolamente complesso e esacerbato da una crisi tragica e dilagante, si rende assolutamente indispensabile che un governo lavori e tanto. Se vogliamo essere cavillosi il decreto sul pagamento dei debiti delle PA alle imprese non sarebbe legittimo perché il governo non è stato fiduciato dall'attuale parlamento... eppure tale decreto arriverà in parlamento per essere votato proprio come se tale provvedimento fosse stato presentato da un governo fiduciato.

Questo dimostra che il diritto non è materia cristallizata, ma si evolve in base agli eventi.
Riconoscere e ampliare i poteri di un governo in prorogatio non è cosa da poco, e chissà che in futuro non verrano ulteriormente ampliati.

2) Il secondo elemento di rilievo è l'introduzione di una commissione presidenziale di non si sa quante personalità, nominata dal capo dello stato al fine di sedersi attorno ad un tavolo e formare un programma di governo tale da trovare la fiducia di governo.
al momento non c'è un incarico, non un pre-incarico, non un mandato esplorativo.
Ecco, questo va ben al di là di quelle che erano le prassi e dettati costituzionali ed è l'ennesima conferma di quanto dicevo prima che il diritto si trasforma senza essere formalmente trasformato.

Attenzione: non sto dicendo che è incostituzionale, sto dicendo che il diritto si evolve... e sono due cose ben diverse.


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gelsomino
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Riporto il commento di un utente del Fatto Quotidiano. Che ne pensate?

Da studente di giurisprudenza non posso che ravvisare oggettivamente due elementi di assoluta novità che entreranno (forse) nelle future prassi costituzionali qualora tali elementi si consolidassero:

1) Il Presidente Napolitano ha riconosciuto la totale legittimità del governo dimissionario e fiduciato dal parlamento precedente ad operare anche senza il supporto fiduciario del parlamento attuale.

Per me è una grossa novità e accoglie un'istanza e un dubbio proposto dal mio libro di diritto costituzionale sul concetto di ordinaria amministrazione.
In genere dovete sapere che si dice che il governo dimissionario ha il ruolo di gestire solo l'ordinaria amministrazione e gli affari correnti, come spesso si riempono la bocca diversi osservatori e gionalisti... peccato che spesso e volentieri è IMPOSSIBILE stabilire cos'è ordinaria amministrazione e amministrazione sostenuta da fiducia parlamentare, poiché i provvedimenti assunti dai vari ministeri e dai vari dirigenti sono inevitabilmente decisioni politiche.

Stabilire se fare x piuttosto che y è una decisione politica, sempre. A maggior ragione in un contesto come quello attuale, particolamente complesso e esacerbato da una crisi tragica e dilagante, si rende assolutamente indispensabile che un governo lavori e tanto. Se vogliamo essere cavillosi il decreto sul pagamento dei debiti delle PA alle imprese non sarebbe legittimo perché il governo non è stato fiduciato dall'attuale parlamento... eppure tale decreto arriverà in parlamento per essere votato proprio come se tale provvedimento fosse stato presentato da un governo fiduciato.

Questo dimostra che il diritto non è materia cristallizata, ma si evolve in base agli eventi.
Riconoscere e ampliare i poteri di un governo in prorogatio non è cosa da poco, e chissà che in futuro non verrano ulteriormente ampliati.

2) Il secondo elemento di rilievo è l'introduzione di una commissione presidenziale di non si sa quante personalità, nominata dal capo dello stato al fine di sedersi attorno ad un tavolo e formare un programma di governo tale da trovare la fiducia di governo.
al momento non c'è un incarico, non un pre-incarico, non un mandato esplorativo.
Ecco, questo va ben al di là di quelle che erano le prassi e dettati costituzionali ed è l'ennesima conferma di quanto dicevo prima che il diritto si trasforma senza essere formalmente trasformato.

Attenzione: non sto dicendo che è incostituzionale, sto dicendo che il diritto si evolve... e sono due cose ben diverse.

Non hai detto che è incostituzionale ma nemmeno che sia costituzionale. Il diritto si evolve? Dipende dai punti di vista: anche le guerre si evolvono.


