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Caro Guido Viale, e il No alla guerra ?


marcopa
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da www.contropiano.org

Caro Viale, e il No alla guerra?
di Marco Palombo

Giovedì, 17 Settembre 2015 10:01

Guido Viale nell' articolo su Il manifesto del 16 settembre “I corridoi della solidarietà, un contropiano per l' accoglienza” suggerisce alle reti sociali europee una prospettiva di lavoro per l' accoglienza dei migranti, quelli definiti profughi ma anche per i cosiddetti migranti economici.

Tra le indicazioni elencate non è compresa però una attività tesa a contrastare le disastrose guerre che l'Occidente sta portando avanti negli ultimi anni, direttamente o indirettamente, come in Siria, nonostante la principale causa dell'emergenza profughi del 2015 sia proprio l' interventismo militare iniziato nel 2011 con la Libia.

Infatti quest' anno si prevede che più del 50% dei profughi arrivati in Europa siano siriani, nel 2014 è venuto dalla Siria il 37% di chi ha ottenuto lo status di rifugiato. Eppure l' Europa che sembrava accogliere in maniera entusiasta questo popolo infligge a Damasco pesanti sanzioni economiche rendendo sempre più difficile la vita dei 18 milioni di siriani ancora nel paese. Inoltre continua ad essere una alleata acritica di USA e Turchia che stanno addestrando e finanziando nuovi gruppi armati contro il governo di Damasco e non si impegna a isolare economicamente i terroristi dell' Isis che continuano a portare avanti una guerra devastante con mezzi finanziari enormi.

Il primo impegno delle reti sociali europee dovrebbe allora essere finalizzato a fermare la guerra in Siria e spegnere in genere tutti i conflitti armati, una attività dell' associazionismo considerata scontata fino a pochi anni fa ma scomparsa quasi completamente negli ultimi anni. A un osservatore attento come Guido Viale tutto questo non può sfuggire e sarebbe utile che ne parlasse. Attendo fiducioso.

* Rete No War - Roma

http://contropiano.org/interventi/item/32878-caro-viale-e-il-no-alla-guerra

al link l' articolo di Guido Viale su Il manifesto

http://ilmanifesto.info/il-corridoio-della-solidarieta/


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Jor-el
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da www.contropiano.org

cut

Infatti quest' anno si prevede che più del 50% dei profughi arrivati in Europa siano siriani, nel 2014 è venuto dalla Siria il 37% di chi ha ottenuto lo status di rifugiato. Eppure l' Europa che sembrava accogliere in maniera entusiasta questo popolo infligge a Damasco pesanti sanzioni economiche rendendo sempre più difficile la vita dei 18 milioni di siriani ancora nel paese. Inoltre continua ad essere una alleata acritica di USA e Turchia che stanno addestrando e finanziando nuovi gruppi armati contro il governo di Damasco e non si impegna a isolare economicamente i terroristi dell' Isis che continuano a portare avanti una guerra devastante con mezzi finanziari enormi.

cut

Guido Viale, un altro ex incendiario.
Tra accoglienza entusiastica e guerra ad Assad la contraddizione è solo apparente. Comunque trovo molto positivo che dalle parti di contropiano.org ci si accorga di certe cose.


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bertol
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Concordo pienamente col messaggio di Marco e della Retenowar, che hanno ancora la pazienza di rapportarsi con un vasto settore della "sinistra radicale" che ha abbracciato la propaganda guerrafondaia della Nato, quantomeno dalla guerra alla libia in poi. Spero che Guido manifesti più coerenza di quanto mostrata da Adriano Sofri, suo co-lider in Lotta Continua, che invece da lungo tempo è un sostenitore pieno dell'Agenda Nato, e che ha giustificato primo fra tutti la guerra all'Irak, e naturalmente all'Afghanistan in nome della superiorità culturale dell'Occidente, poi dello smembramento della Jugoslavia (che ci ha regalato lo Stato ad alta concentrazione criminale del Kossovo, sede della più grande base Usa in europa), poi della guerra jdhista in Cecenia, per finire con la penosa difesa della moglie di un grande e ricco oligarca georgiano ricercato per truffa da più Stati. Non so se Guido avvierà quell' approfondimento richiesto e che porta ad individuare la presenza della Nato e la politica Usa come contraddizione principale da affrontare. Tutto è possibile ma se osserviamo il livello di dibattito nella sinistra estrema, mi sembra che non sia stata ancora avviata alcuna riflessione ed utocritica nemmeno sulla guerra alla Libia e destabilizzazione di Siria ed Ucraina. Rimarrà nell'infamia della storia della sinistra alternativa l'occupazione dell'ambasciata libica a Roma da promossa da Rifondazione per protestare contro un massacro mai avvenuto, dimostrando come facilmente si può essere utili idioti della Nato. Un silenzio imbarazzato ed opportunista è caduto su tutti quanti sostennero la necessità di "far cadere il dittatore" Gheddafi e ora Assad, come da perfetta agenda Nato.


