Attentato in Siria....
 
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Attentato in Siria. Cui prodest ?


Tao
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A qualche ora dall’arrivo degli osservatori della Lega Araba, incaricati di monitorare la situazione in Siria, due attentati dinamitardi mietono oltre 60 vittime a Damasco, acuendo notevolmente il livello della tensione in seno a una società già ampiamente scossa dalle azioni destabilizzanti compiute da oscuri gruppi armati (i cui membri vengono regolarmente iscritti nel novero degli “attivisti” da taluni “autorevoli” analisti) che mirano a rovesciare il regime di Bashar Al Assad.

Nell’inestricabile groviglio di ricostruzioni rese dagli organi di punta del circuito informativo di massa poco risalto è stato dato al comunicato pubblico diramato da Hezbollah, attraverso il quale le più alte autorità del movimento libanese hanno accusato esplicitamente Stati Uniti ed Israele.

Il sarcasmo saccente e a buon mercato espresso da taluni “autorevoli” osservatori in merito a tutto ciò mal si applica, tuttavia, alla complessa realtà regionale, che negli ultimi decenni è stata segnata da efferati attentati terroristici, il più eclatante dei quali riguarda l’assassinio di Rafik Hariri.

Rafik Hariri è stato un facoltoso e abile uomo d’affari che aveva fatto della propria popolarità e dell’innato fiuto politico il cemento necessario per tenere insieme una maggioranza particolarmente variegata e capace di rappresentare le tre componenti – alawita (ramificazione dello sciismo) , sunnita e maronita – maggioritarie nel tessuto sociale libanese.

Il successo politico dell’uomo politico in questione era dovuto principalmente al suo abile lavoro diplomatico che aveva portato alla conclusione della sanguinosa guerra civile libanese e consacrato Damasco quale garante di una sorta di pax siriana sul Libano, che risultava tuttavia indigesta a talune personalità di spicco come il Generale cristiano Michel Aoun.

Il periodo immediatamente successivo alla pace trascorse all’insegna della ricostruzione e vide le varie componenti sociali libanesi seppellire momentaneamente l’ascia di guerra per profondere congiuntamente gli sforzi necessari a risollevare il paese dalla catastrofe appena conclusasi.

In questo particolare contesto si inserirono gli ultimi rampolli della stirpe Gemayel – Pierre jr. e Sami – eredi del del capostipite Pierre, fondatore del Partito Falangista cristiano.

Essi ripresero la tradizionale avversione congenita nei confronti della Siria messa momentaneamente in angolo dal partito guidato in quella fase specifica da Karim Pakradouni, la cui vicinanza al governo siriano aveva drasticamente ridimensionato la capacità destabilizzante dei falangisti.

I rapporti di forza che regolavano la situazione politica libanese furono definitivamente ridisegnati nei primi mesi del 2005, dopo che Rafik Hariri si era dimesso dall’incarico di Primo Ministro in segno di protesta contro l’emendamento approvato costituzionalmente, atto a prorogare di tre anni la presidenza de Emile Lahoud, sponsorizzato attivamente da Bashar Al Assad. Tale vicissitudine fece in modo che la pianificazione e l’esecuzione dell’attentato del 14 febbraio che costò la vita ad Hariri venissero istantaneamente attribuite alla Siria, cosa che – amplificata poderosamente dalla grancassa mediatica – favorì il sorgere di un movimento di rivolta popolare contro la presenza di circa 14.000 militari siriani nel Paese.

Conformemente alla strategia geopolitica finalizzata alla creazione de famigerato “Greater Middle East”, Washington si inserì nella disputa.

«Gli Stati Uniti ordinano ai siriani di andarsene dal Libano», intimò il Dipartimento di Stato – guardandosi bene dall’ingiungere ad Israele di fare lo stesso in relazione alle Alture del Golan sottratte alla Siria fin dal 1967 – che intensificò il proprio sostegno al “Comitato statunitense per un Libano libero”, eloquentemente creato pochi mesi prima da Ziad Abdelnour, banchiere espatriato che godeva del pieno supporto israeliano.

