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Comunista? Veramente?


Tao
 Tao
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Guardo la testatina de il manifesto e trovo «quotidiano comunista». Ma poi leggo il fondo di domenica 3 settembre di Augusto Graziani («Cercando la ripresa») e mi chiedo: comunista? Veramente? Intendiamoci, ho grande stima di Graziani. Lo considero uno degli interlocutori più preparati e più seri nella ricerca di un percorso di uscita dalla crisi che stiamo attraversando. Credo che sia giusto e necessario che egli trovi un ampio spazio sul manifesto. Ma il fondo è... il fondo, rinvia ad un modo di vedere l'attualità che è propria o almeno condivisa dal quotidiano. Si dirà, ma che cosa non era condivisibile nella lucida argomentazione di Graziani? Cercherò di spiegare il mio disagio.

Nelle sue note Graziani riassume, con la chiarezza che lo caratterizza, l'abc del pensiero economico progressista sulle vie da battere per la ripresa produttiva in Italia. Ma il pensiero comunista non utopistico, per come lo conosco, non è una politica economica progressista, bensì una critica dell'economia politica. Una critica che sarebbe stata necessaria per il fatto che la forma di pensiero propria dell'economia politica non consentiva di cogliere gli svolgimenti contraddittori dell'evoluzione sociale. Ridotto all'osso, il discorso di Graziani è: per «trovare» la ripresa basta accrescere gli investimenti pubblici e privati, vendere di più all'estero e fare trainare i consumi da questi interventi economici. Magari le cose fossero così semplici. Non ci sarebbe alcun bisogno del più complesso pensiero comunista che cerca di cogliere aspetti della dinamica sociale ed economica che in genere gli economisti non vedono.

Ad esempio. Graziani chiude il suo fondo affermando: «se vogliamo proporci un accrescimento parallelo dei salari e dei profitti, occorre puntare su una presenza ininterrotta del progresso tecnologico, che consenta di dare maggiore spazio a tutte le forme di reddito, senza che l'espansione dell'una debba necessariamente avvenire a spese dell'altra».Se ciò fosse realmente possibile, il pensiero critico di impostazione comunista dovrebbe essere buttato a mare e, secondo me, anche quello di impostazione keynesiana. Scompaiono infatti del tutto sia il problema marxiano della svalorizzazione conseguente all'accumulazione, sia quello keynesiano della limitatezza della domanda aggregata, che può costituire un ostacolo all'accumulazione. I rapporti capitalistici sono infatti antagonistici non perché i capitalisti si comportano da cattivi, ma perché finiscono nei guai cercando di procedere secondo i loro principi comportamentali, che sono poi quelli che gli economisti hanno recepito come ottimale, purgandoli della loro natura contraddittoria.

Non è un caso che molti economisti progressisti continuino ad additare come esempi da seguire paesi come la Francia e la Germania, che stanno attraversando una crisi altrettanto profonda della nostra. Aggiungo che sono stato sollecitato ad intervenire anche dal fondo di Valentino Parlato della scorsa settimana nel quale sosteneva, come già aveva fatto Galapagos un paio di anni or sono, che attualmente non ci «sarebbe un problema di domanda, ma piuttosto un problema di offerta». In realtà, il problema è proprio quello di trascendere questa falsa opposizione nella quale siamo stati impantanati per quasi un trentennio. Il mondo è cambiato molto più profondamente di quanto i coriferi della globalizzazione non credano, ma non è il pensiero economico che può aiutarci a comprendere i mutamenti intervenuti.

Giovanni Mazzetti
Fonte: www.ilmanifesto.it
9.09.06


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