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aristanis
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a mio modesto parere, ciò che sta succedendo oggi è un esempio perfetto di come alle persone che assistono a tutto ciò non importa nulla del diritto. nessuno si fa domande su cosa sta accadendo, se ci sono delle norme dietro a legittimare ciò che napolitano sta facendo.

questo avviene anche per quanto riguarda la Commissione Europea, la BCE, altre istituzioni che il cittadino comune ritiene legittime dal punto di vista della sovranità che gli stati cedono ad esse, anche nei libri universitari sembra tutto normale, nonostante ti facciano intravedere elementi di grave illegittimità, ma tanto manco lo studente si pone il minimo dubbio, tutto è normale.

anche oggi, per chiunque tutto è normale. La lezione che ho imparato oggi è PER CERTE COSE IL DIRITTO NON CONTA NULLA. CI SARANNO SEMPRE DOTTRINE E GIURISPRUDENZE AFFERMATE O NO, CORRENTI DI PENSIERO GIURIDICO, CHE TANTO CI SI POTRà APPIGLIARE AD ESSE PER FAR APPARIRE TUTTO LEGITTIMO A SECONDA DI COME SI VOGLIA VADANO LE COSE.

con la mossa di oggi abbiamo un presidente della repubblica in semestre bianco che nomina 10 persone tutte legate ai partiti, di cui manco una legata al movimento 5 stelle, quindi persone che non hanno il minimo potere di rappresentanza del popolo italiano che si è d'altronde espresso da poco alle urne.

io non sono esperto di diritto pubblico e costituzionale, ma non mi pare vi siano precedenti. D'altronde, altre volte è successo che per altre questioni simili non vi fossero precedenti storici o leggi che permettessero certe azioni, ebbene il diritto NON CONTA perchè se si vogliono fare certe cose, le si faranno.

quel che resta, nascosto abilmente dalle tv per questi ultimi mesi,a partire dalle dimissioni di monti, è proprio MONTI,non vi siete accorti che nessuno più ne parlava? una bella inculata riproposta da Napolitano: ci ricorda che Monti pur dimessosi, è in carica, ha poteri, per 4 mesi nessuno ce lo ricordava, e ora tutti lo danno per scontato, che lui c'è. pure Becchi diceva che monti non serviva,un nuovo governo non serviva, e tutti a dire che ra un folle.invece ora ce lo hanno ricordato,che monti c'è, e non è che però ascoterà il parlamento,no,lo guiderà,insieme ai 10 scelti da napolitano. una bella inculata.
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chi sono queste persone?

questo articolo dice qualcosa( http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/30/napolitano-sceglie-dieci-saggi-per-riformare-paese-ma-vince-vecchia-politica/547569/), MA non dice molte altre cose risapute:

Napolitano sceglie 10 saggi per riformare il Paese, ma vince la vecchia politica

Altro che dieci “saggi”. Quelli che ha tirato fuori Napolitano dal cilindro per scrivere la road map di riforme essenziali per il Paese sono i soliti noti. Forse il peggio dei soliti noti, se possibile. Eppure, sorprendentemente, saranno loro a dover costituire il “tesoro” di idee e provvedimenti su cui il prossimo Presidente della Repubblica si dovrà basare per formare (forse) un nuovo governo. C’è di che restare senza parole. Sono nomi che rappresentano gli assi portanti di quell’antico sistema politico e istituzionale che ha portato l’Italia nel baratro in cui si trova oggi. Lentamente ma sistematicamente. E adesso siamo di nuovo nelle loro mani.

A destare scandalo è soprattutto la commissione cosidetta “politico-istituzionale”. E fatto salvo il nome di Valerio Onida, costituzionalista di area piddina, sugli altri corre rapido un brivido lungo la schiena. A partire da Luciano Violante, con tutto il suo passato partitocratico alle spalle, simbolo della storia più antica (e non sempre limpida) del Nazareno (ma nel suo caso si potrebbe parlare meglio di Botteghe Oscure). E poi Mario Mauro, uomo di Monti (e di Cl vicinissmo a Roberto Formigoni) che qualcuno voleva a presidente del Senato al posto di Pietro Grasso, di cui non si ricordano negli anni particolari exploit legislativi nel segno del cambiamento.

