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United Colors of Autostrade


Tao
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Presentata come l’ennesima prova di europeismo da parte dell’industria italiana, l’«alleanza strategica» tra Autostrade e la spagnola Abertis suscita, per chi vuol leggere in trasparenza, seri dubbi sulla tempistica dell’accordo, sulla congruità dei valori finanziari, sulla credibilità industriale e sulle ricadute per gli investimenti infrastrutturali, per l’occupazione, per le tariffe in Italia.

L’accordo, inoltre, crea più di una perplessità sul ruolo ricoperto dalla famiglia Benetton azionista di maggioranza di Autostrade dopo la privatizzazione e oggi protagonista e principale beneficiaria, in termini di svariate centinaia di milioni di euro, dell’accordo con gli spagnoli.
Quando alla fine del 1999 il governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema avviò la privatizzazione di Autostrade, affidando uno dei simboli della ricostruzione e del boom economico nazionale ai Benetton, probabilmente nessuno immaginava che dopo appena sei anni questa impresa centrale della nostra economia sarebbe finita in mani spagnole, sebbene in una logica di mercato, europea, aperta, ci si possa attendere qualsiasi soluzione. Non sappiamo se nello schema di privatizzazione ci fosse qualche clausola a tutela degli interessi più generali del Paese che di solito passa sotto il capitolo «change of control», la modifica del controllo, di un’impresa così importante e che opera in regime di concessione. E se, nel caso esistesse, quali sono le possibili azioni che il governo Prodi potrà esercitare. Sappiamo, però, che la stagione delle privatizzazioni, avviata nel 1992 dal governo Amato con la trasformazione degli Enti in società per azioni, era finalizzata a rendere plurale il mercato finanziario, a creare nuovi soggetti imprenditoriali forti, a sostenere lo sviluppo e la competizione delle imprese italiane in Europa, ad emancipare i gioielli dell’industria nazionale sia dallo Stato padrone sia dai salotti delle oligarchie private. L’avvento di soggetti nuovi come la famiglia Benetton, una delle poche imprese di successo internazionale nate in Italia negli ultimi quarant’anni al di fuori dell’ombrello protettore della vecchia Mediobanca, apparì come un segnale di profondo cambiamento. Anche se forse rischiamo di apparire poco moderni, e dunque impresentabili a un seminario dell’Aspen o un convegno della Confidustria, continuiamo però a pensare che un monopolio naturale come quello di Autostrade stia meglio in mano pubblica che in mano privata.

L’ingresso dei Benetton nelle Autostrade, e poi nel 2001 in Telecom Italia, anziche determinare un’evoluzione positiva del sistema ha segnato, in realtà, il passaggio degli interessi prevalenti di un gruppo industriale dal profitto alla rendita delle tariffe. Forse non è casuale che la diversificazione dei Benetton nelle infrastrutture, nella distribuzione e nelle telecomunicazioni sia coincisa con la perdita del primato nel settore tradizionale, quello dell’abbigliamento, dove trionfano Zara (un altro spagnolo che avanza) e gli scandinavi di H&M.

Ora i Benetton si alleano con la spagnola Abertis, assicurano che resteranno i primi singoli azionisti e che nascerà un gruppo leader in Europa. Al netto della propaganda e del successo clamoroso in Borsa, l’operazione presenta poche certezze, quasi tutte negative, e molte incognite. La prima certezza è che i soci spagnoli avranno la maggioranza nel nuovo gruppo sebbene la cordata italiana abbia la prima singola posizione. La seconda certezza è che il capo operativo sarà un manager spagnolo, la terza che la sede sociale sarà a Barcellona. La quarta certezza è che, in perfetta sintonia con un vecchio capitalismo, gli azionisti di controllo di Autostrade, cioè i Benetton, hanno deciso di autopremiarsi distribuendo un dividendo straordinario di circa 1 miliardo di euro. Il professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di ieri ha pudicamente sostenuto che «se i Benetton e i loro soci non vogliono essere accusati di arricchirsi alle spalle dei consumatori, e se davvero credono in questo progetto, dovrebbero investire questo miliardo nella nuova azienda». Siamo pronti a scommettere che non succederà.

