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Burattini del nuovo millennio


dana74
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Francesco Bevilacqua
Il Corriere di Bologna titola oggi in seconda pagina: «Troppi ragazzi al liceo, ma servono i tecnici». Nell’articolo principale viene riportata una serie di lamentele da parte di alcuni addetti ai lavori: alle Aldini Valeriani (famoso istituto tecnico emiliano) si rimpiange i tempi quando «i genitori facevano la fila fin dalle quattro del mattino» per iscrivere i figli, così come un dirigente del progetto trait d’union fra scuola e imprese Quadrifoglio evidenzia il fatto che i ragazzi e i genitori si stiano ri-orientando sempre di più verso i licei.

La CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia del Lavoro) conferma effettivamente queste dichiarazioni con un rapporto che registra il 54% delle preferenze dirette verso i licei e individua una carenza a livello nazionale nell’ordine dei due milioni e mezzo di lavoratori specializzati, in particolare di figure quali informatici, addetti alla logistica e al marketing, progettisti elettronici e infermieri....
L’appello dell’assessore regionale alla scuola va sempre nella stessa direzione: «Bisogna ridare centralità alla formazione tecnica». L’assessore provinciale addebita questa situazione alla situazione di indeterminatezza generata dalla riforma Gelmini e allo scollamento fra mondo della scuola e mondo del lavoro.

Ecco quindi quello che vuole oggi il mondo delle imprese: ragazzi formati, preparati al lavoro, persone già in grado di inserirsi in un percorso professionale a diciannove anni. Figure altamente specializzate che, come dicono dalla CNA, «sono un valore aggiunto e fondamentale per le imprese».

Pur tenendo conto di tutte le difficoltà legate alla vita reale, che va al di là di un articoletto di critica sociale e ha a che fare col confrontarsi quotidianamente con necessità improrogabili come sostenere un mutuo, comprare da mangiare, pagare le bollette e così via, ritengo questo scenario sconfortante. La sempre maggiore richiesta di specializzazione è un grave problema che trae le sue origini dalla teoria della divisione del lavoro di Adam Smith, secondo la quale artigiani che si specializzavano in singole fasi della lavorazione avrebbero portato un’ottimizzazione della produzione, come ha dimostrato d’altra parte l’applicazione del modello taylorista. Se questo assunto potrebbe essere vero da un punto di vista rigorosamente tecnico, non tiene però conto della mortificazione della persona, ridotta a merce e “misurata” in redditività oraria, espropriata del proprio ingegno, della propria fantasia e istupidita da un lavoro ripetitivo, uguale, opprimente e deprimente. Questo era verissimo nelle catene di montaggio degli anni venti e trenta, ma è anche vero negli alienanti uffici moderni, dove outsourcing, compartimentazione degli ambiti lavorativi e maniacale ottimizzazione del tempo salariato svuotano completamente il lavoro di ogni qualsivoglia valore sociale, relazionale e umano per trasformarlo in una fredda attività fine a sé stessa, non più un mezzo ma un obiettivo, lavorare per lavorare. Non per niente il trascendentale Thoreau riteneva la specializzazione del lavoro una meschina pratica volta a privare l’uomo della capacità di provvedere autonomamente a tutti i suoi bisogni, a privarlo dell’autosufficienza.

La tendenza è quindi questa: eliminare nella maniera più veloce e radicale possibile la cultura classica, lo studio, l’approfondimento, la capacità critica e analitica, l’apertura mentale, tutte cose buttate frettolosamente nel calderone della “formazione umanistica”: «le Pmi non ci chiedono umanisti, vogliono ingegneri e manutentori» dice uno dei “cacciatori di teste” (ma che sono, degli indigeni cannibali del Borneo?!) della Hoel Consulting. Da un lato per fare sì che i nostri ragazzi siano già, appena maggiorenni, dei bravi soldatini, pronti ed efficienti nel fare quelle quattro cose che l’istituto tecnico ha insegnato loro e poco propensi a perdere il tempo con stupidate come letteratura, arti figurative, informazione, attività creative, approfondimenti e studi di critica sociale. Dall’altro lato, l’obiettivo è rincoglionirli al punto giusto, eliminare in loro ogni stimolo che li possa svegliare dal torpore del lavoro-come-stile-di-vita e ogni capacità che li renda autosufficienti, immuni a questo sistema opprimente e alienante, capaci di reagire e di sostenersi da soli.

Ma l’articolo che ho appena commentato è in fondo una bella notizia, poiché testimonia che molti non cascano nella trappola e sono tanti i ragazzi e i genitori che preferiscono la vera crescita umana e culturale alla formazione di automi condannati a rimanere rinchiusi per trent’anni dentro un ufficio, riducendo la propria vita a un’unica interminabile giornata lavorativa per poi accorgersi, allo scoccare delle diciassette, di non aver vissuto affatto
http://dadietroilsipario.blogspot.com/2010/07/burattini-del-nuovo-millennio-piu-know.html


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Truman
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Post: 4113
 

La situazione è ancora peggiore di come appare.
I giornali sono scatenati a presentare le supposte esigenze delle aziende, commettendo almeno due errori:
a) non necessariamente l'interesse dell'azienda coincide con quello del lavoratore;
b) in un mondo in rapido movimento (evoluzione o involuzione del mercato del lavoro) le capacità tecniche richieste oggi in poco tempo diventano obsolete ed il lavoratore diventa inutile.