Ma soprattutto Gaetano Quagliariello, ex vicecapogruppo del Pdl al Senato, uomo delle leggi ad personam di Silvio sulla giustizia, dunque personaggio di stretta osservanza berlusconiana, primo tra i soldati di prima fila del Cavaliere e (anche lui) personalità su cui l’intero centrodestra si sarebbe speso per fargli avere una carica istituzionale. Dopo quello che ha fatto per loro. E per il suo Capo. Ecco, Mauro è l’uomo di un Monti che continuerà a governare l’Italia nonostante i disastri economici e le figuracce cosmiche internazionali (i Marò) e Quagliariello è un portabandiera di Arcore. Davvero non c’era nulla di meglio sul mercato? Davvero è questo la summa della intellighenzia politica che Giorgio Napolitano ha saputo esprimere in un momento tanto drammatico per la democrazia? Cosa potranno mai studiare di nuovo queste cariatidi politiche del sistema? Che avranno mai da tessere e rinnovare elementi che mai sarebbero stati eletti davvero dal popolo se non ci fosse stato il Porcellum? L’unica cosa che possono partorire, a ben guardare, è un inciucio codificato sotto forma di programma da servire freddo sul piatto del prossimo presidente della Repubblica come unica via per avere un nuovo governo. D’inciucio, s’intende, non certo di rinnovamento.

Ma anche l’altra commissione, quella chiamata a studiare le emergenze economiche e sociali del Paese, non è meno inquietante. Si parte da Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, istituto che continua a fotografare lo stato del Paese senza aver mai suggerito una misura utile al suo sviluppo neppure per sbaglio e di Giovanni Pitruzzella, presidente del’autorità garante della concorrenza e del mercato, istituto abbastanza inutile se si considera che in Italia, com’è noto, non c’è una legge sul conflitto d’interessi degna di questo nome, per cui l’operato del Garante è stato fino a oggi abbastanza oscuro. Ma si resta ancora senza parole quando lo sguardo arriva ai nomi di due degli altri membri della commissione; uomini strettamente legati uno a Monti e l’altro alla storia del Pci, ovvero ministro Moavero Milanesi e il senatore Filippo Bubbico. E che anche il terzo, Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca D’Italia, è “cresciuto” dopo l’entrata in scena del governo Monti. Insomma, il “sistema” al potere che viene chiamato a rinnovare se stesso. Un paradosso

Napolitano, proponendo questi nomi, ha certamente deluso le aspettative di chi, soprattutto tra i giovani della politica anche in Parlamento (e non stiamo parlando solo dei grillini) si aspettavano una scossa. Invece, Napolitano oggi è tornato ad essere quel “Mofeo” di grillesca memoria, che trovandosi nell’impossibilità di fare alcunchè per partorire un nuovo governo, ha deciso di “addormentare” il sistema con questa sorta di “bicamerale ghiacciata” composta da chi, come si diceva, è in alcuni casi l’emblema di tutti ciò che gli italiani vorrebbero lasciarsi alle spalle. Insomma, il capolavoro di Napolitano è questo: Monti resta al suo posto (e chissà per quanto tempo) e per il resto è stata mandata letteralmente la palla in tribuna, fermando il gioco. Un’astuzia da antico politico, quale certamente Napolitano è, che ha anche archiviato senza scosse l’era Bersani, facendolo uscire di scena in modo netto, senza appello. Per quanto molto morbido.

Intanto, si è aperta ufficialmente la crisi del Pd, i cui esiti saranno certamente drammatici, ma non è questo certo il punto. Il vero scontro, quello più acceso, si giocherà sulla successione al Qurinale. E il Parlamento si trasformerà in un Vietnam. Insomma, il Capo dello Stato, ancora una volta, ha messo la sordina al cambiamento, fischiando il “tutti negli spogliatoi” e lasciando la patata bollente di riscattare, in qualche modo, il Paese dal torpore all’uomo del Colle che verrà. I supplementari, se ci saranno, li giocheranno (loro, i partiti) tutti con un altro arbitro.
Che si troverà però vincolato al suo predecessore dal patto di sistema che verrà sancito in questa “bicamerale”. E sarà ancora un inciucio. Senza sbocco. Ma il prezzo di questo stallo e di questo “nuovo” che avanza e continua a dettar legge puzzando di polvere e di muffa ci costerà (a noi, cittadini) ancora moltissimo.
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Su Onida qualcosa si dice qui ( http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/un-estremo-appello-valerio-onida-e.html):