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marcopa
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In realtà Viale in questo articolo precedente, del 26 agosto, scrive che le guerre sono forse la maggior causa dell' arrivo in Europa di migranti, quello che però non appare nei suoi scritti è 1) che l' interventismo militare è sempre attivo e quindi dobbiamo bloccarlo 2) che la presenza di guerre dipende anche dall' ignavia e dal cambio dei fini dell' associazionismo.

Marcopa

Accogliere i profughi per salvare l’europa
Inserito da Guido Viale on agosto 26, 2015 – 5:27

Profughi e migranti sono due categorie di persone che oggi distingue solo chi vorrebbe ributtarne in mare almeno la metà: fanno la stessa strada, salgono sulle stesse imbarcazioni che sanno già destinate ad affondare, hanno attraversato gli stessi deserti, si sono sottratte alle stesse minacce: morte, miseria, fame, schiavitù sapendo bene che con quel viaggio, che spesso dura anche diversi anni, avrebbero continuato a rischiare la vita e la loro integrità. I profughi e i migranti che partono dalla Libia per raggiungere Lampedusa o le coste della Sicilia non sono libici: vengono dalla Siria, o dall’Eritrea, dalla Somalia, dalla Nigeria, dal Niger o da altri paesi subsahariani sconvolti da guerre, dittature o da entrambe le cose.

I profughi e i migranti che partono dalla Turchia per raggiungere un’isola greca o il resto dell’Europa attraversando Bulgaria, Macedonia e Serbia non sono turchi (solo qualche curdo lo è per caso): sono siriani, afgani, iraniani, iracheni, palestinesi e fuggono tutti per gli stessi motivi. Sono anche di più di quelli che si imbarcano in Libia; ma nessuno ha ancora proposto di invadere la Turchia, o di bombardarne i porti, per bloccare quell’esodo prima che si imbarchino, come si sta invece proponendo di fare in Libia, fingendo che questa sia la strada per risolvere il “problema profughi”. Perché non si concepisce niente altro che la guerra per affrontare un problema creato dalle guerre: guerre che l’Europa, o qualcuno dei sui Stati membri, ha contribuito a scatenare; o a cui ha assistito compiacente; o a cui ha partecipato con propri contingenti.

Meno che mai ci si propone di andare a “risolvere” le situazioni siriana, o irachena, o afghana, già compromesse dalle “nostre” guerre, come si pensa invece di “sbloccare” quella libica. Bombardare i porti della Libia, o occuparne la costa per bloccare quell’esodo, non è, nella mente di chi ne propone o ne invoca la realizzazione, o ne attende con impazienza l’autorizzazione, niente altro che il rimpianto di Gheddafi: degli affari che si facevano con lui e con il suo petrolio e del compito di aguzzino di profughi e migranti che gli era stato affidato con tanto di trattati, di finanziamenti e di “assistenza tecnica”. Dopo aver però contribuito a disarcionarlo e ad ammazzarlo contando – e sbagliando – sul fatto che tutto sarebbe filato liscio come e meglio di prima.

Già solo questo abbaglio, insieme agli altri che lo hanno preceduto, seguito o accompagnato – in Siria, in Afghanistan, in Iraq, in Mali o nella Repubblica centroafricana – dovrebbe indurci non a diffidare soltanto, ma a opporci con tutte le nostre forze, delle proposte e ai programmi di guerra di chi se ne è reso responsabile.

Ma coloro che propongono un intervento militare in Libia, o mettono al centro del “problema profughi” la lotta agli scafisti, non sanno bene che cosa fare. Tra l’altro, bloccare le partenze dalla Libia non farebbe che riversarne quel flusso sugli altri paesi della costa sud del Mediterraneo, tra cui la Tunisia, redendo anche lì ancora più instabile la situazione. Ma soprattutto non dicono – e forse non pensano: il pensiero non è il loro forte – che cosa ci si propone con interventi del genere. Ma capirlo non è difficile: si tratta di respingere o trattenere quel popolo dolente, composto ormai da milioni di persone, in quei deserti che sono una via obbligata delle loro fughe, e che hanno già inghiottito molte più vittime di più di quante non ne abbia annegato il Mediterraneo; magari appoggiandosi, come si è cominciato a fare con il cosiddetto processo di Khartum, a qualche feroce dittatura subsahariana perché si incarichi lei di farle scomparire. E’ il risvolto micidiale, ma già in atto, dell’ipocrisia che corre da tempo in bocca ai nemici giurati dei profughi: “aiutiamoli a casa loro”.