Ovvia conseguenza è che la persona intelligente cerca di mantenere la mente elastica ed aperta, per potersi muovere tra le infinite possibilità di un futuro decisamente grigio. Non è imparando a lavorare come un robot che si sopravviverà, anzi facilmente i robot umani saranno sostituiti da robot meccanici che non scioperano e non hanno bisogni fisiologici.
Ma la creatività umana non è facilmente rimpiazzabile con un dispositivo meccanico, per cui le menti aperte, i creativi avranno sempre qualche chance.

Si potrebbe pensare però che le aziende abbiano ragione nel volere operai specializzati che facciano bene, rapidamente ed a basso costo degli incarichi semplici. Verranno assunti con contratti a tempo e verranno licenziati appena serviranno nuove tipologie di lavoratori, che verranno prontamente forniti dalle scuole tecniche. (Almeno questo è quanto sembrano pensare gli industriali).
E questo conferma che ancora una volta siamo in mano agli imbecilli. Insistiamo nel volere persone che producono merci e servizi al prezzo più basso possibile, confrontandoci in continuazione con le paghe orarie della Cina, mentre poi acquistiamo a caro prezzo oggetti prodotti in Germania, dove i dipendenti vengono pagati bene e considerati un valore aziendale.

Insomma, magari il capitalismo ha fallito, ma ancora per un po' sopravviverà a se stesso e bisognerebbe saper ragionare almeno in termini capitalistici. In un mondo dove quasi tutte le aziende soffrono di sovrapproduzione bisognerebbe puntare al prodotto di qualità. La qualità del prodotto si ottiene con la continuità lavorativa dei propri dipendenti (che quindi devono essere elastici per adattarsi ai cambiamenti) e con la considerazione del loro lavoro, anche in termini di stipendio.

Noi italiani invece insistiamo a darci martellate sugli zebedei, cercando il confronto (sicuramente perdente) con la Cina, per prezzi di produzione sempre più bassi, invece che cercare il confronto sulla qualità con la Germania. E nel frattempo le Fiat restano invendute e chi può si compra la Mercedes. Per fare un altro esempio, il costosissimo software per la gestione aziendale SAP, spesso adottato nelle aziende italiane, è made in Germany.
Abbiamo proprio la vista lunga. Guardiamo sempre alla Cina.


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Tonguessy
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Registrato: 2 anni fa
Post: 2779
 

Qui si sta facendo un'enorme confusione. Da una parte "la tendenza è quindi questa: eliminare nella maniera più veloce e radicale possibile la cultura classica, lo studio" mentre dall'altra tale studio non porta da nessuna parte, dato che "solo il 5,46 per cento dei neolaureati entrati in azienda"
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=26870

"Si potrebbe pensare però che le aziende abbiano ragione nel volere operai specializzati che facciano bene, rapidamente ed a basso costo degli incarichi semplici." Oppure si potrebbe pensare che i genitori vogliano figli laureati e disoccupati, piuttosto che indipendenti, adeguatamente pagati ma senza laurea. Tutti calciatori e veline, no?

Come già ho avuto modo di spiegare in questo forum, per me indipendenza significa trovare il mezzo per autosostenersi. Completamente, intendo: bollette, affitto o mutuo e così via. Se solo il 5% dei laureati può definirsi indipendente, perchè insistere sulla dipendenza familiare nel nome della "cultura classica"?

Credo quindi che sia segno di maturità scegliere di diventare operatore termotecnico e iniziare a lavorare già a 16 anni piuttosto che laureato in filosofia in perenne ricerca di occupazione.
Questo non significa che l'idraulico non possa approfondire privatamente qualsiasi questione filosofica: senza l'incombenza del regime baronale magari gli riesce pure meglio.


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sacrabolt
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Registrato: 2 anni fa
Post: 821
 

Credo quindi che sia segno di maturità scegliere di diventare operatore termotecnico e iniziare a lavorare già a 16 anni piuttosto che laureato in filosofia in perenne ricerca di occupazione.
Questo non significa che l'idraulico non possa approfondire privatamente qualsiasi questione filosofica: senza l'incombenza del regime baronale magari gli riesce pure meglio.

Quasi nessuno sceglie di diventare operatore termotecnico, ma è la famiglia dove nasci che sceglie per te: il figlio di operai diventa operaio, il figlio di farmacisti diventa farmacista, in generale il figlio di laureati diventa laureato, ultimamente con molti fittizi "salti di classe" essendo oggi le lauree triennali brevi una sorta di appendice delle secondarie superiori (con funzione di parcheggio per disoccupati).


