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Caso Mondadori. La vera alternativa è l'autoproduzione


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Il grande tema di fine estate («Scrittori e lettori Mondadori: che fare?»), capace di suscitare massicce discussioni in rete e sulla carta stampata non è certo nuovo né scoperto da Vito Mancuso. Difficile, certo, definirlo questo tema, che deve la sua forza catalizzatrice forse al suo carattere ambiguo: questione politica, etica, letteraria, o di costume? Di certo, questa volta, esso ha suscitato prese di parola da parte dei più diversi e autorevoli tra scrittori, critici, intellettuali, oltre che da parte di una combattiva popolazione di commentatori in rete. Nonostante alcuni effetti di spossante monotonia, sono state dette, in tale occasione, anche cose interessanti, intelligenti, a volte persino molto divertenti (la scena di Luca Casarini accolto a Segrate rimarrà memorabile quanto i primi passi di Marcel nel salotto dei duchi di Guermantes).

Sacrificando molte sfumature, verrebbe da dire che il dibattito ruota sull'opportunità o no di boicottare da parte di scrittori ad essa affiliati la casa editrice Mondadori. Alcuni si spingono a sostenere un boicottaggio nei confronti di ogni prodotto editoriale Mondadori (purché il consiglio di classe del loro figlio non adotti il libro di matematica o italiano di una casa editrice scolastica facente capo a Segrate!). Se si parla di boicottaggio, si parla di una campagna politica. Un boicottaggio, per avere senso, deve darsi degli obiettivi pratici, ben definiti e ad esso adeguati. Immagino io che se si lancia una campagna contro la Mondadori, essa fa parte della più ampia battaglia politica che una fetta importante di italiani ha ingaggiato contro il governo e la politica di Silvio Berlusconi, una battaglia che ha uno chiaro obiettivo: non farlo rieleggere, sottrargli quei poteri politici che gli permettono, ad esempio, di creare leggi per depenalizzare frodi fiscali che qualche sua azienda ha potuto o potrebbe realizzare. Questa battaglia politica si può concretizzare di volta in volta in campagne specifiche: per il ritiro della legge-bavaglio, contro i tagli alla scuola e alla ricerca universitaria proposti dalla riforma Gelmini, e così via.
Di ogni campagna politica, così come della battaglia più generale in cui essa confluisce, si può chiaramente dire: 1) se abbia raggiunto o meno i suoi scopi; 2) se abbia adottato o meno le forme più efficaci e adeguate per essere perseguita. Quali sono gli scopi verosimili, plausibili, di una campagna per il boicottaggio della Mondadori propugnata da autori che, fino a ieri, erano nel suo catalogo? L'indebolimento (magari il crack) dell'impero economico di Berlusconi? Ma il rendere Berlusconi un po' meno ricco non sembra un obiettivo politico, a meno di immaginare che le pressioni esercitate dalla campagna di boicottaggio su una delle sue aziende non lo inducano ad abbandonare il governo o a cambiare politica. Tattica alquanto tortuosa e, date le circostanze, poco realistica nei suoi esiti.

Qualcuno dirà che, in effetti, non si tratta di una campagna politica, bensì di una campagna moralizzatrice. Non contano più gli obiettivi concreti, conta la capacità degli autori Mondadori di fare dei gesti esemplari, che hanno valore in sé, in quanto testimoniano di un'opposizione intransigente, capace di giungere sino al sacrificio di vantaggi materiali. Qui sembra che il nemico non sia più Berlusconi, ma "il berlusconismo", ossia il lato Berlusconi di ognuno di noi. Il significato di una campagna moralizzatrice è grosso modo questo: se Berlusconi ha vinto è perché tutti noi (elettori o meno di Berlusconi) abbiamo ceduto al "berlusconismo". Qui siamo passati, però, dalla battaglia politica (non fare rieleggere Berlusconi, bloccare i provvedimenti del suo governo) a una battaglia culturale (cacciare fuori dalla nostra pelle e dalle nostre menti il "berlusconismo"). Ma che cos'è questo "berlusconismo"? Non è la forma propriamente italiana, quella più aggiornata, della mercificazione sempre più estesa della vita che tutti i paesi del capitalismo avanzato conoscono? O meglio, il "berlusconismo" non è che uno dei nomi di questa cultura da tutti condivisa - una volta si diceva "ideologia dominante" - in quanto essa, nonostante le differenze negli stili di vita, ha permeato la nostra formazione o il nostro invecchiamento sociale sia a destra che a sinistra. Non siamo tutti quanti a bagno nella merce, sia essa solida o digitale, in forma di beni o di servizi? Così va il nostro mondo, nell'epoca in cui siamo venuti al mondo. E questo non significa certo né che questa cultura del tardo capitalismo sia l'unica cultura di riferimento né che sia impossibile, per noi che vi siamo nati in mezzo, sottoporla a critica anche radicale. Se comunque è questa la battaglia culturale in cui siamo ingaggiati, è evidente che è altamente difficile definire obiettivi circoscritti e verificabili. A questo punto diventa arduo decidere se sia più opportuno ed efficace, per uno scrittore, realizzare la sua battaglia contro la mercificazione abbandonando la casa editrice Mondadori o scrivendo per la Mondadori un libro che manifesta, nell'onda lunga della ricezione, altri valori, altre possibilità di vita più degne e umane di quelle offerte dalla società presente. L'esemplarità riguarda sia il gesto concreto di un individuo, al cospetto del gruppo sociale che ne legge il senso, sia il messaggio complesso e stratificato di un testo letterario che agisce sulla visione del mondo di ogni lettore.

Molti scrittori, intervenuti nel dibattito in corso, si sono mostrati convinti, pur in maniera diversa, che boicottare la Mondadori non è un passo decisivo nella battaglia culturale per una società meno mercificata. Io aggiungerei una cosa soltanto. Boicottare l'editoria capitalista sarebbe un passo decisivo in questo senso, dedicandosi interamente a forme di editoria digitale autoprodotta e finanziata da lettori altrettanto impegnati in tale boicottaggio. Se esistono scrittori che hanno convinzioni anticapitalistiche radicali, essi senz'altro staranno battendo questa strada. Un gesto davvero utopico e di sfida non potrà limitarsi, per chi è un autore noto, al passaggio da un'azienda del capitalismo tracotante ad un'azienda del capitalismo temperato. Dove starebbero, in tal caso, il coraggio e il sacrificio esemplari? Che un autore da 50.000 copie decida di autoprodursi il proprio libro in rete, finanziandosi con una sottoscrizione di lettori, questo sì che sarebbe un gesto capace di scuotere le coscienze e di sconvolgere le odierne pratiche editoriali.

Andrea Inglese
Fonte: www.ilmanifesto.it
5.09.2010


Citazione
grillone
Prominent Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 880
 

questo è tanto piu vero con internet e le nuove tecnologie 😀 quando i vari kindle e simili arriveranno sul mercato a prezzi accettabili, per le case editrici tradizionali sarà la fine 😆 prima arriverà quel gioro, meglio sarà per tutti noi 🙂


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