Notifiche
Cancella tutti

Aridatece er puzzone

   RSS

0
Topic starter

Un Parlamento votato con una legge incostituzionale, un presidente della Repubblica che nomina come e peggio di un monarca tre presidenti del Consiglio senza passare dalle elezioni, un patto per cambiare la Costituzione di cui nessuno sa un beneamato cazzo fatto con un pregiudicato.

Ora si vuole eliminare il Senato elettivo inserendovi i gerarchetti locali dei partiti e una Camera di nominati. Questo si chiama colpo di Stato. Mussolini ebbe più pudore. non lo chiamò "riforme".

Il regista di questo scempio è Napolitano che dovrebbe almeno per pudore istituzionale dimettersi subito e con il quale le forze democratiche non dovrebbero avere più alcun rapporto.

Il M5S non terrà d'ora in poi alcun contatto con un uomo che ha abdicato al suo ruolo di garante della Costituzione.

Si spera che anche altre forze politiche si associno e lo isolino prima che sia troppo tardi, prima del buio a mezzogiorno.

La via d'uscita da questa situazione è rappresentata da nuove elezioni, la legge c'è.

E' quella emendata dalla corte costituzionale, con le preferenze e senza un abnorme premio di maggioranza.

Il M5S non ha paura di tornare alle urne per rilegittimare il parlamento, anche domani se necessario.

La minaccia di Renzie di nuove elezioni è una pistola scarica e lui lo sa.

http://www.beppegrillo.it/2014/07/arridatece_er_p.html

un presidente della Repubblica che nomina come e peggio di un monarca tre presidenti del Consiglio senza passare dalle elezioni

Peggio di un monarca c'è un vicerè, il quale governa nell'interesse dei padroni lontani.

Riforme: senatori non eletti e deputati nominati, il cortocircuito che brucia il Pd

Il premier Renzi minaccia le elezioni anticipate di fronte all'ostruzionismo, ma nello stesso Pd il suo progetto costituzionale, combinato con l'Italicum, risulta indigeribile a molti. Dai cuperliani a Chiti. E il primo a non volere le urne è Napolitano

di Sara Nicoli | 25 luglio 2014

E’ un dissenso che, con le ore e i giorni, si fa ostacolo sempre più solido. Pier Luigi Bersani ufficialmente smorza i toni (“la strada del Senato non elettivo è stata presa, chi fa ostruzionismo deve inchinarsi anche a una volontà di una maggioranza in un consesso”), ma nella sua ala interna al Nazareno c’è tutto tranne la voglia di “inchinarsi” a Renzi e alla “sua” riforma. Che una parte del Pd non digerirà mai, nonostante i proclami di facciata. Un bersaniano di ferro come Alfredo D’Attorre, esponente di spicco di Area riformista (per intendersi, i “cuperliani“), ha risposto in modo insolitamente brusco a chi come Roberto Giachetti prima e come Matteo Renzi poi, ha minacciato lo spettro delle elezioni anticipate se al Senato non si cambierà politicamente marcia e, soprattutto, non si troverà la quadra sulle preferenze dell’Italicum: “Minacciare le elezioni se non passano le riforme – ecco la risposta di D’Attorre – è da Tafazzi…”. 


Nessuno, infatti, nell’area sinistra del Nazareno, crede davvero che Renzi possa decretare lo show down in caso di sconfitta sul piatto delle riforme: come al solito, Napolitano non consentirebbe il ricorso alle urne durante la presidenza italiana del semestre europeo. E anche dare il via a un rimpasto, che molti auspicano nel Pd per riequilibrare gli assetti interni al partito, potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Ora che Berlusconi può contare addirittura su un’assoluzione, è chiaro che la sua volontà di ritornare in prima fila metterebbe il governo sotto la pressione indebita degli arcoriani, che sognano – oggi – le larghissime intese per arrivare al 2018 non dagli scranni dell’opposizione “costruttiva”, bensì dalla cabina di comando di alcuni posti di governo.

Insomma, comunque la si voglia vedere, per Renzi la via è assai più stretta dei suoi proclami. Il dubbio, nella testa del premier, è un po’ questo: mi conviene di più tirare a campare, accettando i tempi del Parlamento, oppure rischiare tutto, tornare al voto e scaricare la colpa sulla “palude”?

La “palude” non è solo la riforma del Senato. E’ l’Italicum il vero nodo del contendere interno al Pd. Soprattutto, sono le preferenze e la composizione delle liste, che nessuno della sinistra del partito, oggi, vuole lasciare interamente nelle mani del “nominatore” Renzi. Di qui il fuoco incrociato, il mostruoso ostruzionismo che si è prodotto sulla riforma del Senato con la presentazione di quasi 8 mila emendamenti che sono un dato politico che nessun contingentamento dei tempi potrà spazzare via. Dice, infatti, Gianni Cuperlo, squarciando il velo dell’omertà dettato dai tecnicismi e dai regolamenti parlamentari: “Presentare 8mila emendamenti significa voler bloccare la possibilità di fare le riforme”.