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Tonguessy
Membro
Registrato: 2 anni fa
Post: 2779
 

il figlio di operai diventa operaio, il figlio di farmacisti diventa farmacista, in generale il figlio di laureati diventa laureato

Fatto sta che il figlio di operai che diventa laureato poi si ritrova a lavorare come precario in un call center. Meglio che fare l'operaio? O più frustrante?

Da quello che si vede in giro comunque la classe "operaia" (o la classe più bassa, per capirci) fa salti mortali per mandare i figli all'università, perchè ancora ci crede come negli anni '60. Nessuno ha mai spiegato loro che è più facile vincere la lotteria che far diventare professore il figlio di un operaio. Nessuno glielo spiega perchè le università hanno sempre più bisogno di matricole per sopravvivere.


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Jasmine
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Post: 22
 

sacrabolt wrote:
il figlio di operai diventa operaio, il figlio di farmacisti diventa farmacista, in generale il figlio di laureati diventa laureato

Anche perché il figlio di farmacista (ma vale anche per il figlio di notaio, di dentista, di avvocato, eccetera) eredita la farmacia con relativa licenza, mentre il figlio di operaio laureato in farmacia, diventa commesso di farmacia al servizio del figlio di farmacista.
La verità è che il sistema feudale non è mai tramontato.


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Truman
Membro Moderator
Registrato: 2 anni fa
Post: 4113
 

Qui si sta facendo un'enorme confusione. Da una parte "la tendenza è quindi questa: eliminare nella maniera più veloce e radicale possibile la cultura classica, lo studio" mentre dall'altra tale studio non porta da nessuna parte, dato che "solo il 5,46 per cento dei neolaureati entrati in azienda"
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=26870

Attenzione, ho la netta sensazione che nella tua passione di sostenere l'inutilità della scuola, tu stia leggendo male l'articolo. Nell'articolo a cui fai riferimento si parla dei neoassunti con contratto a tempo indeterminato. Gli altri entrano con contratti a tempo.
Non si dice quale sia la percentuale di non laureati che entrano in azienda, ma l'articolo sembra suggerire che senza una laurea non vale nemmeno la pena di inviare il curriculum alle aziende.


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terzaposizione
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Post: 902
 

Non concordo con la teoria che i diplomati ITIS non abbiano interessi umanistici-artistici-creativi.Depende dall'interesse personale oltre che da quello instillato dagli insegnanti.Personalmente dopo il diploma in Telecomunicazioni,negli '80 nel mio ITIS Ettore Conti (informatevi chi era)
avevamo gia' i PC, mentre i liceali disquisivano sulla fava e dei 20 compagni di matura annoveriamo manager di Microsoft - Oracle - Vodaphone - Alcatel - Telecom - Italtel, persone che oltre alla preparazione tecnica possiedono un bagaglio Kulturale non da burattini.
Tutti al liceo e poi universitari? OK ma poi emigrare, mentre per riparare un quadro eltterico o cercare un addetto al tornio per micromeccanica di precisione importeremo polacchi.
Giusto per la cronaca : a Napoli cercano saldatori specializzati per pipline, si parte da 5mila al mese, avete qualche alinato dall'ITIS da proporre?
Meglio laurea in comunicazioni sociali e stare al call center.


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Tonguessy
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Post: 2779
 

Attenzione, ho la netta sensazione che nella tua passione di sostenere l'inutilità della scuola, tu stia leggendo male l'articolo.

Può darsi che io abbia frainteso, ma sicuramente non ho mai scritto che la scuola è inutile. L'istruzione così come la intendeva Calamandrei rimane una pietra miliare su cui costruire una società sana. Altra cosa è sostenere lunghi anni di studio che non fanno approdare (PURTROPPO!) a nessun lavoro causa delocalizzazione, svuotamento dell'istruzione e amenità simili decise a tavolino da politici ed imprenditori.
L'università di Pisa ha bloccato il regolare svolgimento dell'anno accademico 2010-2011 proprio per dare un segnale forte di disagio nei confronti della situazione attuale.

Che lo si voglia capire o meno la mia opinione rimane: è un investimento alquanto rischioso mantenere gli studi universitari dei figli. Date le prospettive pressochè nulle che si hanno di lavoro (specialmente per laureati in facoltà umanistiche), è molto più saggio per una famiglia di operai far frequentare (ebbene sì, è pur sempre SCUOLA!) un istituto professionale che darà sicuramente uno sbocco lavorativo.

Purtroppo c'è ancora il vecchio mito che vuole il laureato molto simile al padrone, quando i padroni hanno ormai da tempo trovato il modo per neutralizzare il vecchio significato di università popolare, aperta a tutti, figli di padroni e figli di operai.

E tutto questo (la dignità di essere economicamente indipendenti con un lavoro acquisito tramite scuole professionali), ripeto ancora, nulla ha a che vedere con la cultura e la necessità (che rimanda sempre a Calamandrei) da parte dell'operaio di sapere sempre alcune decine di parole, significati e fatti in più del padrone per non farsi infinocchiare.


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