Il sostegno politico ed economico accordato da statunitensi ed israeliani permise a Abdelnour di alimentare la sommossa che, prontamente ribattezzata come “Rivoluzione dei Cedri”, sortì il duplice risultato di costringere Bashar Al Assad a decretare la fine del protettorato siriano sul Libano e di favorire l’ascesa al potere dell’economista Fouad Siniora, che si mostrò immediatamente riconoscente nei confronti di Pierre Gemayel per la funzione antisiriana svolta dal Partito Falangista sotto la sua egida, affidandogli l’incarico di Ministro dell’Industria.

La “Rivoluzione dei Cedri” seguì il medesimo schema delle tante rivoluzioni colorate sorte in numerosi paesi vicini alla Russia da eventi, non sempre realmente accaduti o rispondenti alle modalità con cui sono stati presentati, in grado di catalizzare i malcontenti popolari della più svariata natura e creare disordini sociali suscettibili di indebolire o rovesciare i governi in carica.

Tuttavia, il regime di Siniora mostrò ben presto – come quello di Yushenko in Ucraina – la propria inettitudine e perse rapidamente tutti i vantaggi precedentemente ottenuti, giungendo perfino a sciogliere la Corte Costituzionale che l’avrebbe probabilmente dichiarato decaduto in virtù dell’evidente dissolvimento del bacino elettorale che ne aveva decretato il trionfo solo pochi mesi prima. Il popolare generale cristiano Michel Aoud si schierò allora con il potente movimento sciita di Hezbollah, formando una coalizione nazionalista forte di un vastissimo appoggio popolare e assai invisa a Stati Uniti ed Israele.

Hezbollah, per bocca del leader Hassan Nasrallah, spese al riguardo le seguenti, eloquenti parole: “Non abbiamo fiducia di questo governo che risponde alle decisioni e ai desideri dell’amministrazione americana. Manifestiamo per ottenere la caduta del governo illegittimo e anti-costituzionale, il governo di Feltman”.

Jeffrey Feltman – per inciso – ricopriva all’epoca l’incarico di assistente al Segretario di Stato per il Medio Oriente. In quella specifica fase in cui la struttura portante del governo Siniora presentava crepe sempre più profonde si verificò l’enigmatico omicidio di Pierre jr. Gemayel, che era un uomo politico dal basso profilo ma dall’altisonante cognome, in grado di suscitare le più irrazionali pulsioni in seno alla nutrita e turbolenta componente cristiana del Libano. La sua chiara posizione antisiriana orientò ancora una volta i sospetti sul governo di Damasco, cosa potenzialmente destabilizzante e suscettibile di spezzare l’integrità sociale libanese e rigettando il paese nel caos.

Una vicenda simile era accaduta nel 1982 al più famoso dei Gemayel, quel Bashir che era caduto in un mega-attentato pochi giorni prima di esser nominato Presidente con il forte sostegno di Israele e specificamente dell’allora Ministro della Difesa Ariel Sharon.

Ancora oggi la responsabilità relativa alla pianificazione e alla messa in atto dell’azione terroristica viene generalmente attribuita alla Siria, malgrado pochi mesi prima il governo di Damasco si fosse schierato in difesa di quegli stessi profughi palestinesi trucidati nel corso della spaventosa ritorsione, provocata dall’attentato, dei falangisti cristiani, i quali, forti del supporto logistico dell’esercito israeliano, ottennero mano libera nel perpetrare il ben noto massacro nei campi di Chabra e Chatila. L’obiettivo di Israele è sempre stato quello di destabilizzare il Libano e la resistenza sciita, dalla quale ha preso forma Hezbollah, è stata l’unica forza in grado di contenere la soverchiante macchina militare meglio nota come Tsahal.

Nell’estate di quel rovente 1982 Israele sferrò l’operazione “Pace in Galilea”, nell’ambito della quale caddero circa 20.000 civili libanesi (e palestinesi) e un terzo del territorio nazionale cadde in mano all’esercito di Tel Aviv.

Mentre Hezbollah racc
oglieva adepti in seno alla società libanese Tsahal non riusciva a piegare la resistenza sciita e incassava inaspettate perdite lungo le alture di Khaldeh.