In questa situazione rimane il sospetto che l’operazione sia stata chiusa e annunciata proprio in una fase di vacatio di governo, con Berlusconi in uscita e Prodi non ancora entrato a Palazzo Chigi. In più non convince questo europeismo trionfante che assomiglia sempre più a un «tafazzismo» deprimente. Fatta salva la vocazione a un’Europa aperta, di mercato e concorrenza, non si può fare a meno di constatare che mentre l’Enel non riesce a comprarsi una centrale elettrica in Francia, lo shopping europeo in Italia va benissimo, passa dalla Bnl (che ovviamente non poteva finire ai “comunisti” dell’Unipol), alla Galbani fino a infrastrutture strategiche come le Autostrade. E quando un bravo banchiere come Alessandro Profumo riesce a conquistarsi una posizione continentale lo ringraziamo quasi fosse un fenomeno, tale è la sorpresa. In conclusione: non vorremmo, ma lo temiamo, che tra qualche settimana ci venisse presentata la fusione tra Telecom Italia e la spagnola Telefonica come una nuova opportunità strategica, «autenticamente» europea per il nostro Paese.

Rinaldo Gianola
Fonte: www.unita.it
25.04.06
visto su: www.onemoreblog.org


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A parte il fatto che giavazzi ha sostenuto che il miliardo di euro di plusvalenza avuto da benetton dovrebbe essere reinvestito a creare autostrade in POLONIA mentre milioni di Italiani smadonnano nel traffico caotico di ogni giorno soprattutto a causa dei disservizi,(bastano 2 fiocchi di neve e si rimane bloccati in autostrada),omettendo che l'austostrada è un bene comune, e che l'anas deve investire mentre il gestore riscuote.
Omette di dire che a causa del traffico e dei rallentamenti ogni anno si buttano via 4 miliardi di euro(da uno studio-analisi pubblicato da repubblica).
A parte questo scandalo....partito dal governo di centro sinistra,poiché non si affida ad un solo gestore tutto il tratto autostradale(o quasi)ma si spezzettava in vari tronchi, che le autostrade in ogni modo hanno un regime obbligato di monopolio,cioè la A1..ne è una sola,non puoi scegliere un altra autostrada con lo stesso tragitto,quindi è un bene pubblico..
a parte questo..
Non so quante letture avrà questo commento..ma lancio un scommessa:
SCOMMETTIAMO CHE BENETTON CON IL MILIARDO D EURO RICAVATO(O COMUNQUE IL PREMIO E LA PLUSVALENZA)SI COMPRA LA QUOTA DI RICUCCI IN RCS? E MAGARI ANCHE PARTE DI OLIMPIA CHE CONTROLLA TELECOM?

ALTRO CHE I FURBETTI DEL QUARTIERINO...QUA ABBIAMO DEI VERI PROPRIì LADRI LEGALIZZATI...................


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Dal blog di Beppe Grillo (www.beppegrillo.it)

Il conto delle Autostrade

Gilberto Benetton mi invitò qualche mese fa a pranzo. Io presi informazioni e rifiutai. Non volevo essere io a pagare il conto. Di solito faccio alla genovese, il conto lo paga sempre l’altro.
Mi sarei trovato a tavola con una delle persone più indebitate d’Italia dopo il tronchetto dell’infelicità, che condivide con lui debiti e maglioni da regata.
Ho chiesto ad un paio di consulenti finanziari come andasse Benetton e si sono messi le mani sui c...ni.
Qualche settimana fa per togliermi ogni dubbio sulla solvibilità di Gilberto al ristorante ho dato un’occhiata al bilancio di Autostrade. Un bilancio che si può riassumere in profitti spaventosi: intorno al miliardo di euro, debiti spaventosi: quasi nove miliardi di euro, investimenti per le autostrade: non pervenuti.
E qui devo fare un attimo un po’ di storia per arrivare all’epilogo con la vendita-fusione alla spagnola Abertis di questi giorni.
Nei favolosi anni ’90 il solito governo di centro sinistra fa la solita privatizzazione alla c..o, detta appunto privatizzazione di centro sinistra, o a debito.
Una cessione moderna di beni dello Stato in cui chi compra paga poco chiedendo i soldi in prestito alle banche, e compra un bene che gli italiani hanno costruito in generazioni con le loro tasse.
Benetton e soci, tra cui Unicredit, entrano quindi nel 1999 nel business delle autostrade.
Dal allora, secondo la Repubblica di sabato 29 aprile, gli investimenti da effettuare sulla rete autostradale per la convenzione con lo Stato avrebbero dovuto essere di circa 7.500 milioni di euro. Gli investimenti effettivi sono stati circa 2.400 milioni di euro. All’appello mancano, sempre circa, cinque miliardi di euro; fatto peraltro certificabile da qualsiasi guidatore. Dove sono questi cinque miliardi di euro?
Il debito non diminuisce, gli investimenti prima o poi bisogna farli, che fare? Cosa farebbe un amico del tronchetto?
Ma vende naturalmente. Vende al solito partner europeo che consentirà sinergie e la nascita di un colosso mondiale con il c..o degli italiani. Intasca un miliardo di euro da spartirsi con i soci, tra cui Unicredit. E lo fa in un momento di vuoto istituzionale, senza un governo in carica. Ma cosa c’entra il Governo? C’entra, c’entra...
Infatti le tariffe autostradali vanno concordate con il Governo in quanto sono in regime di concessione. Se lo Stato volesse potrebbero costare la metà o un decimo. O non avere aumenti per uno o più anni.
Caso unico in Italia, l’amministratore delegato di Autostrade Vito Gamberale si è dissociato dall’operazione. Onore al merito.
L’operazione va bloccata subito (pedalare Prodi, pedalare). A Gilberto, in amicizia, considerata la situazione disperata in cui si trova, farò avere due buoni pasto da consumarsi in trattoria.