Più in profondità, il messaggio a Renzi suona così, per la stessa voce di Cuperlo: “Bisogna ritoccare la riforma elettorale, perché è un errore grave immaginare, a regime, un modello nel quale a un Senato non elettivo si accompagna una Camera con i deputati ancora una volta “nominati” dalle segreterie dei partiti. Per evitare questa ferita, è fondamentale tenere bene in vista il legame strettissimo tra il pedale della riforma costituzionale e quello della nuova legge elettorale, in particolare nei tre punti che esigono delle modifiche, soglie, liste bloccate e l’equilibrio di genere nella rappresentanza”.

Più chiaro di così. Anche perché nessuna mediazione e’ stata trovata in capigruppo al Senato; la maggioranza non ha accolto la richiesta, avanzata da alcuni firmatari degli emendamenti, di mettere subito nero su bianco le modifiche di mediazione che avrebbero consentito una riduzione del volume delle modifiche presentate. Il ‘muro contro muro’ è dunque tutt’altro che risolto, la prova di forza, tutta interna al Nazareno, è politicamente più viva che mai. L’elemento di rottura resta non tanto l’elettività dei senatori, quanto il potere di composizione delle liste nella nuova legge elettorale. Certo, Renzi ha assicurato che il Pd farà comunque le primarie, ma un conto è inserirle per legge dentro l’Italicum, un altro ridurle a pura liturgia interna al partito. Un conto è cercare di tenere buona la minoranza interna, un altro è far digerire una nuova modifica del patto del Nazareno a Berlusconi.

La foto finale della situazione la regala un Vannino Chiti se possibile ancora più critico di qualche settimana fa: “Il dibattito sulle riforme sta prendendo una deriva negativa che non conviene a nessuno – commenta – l’imposizione della tagliola è un errore gravissimo. Quando la destra nel 2005 impose il contingentamento dei tempi su una riforma della Costituzione, noi della sinistra contestammo duramente quella decisione”. Ora, per paradosso, è proprio la maggioranza di governo che impone di far presto per consentire a Renzi di arrivare in Europa al Consiglio Europeo del prossimo 30 agosto con in mano il feticcio di una riforma che convince solo i renziani di stretta osservanza. Cioè: non tutto il Pd, non tutto Ncd, non tutta Forza Italia. Per non parlare degli altri. Alla Camera, giurano gli uomini di Bersani, sarà tutto un altro film. Escluso il lieto fine.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/25/riforme-senatori-non-eletti-e-deputati-nominati-il-cortocircuito-che-brucia-il-pd/1071499/

napo orso capo come il governatore di maracaibo ai tempi della tortuga :le direttive devono arrivare da oltreoceano

Note urgenti sulla riforma del Senato del Presidente nazionale dell’ANPI, Carlo Smuraglia

Non posso assolutamente tacere di fronte al fatto che al Senato si sia deciso di imporre la cosiddetta “ghigliottina” sulla discussione in atto sulla riforma del Senato, fissando il voto conclusivo, quale che sia lo stato dei lavori a quel momento, all’8 agosto. E’ un fatto che considero molto grave (non ho tempo né modo di concordare queste dichiarazioni con la Segreteria e quindi me ne assumo la personale responsabilità;), che dimostra ancora una volta che non si è compreso che la Costituzione e le norme che tendono a modificarla non sono leggi come le altre, ma fanno parte di quel complesso normativo che è la base di tutto il sistema e della stessa convivenza civile.

Se la Costituzione impone maggioranze molto qualificate per l’approvazione delle modifiche, se vuole due letture consecutive da parte di ogni Camera, se prevede che tra la prima e la seconda lettura ci deve essere uno spazio “di riflessione” di tre mesi, questo significa che si vuole una discussione approfondita, su tutti i temi, che ciascuno possa riflettere, decidere, votare (anche secondo coscienza), che vi sia dibattito, confronto e meditazione. Non è concepibile imporre, in questo contesto, una “tagliola”, fissare dei tempi stretti e inderogabili per l’approvazione. Altrimenti, sarebbe vanificato proprio lo sforzo del legislatore costituente di fissare quella serie di regole che ho indicato prima.

La “ghigliottina” è strumento delicato ed eccezionale per qualsiasi legge; ma, a mio parere, è addirittura improponibile ed inammissibile per leggi di modifica costituzionale.

Si obietta che ci sono moltissimi emendamenti e c’è chi fa l’ostruzionismo. La risposta è facile: nella prassi parlamentare sono notissimi anche gli strumenti più volte adottati, nel tempo, per contrastarlo; ma sono strumenti tipicamente collegati ad una prassi “ordinaria”, totalmente diversi dalla ghigliottina, che è – e resta – strumento eccezionalissimo e in ogni caso mai applicabile alle modifiche costituzionali. Perché, dunque, ricorrere proprio allo strumento peggiore e inammissibile (nel caso specifico), in una materia così delicata?

Davvero, gli spazi della democrazia, in questo modo, si riducono ancora una volta, tanto più che stiamo parlando di un provvedimento di riforma costituzionale che, inusualmente per questa materia, proviene dal Governo e di una data che per primo ha fissato il Presidente del Consiglio, dunque di un passivo adeguamento almeno di alcuni gruppi parlamentari alla volontà dell’esecutivo.

Tutto questo non va bene, non è assolutamente accettabile e delinea prospettive, per il futuro, quanto mai preoccupanti.

Carlo Smuraglia, 25-07-2014

Condividi: