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Cosa insegna Eluana sull’animalismo


Tao
 Tao
Illustrious Member
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L'idea di una linea di confine invalicabile tra l'uomo e l'animale costituisce uno dei principali fondamenti del pensiero occidentale. L'impermeabilità di tale confine ha immense conseguenze pratiche non solo per gli altri animali - che vengono considerati oggetti di proprietà e, come tali, passibili di essere mangiati, sperimentati e utilizzati in qualunque modo al fine di soddisfare i nostri interessi - ma anche per noi, in quanto da esso discende il modo in cui l'umanità si auto-definisce.
È evidente, infatti, che la divisione "uomo/animale" influisce su cosa pensiamo del nostro essere - scisso in un "alto" spirituale e in un "basso" corporeo e animale - e sulla nostra organizzazione sociale - divisa in classi più o meno "umane", dove alcuni, ritenuti simili alle bestie, dai barbari e dagli schiavi di un tempo ai rom e ai migranti di oggi, possono essere trattati come tali.

Il confine "uomo/animale" non è, però, "naturale", ma piuttosto è percepito come tale poiché, in quanto continuamente ribadito, ha assunto le forme del senso comune, di qualcosa di assolutamente certo e indiscutibile. Ciò è reso evidente dalla risposta che abbiamo dato alla comparsa sulla scena di esseri difficilmente catalogabili secondo lo schema tradizionale - si pensi, ad esempio, alle scimmie antropomorfe e ai nostri antenati ominidi -, risposta quasi sempre consistita nell'elaborazione di definizioni sempre più ristrette di ciò che si considera umano, al fine di escludere quanto non rispettasse l'idea di una differenza insuperabile tra noi e il resto del vivente, mettendo così al sicuro la nostra presunta dignità. Questo, in fondo, non è diverso da quanto è richiesto che facciano rituali e tabù, i quali hanno appunto il compito di regolare tutte quelle situazioni dove l'organico - la nascita, la sessualità, la morte, l'espletazione delle funzioni corporee - irrompe nel sociale con la potenzialità di scompaginarne le categorie.
Il recente sviluppo delle tecniche di rianimazione ha imposto alla nostra cultura un confronto sempre più serrato con il nostro corpo, un altro "ente" che, in quanto intermedio tra il "naturale" e lo "spirituale", destabilizza il dualismo del pensiero occidentale, provocando così la nascita di nuovi tabù.

La battaglia condotta su ciò che resta di Eluana è stata virulenta proprio perché ha toccato le corde più profonde del nostro intero impianto metafisico, chiamandoci alla necessità di una rinnovata definizione dello statuto del corpo. Se infatti accettiamo che il corpo non sia solo qualcosa di meramente materiale - un necessario supporto di ciò che è considerato propriamente umano o, peggio ancora, la prigione dell'anima -, ma piuttosto quel tramite che rende noi e gli altri animali capaci di essere nel mondo, di provare affetti ed emozioni, di relazionarci con gli altri, ecco che arriviamo a mettere in dubbio quel confine da cui siamo partiti e gli interessi di chi, come la Chiesa, ha necessità di mantenere una netta divisione tra lo spirituale e il materiale. Chi si richiama alla visione dualistica che oppone l'anima al corpo, la cultura alla natura, l'uomo all'animale, deve necessariamente difendere l'idea che il "corpo" di Eluana, nonostante sia morto parecchi anni fa quando ha perso la caratteristica di tramite verso l'altro da sé, sia comunque sacro e inviolabile. Per chi si richiama alla tradizione, il "corpo" di Eluana è sacro perché sacrificabile sull'altare della dignità umana.

Che la definizione dello statuto da assegnare al corpo chiami in causa le nostre tradizionali categorie è anche mostrato dal fatto che chi accetta il primato dello spirito abbia abbracciato posizioni tipiche del materialismo naturalista (la vita è definita esclusivamente dalla presenza di un qualche aspetto che attiene alla mera fisiologia) e che chi si ritiene materialista abbia accettato che il corpo non venga riassunto in una mera sommatoria di organi. Affermare: «Eluana non deve morire», indipendentemente dalla volontà di chi subisce le conseguenze delle nostre scelte, è allora qualcosa, questo sì, di profondamente innaturale e offensivo della nostra e altrui dignità, qualcosa che, a favore di una bizzarra idea della vita, rifiuta l'unico confine naturale - quello della morte -, trasformando l'amore nella riduzione dell'altro ad oggetto di possesso al fine di ribadire la propria ideologia. Al contrario, l'accettazione della finitezza dell'esistenza e il fatto che la dignità di Eluana non risiede nei tubi che artificialmente la tengono in "vita", è l'espressione di una profonda compassione per l'estrema vulnerabilità dei corpi - di tutti i corpi viventi - che, entrando in rapporto tra loro, aprono lo spazio di una possibile con-vivialità E di una possibile liberazione.

Massimo Filippi e Alessandra Galbiati
Fonte: www.liberazione.it
11.12.08


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