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Fonte: Il Tempo (www.iltempo.it) del 30.04.06

Autostrade, Gamberale si prepara a lasciare
Occhi puntati sul Cda
di PIETRO MORONI RESTA

Alta la tensione sulle nozze italo-iberiche tra Autostrade e Abertis. Consumata l’aspra rottura tra il Gruppo e l’ad Vito Gamberale che ha bocciato l’imminente matrimonio, gli occhi ora sono puntati sul cda del 2 maggio, che potrebbe sancire l’uscita di Gamberale. Un board, parallelo a quello della società spagnola, chiamato a formalizzare il via libera alla fusione di Autostrade in Abertis approvata dai due gruppi lo scorso 23 aprile. A frenare la migrazione di Autostrade verso la Spagna, potrebbe però farsi largo una cordata italiana: l’ipotesi prende corpo da Trieste, dove l’ad di Generali, Giovanni Perissinotto risponde che «sì, valuteremo certamente la cosa». Il Gruppo è pronto a mettere sul piatto 150 milioni per aumentare il proprio peso nella Nuova Abertis, frutto delle nozze tra Autostrade e Abertis. Negli auspici di Gamberale, il board di martedì prossimo, più che tappa ulteriore della fusione, dovrebbe diventare «occasione per rimeditare, alla luce del mio intervento, tutta la vicenda, nonchè la sua opzione finale, per gli interessi del Paese» ha scritto l’ad uscente nella lettera con cui ha rintuzzato la nota della sua società. Una strada sulla quale però, non trova interlocutori all’interno del gruppo che fa capo ai Benetton: ambienti vicini agli azionisti confermano infatti che il processo di fusione non subisce alcuna modifica e anzi, prosegue spedito. «La fusione è stata approvata all’unanimità» aveva sottolineato, non a caso, all’uscita del cda del 23 aprile, Gilberto Benetton, a sottolineare che non vi erano stati voti contrari. Nemmeno quello di Gamberale. Ma non si ferma intanto l’ondata di critiche sulle nozze spagnole, dal mondo politico e da quello sindacale, in modo trasversale. Il leader della Cisl Raffaele Bonanni vuole «vederci chiaro», l’ex ministro Lamberto Dini chiede di porre un alt, il segretario confederale Uil Pirani osserva che sono prevalsi gli interessi degli azionisti su quelli degli utenti. Operazione giusta sotto il profilo logico e finanziario ma poco ortodossa sotto quello formale, per il ministro Pietro Lunardi.

Fonte: Il Tempo (www.iltempo.it) del 30.04.06


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Il Cda di Autostrade revoca poteri a Gamberale
FONTE: Repubblica Online del 02.05.06 - www.repubblica.it

ROMA - Il consiglio di amministrazione del gruppo Autostrade discuterà oggi "la revoca per giusta causa" dei poteri dell'amministratore delegato, Vito Gamberale. Lo comunica il gruppo in una nota, dopo il contrasto sulla fusione in Abertis.

Il cda odierno, che si terrà alle 18, era stato convocato per esaminare e discutere del progetto di fusione con la società spagnola, ma - spiega la nota di Autostrade - su richiesta di due consiglieri, l'ordine del giorno è stato integrato "con l'argomento relativo alla revoca per giusta causa dei poteri conferiti all'amministratore delegato in data 7 aprile 2006, e deliberazioni connesse e conseguenti, e con la previsione del conferimento di nuovi poteri ad altro o altri soggetti".

FONTE: Repubblica Online del 02.05.06 - www.repubblica.it[/b]


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