Invece bisogna aiutarli a casa nostra, in una casa comune che dobbiamo costruire insieme a loro. Non c’è alternativa al loro sterminio, diretto o per interposta dittatura, o per entrambe le cose. Il primo passo da compiere è prenderne atto. Smettere di sottovalutare il problema, come fanno quasi tutte le forze di sinistra, e in parte anche la chiesa, pensando così di combattere o neutralizzare l’allarmismo di cui si alimentano le destre. Certo, 50.000 profughi (quanti ne sono rimasti di tutti quelli che sono sbarcati l’anno scorso in Italia) su 60 milioni di abitanti, o 500mila (quanti ne ha ricevuti l’anno scorso l’Unione Europea) su 500 milioni di abitanti non sono molti. Ma come si vede, soprattutto per il modo in cui vengono “gestiti”, cioè maltrattati, sono già sufficienti a creare allarmi e insofferenze insostenibili. Ma non bisogna dimenticare che quelli di quest’anno e degli ultimi anni non sono che l’avanguardia di altri milioni di profughi stipati nei campi del Medioriente e del Maghreb, o in arrivo lungo le rotte desertiche dai paesi subsahariani, che non possono – e non vogliono – restare dove sono. Vogliono raggiungere l’Europa e in qualche modo si sentono già cittadini europei, anche se non per questo dimenticano il loro paese di origine e il desiderio di farvi ritorno quando se ne presenteranno di nuovo le condizioni.

L’Unione europea, in mano all’alta finanza e agli interessi commerciali del grande capitale tedesco ha concentrato le sue politiche e i suoi impegni nel far quadrare i bilanci degli Stati membri a spese della popolazione e nel garantire che le sue grandi banche uscissero comunque indenni dalla crisi. Così, anno dopo anno, ha permesso o concorso a far sì che ai suoi confini si creassero situazioni di guerra, di caos permanente, di dissoluzione dei poteri statali, di conflitti per bande di cui l’ondata di profughi e di migranti, senza più futuro nei loro paesi, è la prima e più diretta conseguenza. Non saranno altre guerre, e meno che mai una politica feroce quanto vana di respingimenti, a mettere fine a questo stato di cose che le istituzioni dell’Unione non riescono più a governare né all’esterno né all’interno dei suoi confini.

A riprendere le fila di quei conflitti, e di quello che si sta producendo a causa degli sbarchi e degli arrivi, non può che essere un nuovo protagonismo di quelle persone in fuga nella definizione di una prospettiva di pace nei paesi da cui sono fuggiti. Ma questo, solo se saranno messe in condizione di organizzarsi e di contare come interlocutori principali, insieme ai loro connazionali già insediati da tempo sul suolo europeo e a tutti i nativi europei che sono disposti ad accoglierli e a impegnarsi direttamente per alleviare le loro sofferenze; e che sono ancora tanti anche se i media non vi dedicano alcuna attenzione.

Bisogna “accoglierli tutti”, come ha raccomandato più di un anno fa Luigi Manconi in un libretto che ne condensa l’esperienza di combattente per i diritti umani; dare a tutti di che vivere: cibo, un tetto decente, la possibilità di autogestire la propria vita, di andare a scuola, di curarsi, di lavorare e di guadagnare. Ma non sono troppi, in un paese e in un continente che non riesce a garantire queste cose, e soprattutto lavoro e reddito, ai suoi cittadini? Sono troppi per le politiche di austerity in vigore nell’Unione e imposte a tutti i paesi membri; quelle politiche che non riescono e non vogliono più a garantire queste cose a una quota crescente dei suoi cittadini e per questo scatenano la cosiddetta “guerra tra i poveri”.

Ma non sono troppi rispetto a quella che potrebbe ancora essere la più forte economia del mondo, se solo investisse, non per salvare le banche e alimentare le loro speculazioni, ma per dare lavoro a tutti e riconvertire, nei temi necessari per evitare un disastro irreversibile e di dimensioni planetarie, tutto il suo apparato economico e produttivo, e le sue politiche, in direzione della sostenibilità ambientale. Il lavoro, se ben orientato, è ricchezza. D’altronde l’alternativa a una svolta del genere non è la perpetuazione di un già ora insopportabile status quo, ma uno sterminio ai confini dell’Unione e la vittoria, al suo interno, delle forze autoritarie e scopertamente razziste che crescono indicando nei profughi, ma anche in tutti gli immigrati, nei loro figli e nei loro nipoti, il nemico da combattere. E se non direttamente di quelle forze, certamente delle loro politiche fatte proprie da tutte le altre.

Così il problema creato dai profughi, non previsto e non affrontato dalla governance dell’Unione, perché o non ha né posto né soluzione nel quadro delle sue politiche attuali, può diventare una potente leva per scardinarle a favore del progetto di un grande piano per creare lavoro per tutti e per realizzare la conversione ecologica dell’economia: due obiettivi che in una prospettiva di invarianza del quadro attuale non hanno alcuna possibilità di essere realizzati. E’ a noi italiani, e ai greci, che tocca dare inizio a questo movimento. Perché siamo i più esposti: le vittime designate del disinteresse europeo.


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