Nel 1985, l’ostinazione di Hezbollah costrinse Israele a ritirarsi da numerosi villaggi e dalle principali città di Tiro e Sidone. Nel luglio del 1993 il capo di Stato Maggiore Ehud Barak intimò al servile governo centrale di Beirut il diktat di disarmare i “terroristi” di Hezbollah o di accettare le inevitabili conseguenze dell’eventuale inadempienza.

Nel frattempo Hezbollah aveva però acquisito un peso tale da rendere impossibile ogni iniziativa del governo in tal senso ed Israele decise quindi di passare alle maniere forti sferrando l’operazione “Accountability”, durante la quale vennero effettuati più di 1.000 raid aerei corrispondenti ad altrettanti bombardamenti sulle città libanesi. Il Mossad aveva però sottostimato la capacità di reazione di Hezbollah e agì seguendo una colossale, malriposta fiducia nei propri servizi. Hezbollah e le varie fazioni della resistenza libanese ribadirono infatti colpo su colpo provocando uno stallo che culminò con una tregua che entrò in vigore il 31 luglio del 1993. Di fronte all’inaspettata reazione libanese, il Primo Ministro Yitzhak Rabin fu costretto ad ammettere la sconfitta. Nell’aprile di tre anni dopo ebbe luogo l’operazione “Grapes of Wrath”, comprendente una serie di bombardamenti a tappeto sulle città di Balbek e Tiro, provocando la morte di numerosi civili e la distruzione di case e infrastrutture.

Tuttavia Hezbollah aveva studiato le tattiche israeliane e tratto i debiti insegnamenti dai passati conflitti, anticipando le mosse di Tsahal e infliggendo forti perdite mediante operazioni di guerriglia che le numerose milizie a disposizione erano state addestrate specificamente ad eseguire. Seguì un’ulteriore tregua patrocinata dal Ministro degli Esteri statunitense Warren Christopher. L’opinione pubblica israeliana interpretò il tutto come una sconfitta, cosa che compromise la rielezione di Shimon Peres in seguito alle elezioni del maggio 1996. Nell’estate del 2006 si verificò l’ennesima aggressione israeliana, che causò numerose vittime e immani distruzioni. Sortì però un effetto politico del tutto inaspettato, che coincise con il consolidamento dell’asse cristiano (maronita) – sciita promosso dai rispettivi leader Michel Aoun e Hassan Nasrallah e con la conseguente formazione di un unico fronte accomunato dall’irriducibile ostilità nei confronti di Israele.

I recenti attentati di Damasco segnano quindi una perfetta soluzione di continuità rispetto a quelli a danno di Gemayel e di Hariri, e vanno pertanto collocati nel più ampio contesto generale in cui emerge l’inesausto tentativo statunitense di scardinare l’intero assetto geopolitico dell’area territoriale che si estende dal Marocco al Pakistan, e di sostituirlo con strutture funzionali alla formazione del famigerato “Grande Medio Oriente”, in cui Israele è chiamata a svolgere un ruolo primario, che nel caso specifico riguarda la sottrazione del Libano all’influenza diretta siriana e, più indirettamente, iraniana.

Il quadro generale, tuttavia, è uno sfondo regolarmente ignorato dal comparto informativo massmediatico, contrassegnato dall’ineliminabile tendenza a ridurre il grande conflitto geostrategico in atto a una misera guerra tra bande, in cui Kim Jong Il avrebbe allestito un arsenale nucleare per assecondare il proprio ego, Medvedev e Putin avrebbero ordinato lo schieramento dei missili Ishkander nell’enclave di Kaliningrad per rifarsi il look in vista delle eminenti elezioni russe e Bashar Al Assad, conformemente a questo imperante minimalismo, avrebbe escogitato gli attentati a danno dei suoi compatrioti per indebolire la posizione dei cosiddetti “dissidenti” agli occhi della Lega Araba.

Giacomo Gabellini
Fonte: www.statopotenza.eu
Link: http://www.statopotenza.eu/1336/attentato-in-siria-polemiche-e-cospirazionismi-cui-prodest
24.12.2011


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