A questo punto affrontiamo, invece i nomi di Gustavo Zagrelbesky e Valerio Onida.
Si tratta probabilmente dei due più autorevoli, e certamente mediaticamente più noti, costituzionalisti italiani.
Il secondo ha anche un suo blog "Valerio Onida- Passione civile" da cui riportiamo, per estratto dei passaggi salienti, un post sulla crisi economica, tratto da un articolo anche pubblicato sul Sole24ore:
"...Da “cittadino incompetente”, vorrei provare a mettere in riga alcune semplici e magari semplicistiche riflessioni capaci di orientare il giudizio che, alla fine, anche gli elettori, non solo i “mercati”, dovranno dare sulle scelte compiute o non compiute.
Una cosa l’abbiamo capita bene: il debito pubblico che ristagna intorno al 120% del PIL è una palla al piede che il paese non può ulteriormente permettersi. Il problema è come ridurne l’entità. Ci dicono che la via maestra sarebbe l’aumento del PIL (la famosa “crescita”) con ritmi che, nel volgere degli anni, ridurrebbero l’incidenza relativa del debito, pur costante in termini assoluti, se si riesce nel frattempo ad evitare nuovo disavanzo annuale. Ma poi ci spiegano che molte delle misure che riducono la spesa pubblica o che aumentano il prelievo fiscale sono destinate ad avere effetti contrari alla crescita del PIL. Sembra un circolo vizioso.
Il coro invoca la riduzione dei “costi della politica”: e va bene, era ora. Non ha senso che i parlamentari paghino i pasti al prezzo di una mensa operaia (a spese delle Camere). Ma tutti sappiamo che se anche smettessimo da un giorno all’altro di pagare compensi a tutti i titolari di cariche elettive, o abolissimo queste ultime, avremmo ridotto di poco il problema finanziario (e, forse, avremmo ridotto anche il tasso di democrazia del paese: attenzione, prima di entusiasmarsi per i dimezzamenti delle “poltrone”, senza domandarsi quali dovrebbero essere i rapporti numerici congrui fra rappresentanti e rappresentati!).
Eliminare gli sprechi? E’ sacrosanto (in genere, però, sono visti come “sprechi” solo i soldi spesi per altri, non quelli spesi per interventi che finanziano le nostre imprese o le nostre famiglie). Ma poi, combattuti gli sprechi, siamo sicuri di volere (e che sia accettabile) uno Stato che riduca ancora la spesa per l’istruzione, per la salute, per l’assistenza sociale a chi ne ha bisogno, per la cultura?
L’incompetente allora si domanda: c’è un’altra strada per abbattere il debito pubblico o il suo onere eccessivo? Lo Stato potrebbe vendere beni (o assets, come oggi si dice), salvo poi trovarsi impoverito di strumenti e risorse per perseguire i suoi scopi (che non sono solo quello di mantenere l’ordine pubblico). In ogni caso non sembra una strada semplice né rapida (intanto, però, si cedono gratuitamente alle imprese televisive frequenze dell’etere, che sono un bene pubblico limitato). Oppure si potrebbe chiedere ai cittadini di contribuire una tantum ad abbattere il debito, secondo la logica per la quale “lo Stato siamo noi”, e quindi, se lo Stato ha un fabbisogno straordinario, noi dobbiamo concorrere a colmarlo.
Ci hanno spiegato a lungo che la forza dell’Italia, nella claudicante economia dei paesi sviluppati, era che noi abbiamo sì un grande debito pubblico, ma relativamente poco debito privato, e cioè i cittadini hanno un patrimonio netto (beni meno debiti) più cospicuo che altrove. Bene, allora perché non si chiede ai cittadini titolari di questo patrimonio di sacrificarne una piccola parte ciascuno, in progressiva proporzione all’entità del possesso individuale, per consentire allo Stato di ridurre significativamente il suo debito, vuoi attraverso un prelievo straordinario, vuoi attraverso un prestito, spontaneo o “forzoso”, da restituire a lungo termine e ad interesse inferiore a quello che i “mercati” pretenderebbero? O immediatamente, o in prospettiva, per effetto della riduzione degli interessi, l’onere del debito pubblico diminuirebbe.
Subito si leva il coro: altre tasse, per di più sul patrimonio? Vade retro! Lo Stato ha fatto il debito, lo Stato lo ripaghi. Com’è noto, quando una persona si indebita troppo rispetto alle sue possibilità economiche, o fallisce subito o finisce nelle mani degli strozzini, che gli prestano sì nuovo denaro, ma ad interessi sempre più alti (e alla fine fallisce lo stesso perché non è più in grado di rimborsare i debiti contratti). Nel nostro caso gli “strozzini” sono i “mercati”, che di fronte alle difficoltà dello Stato alzano la misura degli interessi richiesti per continuare a finanziarne il debito (il famoso spread). E dunque?
Non vorremmo che finisse come altre volte nella storia: il debito pubblico evapora come neve al sole perché, o con l’inflazione (se non dovessimo più avere la protezione dell’euro) o con la “ristrutturazione”, i titoli di Stato diventano carta straccia. Ci perderebbero gli “strozzini”, e poco male, visto che molti sono professionisti del rischio finanziario, ma ci perderebbero anche i cittadini normali che hanno investito tutti o parte dei loro modesti risparmi (pensando che lo Stato non è la Cirio né la Parmalat) in titoli di Stato: in quel debito pubblico che, come diceva lo Statuto albertino (la Costituzione repubblicana non lo ripete, ma in qualche modo lo presuppone) è - deve essere - “guarentito” (perchè “ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile”).
L’unica cosa che dovremmo esigere è che alle “dolorose” operazioni necessarie presieda un Governo (sorretto da una maggioranza parlamentare più ampia possibile) degno di questo nome, cioè credibile."

Per voi attenti lettori questa serie di indicazioni non potrebbe che essere preoccupante.
Riassumendo: il debito pubblico è il problema economico italiano, siamo finiti nella mani degli strozzini-mercati a causa del fatto che ci saremmo troppo indebitati (vivendo "al di sopra delle nostre possibilità"...), l'unica soluzione è che un governo credibile introduca una forte una tantum patrimoniale (anche perchè uscire dall'euro condurrebbe a un'inflazione distruttiva...del debito pubblico...in mano alle famiglie!!!).
Fortunatamente (in senso eufemistico), premette di essere un "cittadino incompetente".
In effetti non pare conoscere le "verità nascoste" e parte da premesse del tutto smentite dai dati economici: il debito pubblico italiano non è la palla al piede; il debito pubblico italiano non è stato creato da eccessi di spesa, bensì da eccessi di interessi passivi a favore di grossi soggetti finanziari; tentare di correggere l'ammontare del debito mediante una forte incisione patrimoniale sui privati non solo piomberebbe il paese in una recessione autenticamente distruttiva (ancora di più), ma non risolverebbe le cause della crisi, che sono da individuare nell'euro, cioè in una moneta che diminuisce la competitività dei nostri beni sui mercati esteri e ci porta in situazione di indebitamento privato via CAB strutturale e crescente; questo indebitamento privato, da squilibrio commerciale a base monetaria, sarebbe riproducibile e persino aggravato anche in caso di abbattimento del debito (deleveraging, appunto, su cui vale il passaggio di Osservatorio PUD€-2 sopra riportato).
Insomma quello che è preoccupante è uno dei più grandi costituzionalisti italiani appaia completamente all'oscuro delle ragioni della crisi: tanto per dire, il debito pubblico è in mano
non certo alle famiglie, ma per circa il 90% a istituzioni finanziarie, che sarebbero esse stesse ad essere garantite dal prelievo patrimoniale sulle famiglie. Insomma, al governo potrebbe andare una personalità che potrebbe non avere difficoltà a concordare con Schauble e in generale con le più "oscure" pulsioni germaniche.

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su Violante si conosce molto, dal video famoso http://www.youtube.com/watch?v=swntE1iWB5Y
alle ultime stronzate da miserabile http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/20/trattativa-violante-contro-fatto-ce-populismo-giuridico-che-usa-procure-come-clava/329276/
Luciano Violante­, nato in Etiopia da «padre comunista, madre ebrea, uno zio morto a Mauthausen»

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questo è ciò che diceva Becchi, deriso da tutti

Un Parlamento senza Governo

di Paolo Becchi

«Non capisco come una mano pura possa toccare un giornale senza una convulsione di disgusto», scriveva Baudelaire. Difficile dargli torto. Le prime pagine dei quotidiani italiani – con «La Repubblica» in testa – hanno dato ieri prova del ruolo servile della stampa nei confronti del Regime. Secondo quanto riportano i nostri giornali, infatti, la «base» del MoVimento 5 Stelle sarebbe «insorta» contro la chiusura di Grillo nei confronti di Bersani. Come fanno a non capire? Non capiscono che un movimento forte, di opposizione radicale all’immoralità ed alla disonestà di questo Regime, di questa “casta”, non scenderà mai a compromessi con essa? Non capiscono che deputati e senatori del MoVimento non passeranno mai dall’altra parte? Il MoVimento lo ha ripetuto fin dall’inizio, fin dal suo atto di nascita: è una forza di opposizione al Regime, è contro i vecchi partiti e la vecchia logica politica. Questa è l’essenza del MoVimento, non compromettibile.

Ora si sta cercando di farla “saltare”, di dividere il MoVimento all’interno in nome della «governabilità», parola d’ordine di questi giorni. Da Bersani a Napolitano, da Berlusconi a Monti, tutte le vecchie forze politiche invocano l’esigenza di garantire governabilità in questo Paese. Ma chi ha detto che serva un nuovo Governo per garantire “governabilità”?

Il MoVimento 5 stelle ha definito la sua linea: 1.non parteciperà ad un governo di coalizione;
2.non voterà la fiducia a Bersani o ad alti esponenti del Pd;
3.è disponibile soltanto a dialogare sulle singole proposte di legge.
Cosa significa? Come far stare questi tre aspetti insieme? I partiti non riescono a capire. Significa semplicemente: nessuna coalizione, nessuna fiducia, perché non ci sarà nessun nuovo Governo, ma soltanto un nuovo Parlamento. La mia è un’ipotesi, sia chiaro, un ragionamento personale. Eppure, forse, non così distante da quella che potrebbe essere la strategia per uscire dall’attuale situazione di stallo, senza dover ricorrere a “governissimi” o “inciuci”: mantenere l’attuale Governo Monti in prorogatio (ossia con limitatissimi poteri di ordinaria amministrazione, di disbrigo degli affari correnti), e concentrare tutta l'attività legislativa nel nuovo Parlamento, per almeno i prossimi 6-8 mesi. Tempo per una riforma elettorale, e per l'approvazione delle leggi più urgenti per il MoVimento: riduzione degli stipendi, trasparenza amministrativa, anticorruzione, taglio dei costi della politica, sgravi fiscali per le piccole e medie e imprese, reddito di cittadinanza. Forse si dimentica che, nel 1996, il governo Dini rimase in prorogatio per 127 giorni, e 126 giorni rimase in prorogatio il quinto Governo Andreotti nel 1979. Per non parlare di quanto accaduto nella recente storia del Belgio, il quale è rimasto “senza governo” per 540 giorni, ossia un anno e mezzo, fino al dicembre 2011.

L’ipotesi è dunque questa: un governo in prorogatio, con poteri di mera amministrazione, ed un Parlamento con pieni poteri legislativi, in cui gli accordi e le convergenze potranno trovarsi solo sulle singole leggi, volta per volta. Mi spiego. La nostra Costituzione prevede, sulla base del principio di continuità delle istituzioni, che il Governo dimissionario (quale è, allo stato, quello di Monti), a partire dall'accettazione delle dimissioni da parte del Presidente della Repubblica, entri in regime di prorogatio, sino alla formazione del nuovo Governo. Per tutto questo periodo, il Governo ha poteri limitati agli “affari correnti”, nel senso che la sua attività sarebbe limitata all'ordinaria amministrazione mentre gli sarebbe preclusa la sfera del cosiddetto «indirizzo politico». In particolare, nel nostro sistema politico si sono sempre emanate circolare dirette a precisare e specificare i compiti ed i poteri del Governo in prorogatio (le più recenti e rilevanti: la circolare Ciampi, quella Amato e la circolare Prodi). Credo che, in questa situazione, occorrerebbe così limitare i poteri del Governo dimissionario: 1.Convocazione del Consiglio dei Ministri solo per adempimenti costituzionali, internazionali e comunitari o casi particolari di necessità e urgenza;
2.Esclusione dell’iniziativa legislativa del Governo (se non nei casi di disegni di legge imposti da obblighi comunitari e internazionali);
3.Esclusione dell’ammissibilità dei decreti-legge;
4.Astensione del Governo nelle questioni concernenti i poteri di nomina di funzionari, salve le nomine, designazioni e proposte ritenute indispensabili per assicurare la piena operatività dell'azione amministrativa.
In questo modo, di tutta l’attività legislativa diviene esclusivo responsabile il Parlamento. Un Parlamento, pertanto, dotato di pieni poteri legislativi e di una piena responsabilità politica. Dal punto di vista costituzionale, è dunque possibile un Parlamento senza Governo. E forse, questo è proprio quello che ci vuole in questo momento al Paese, come in fondo sembrano ammettere gli stessi leader di partito: ciascuno si assuma, in Parlamento, la propria responsabilità.


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