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Diritto d'autore

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Primadellesabbie
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Quindi uno che vive come uno squinternato, che si droga, che non sa gestire il denaro, che passa il tempo nei bordelli prendendosi la sifilide, che muore di overdose affogato nel proprio vomito, in che modo sta rispettando la propria individualità?
E soprattutto cosa intendi per individualità.

(Non mi chiedi chi è che si comportava così, vero? Credimi che qualcuno ce n'è stato)

Ma perché da un estremo all'altro?

Certo sarebbe importante rendere bene l'idea di come possa essere inteso un comportamento come quello che ho definito di impeccabile rispetto della propria individualità, ma non mi riesce di spiegare quello che credo di aver capito, meglio di come ho cercato di fare, ed entrare nel dettaglio sarebbe arbitrario e aprirebbe la strada alla ramificazione dispersiva dell'ipotetico. Senza contare l'alto rischio di essere fraintesi, in questa delicata materia, da chi dovesse leggere, viste le gabbie culturali (dalle quali non ti vedo proprio completamente libero), tra le quali ci muoviamo.

E, francamente, non vedo lo spazio per una polemica invalidante di quanto ho esposto (che nessuno é obbligato a credere vera), seguendo questa strada.

E non é nemmeno sicuro che tutti quelli che celebriamo perché abbiamo deciso di considerare artisti o scienziati lo siano stati.

A me non risulta che Einstein, cui il destino ha consentito intuizioni per indagini vertiginose, praticasse una vita con le caratteristiche che illustri, e lo cito solo per cercare di allontanare l'accostamento che mi sembra ossessivo.

Per l'individualità, soprattutto in antitesi ed alternativa alla personalità, rimando ancora al link di Osho che avevo sottomano.


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Ma non capisco perché devi considerarlo polemico.
Hai portato due esempi uno di un artista e uno di un inventore.
Gli inventori non so bene come siano, gli artisti sí e una altissima percentuale si distingue dal punto di vista biografico per essersi metodicamente distrutta nel fisico.
Il fisico quindi non fa parte dell'individualità (evidentemente...).
Bach era un signore molto morigerato al di là del trombare dove eccedeva stando al numero dei figli ma stiamo sul salutare; Beethoven invece si ubriacava di vini pessimi, come Mozart, come Samson Francois che però beveva champagne, la cocaina se la pippano di brutto una marea di pianisti dalla A a AW a ABM che ha passato un anno in un convento di francescani per questo motivo.
Domenico Scarlatti era un ludopatico che perse gran parte della fortuna che aveva accumulato come musico dei re di Spagna.
Mussorgsky beveva come una spugna e si masturbava in maniera compulsiva tanto che scriveva al suo collega Borodin celebre chimico e farmacista per sapere se ne sarebbe diventato cieco.
Antonio Bazzi non c'è bisogno che ti dico a quale stravizio si abbandonava, no?
È noto come "il Sodoma"...

Sai bene che di artisti che si sono autodistrutti fino alla morte o alla rovina ce ne sono moltissimi e fra i migliori.
Allora è ovvio che uno si chieda cosa è questa individualità perché intanto abbiamo appurato che non è l'integrità del fisico e non è una considerazione banale perché significa senza dubbio che mantenere questa individualità porta a una situazione conflittuale col mondo.
Non per tutti, non tanto per gli scienziati pare, ma per la maggior parte degli artisti non di regime e non accademici, sí il che porterebbe a credere che un atto creativo è molto diberso da un atto cognitivo.
Poi mi dici che non vuoi entrare nel dettaglio e allora fai cadere il discorso però io non ho capito cosa intendi tu, né Osho (che credo di arte ci capisse pochino), né cosa c'entrasse il diritto di autore.

PS: l'arte di consumo fra l'altro si preoccupa moltissimo di presentare gli artisti comme il faut e guarda caso il tipico artista rock "deve" drogarsi, "deve" bere, l'attore giovane e bello preferibilmente dovrebbe morire in un incidente con una macchina sportiva...si tratta in sostanza di ricopiature di stereotipi ma sta di fatto che "esiste" uno stereotipo per cui l'artista deve autodistruggersi.
Questo in effetti non è necessariamente in contrasto con la propria "individualità" ma certo che la devi definire perché che sia compatibile con l'autodostruzione fisica o psichica (Syd Barrett e una infinità di altri) è un fatto abbastanza misterioso.

Bisognerebbe chiedere a Osho.


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vic
 vic
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L'ossessione

Sto pensando ad un artista grigionese molto noto nel mondo: Alberto Giacometti.
Poiche' ci sono tante sue interviste, e testimonianze di chi gli stette vicino, si puo' dire che Giacometti era ossessionato dalla sua arte. Dal comprendere cos'e' una testa, cioe' di come lui artista vedeva una testa.
Questa ossessione se la tiro' dietro fin nel letto di morte, dove, pare, ancora avesse in mano dell'argilla da modellare.

Tesla pure era ossessionato dai suoi interessi tecnico/scientifici.

Se questo impulso ossessivo dell'artista (per me Tesla era un artista nel suo campo) sia esclusivamente individuale oppure frutto della collettivita' in cui uno vive, e' cosa discutibile. Molti per esempio mettono in relazione la produzione di Giacometti con la morfologia della sua valle. Quindi ci sarebbe un'influenza addirittura geomorfologica, non solo sociologica.

Ma la questione dei brevetti e' diversa. Perche' al giorno d'oggi tocca non solo individui umani, gli artisti in senso lato, ma pure individui giuridici, per esempio le multinazionali farmaceutiche.

Siamo arrivati all'obbrobrio che questi individui giuridici sfruttando la legge sui brevetti a proprio favore, si accaparrano diritti brevettuali sostanzialmente naturali, ovverossia di tutti, uomini, animali, piante batteri, ecc.
Brevettare un DNA e' cosa assurda, senza senso. Eppure e' cosa corrente.

Cio' che succede in pratica e' dunque che le varie corporations ingaggiano gente abile, diciamo artistica nel proprio campo, affinche' produca idee brevettabili per l'azienda.

Tenendo conto di cio' il discorso sul diritto d'autore andrebbe visto anche, forse soprttutto, nell'ottica industriale. Alla fin dei conti anche quella dell'intrattenimento, musicale o cinematografico che sia, e' una industria. Che sfrutta la legge sui diritti d'autore pro domo sua, molto meno per difendere la creativita' dell'artista in se'.

Creativita' che ha si' un che di geniale ed intuitivo, ma pure molta ossessione, ossia sudore e testardaggine nel perseguire un pensiero, un'idea, fino a metterne in mostra la realizzazione pratica, usufruibile allora da tutti.

Infine c'e' l'aspetto pratico. E' ovvio che una multinazionale riesce a difendere i propri brevetti molto meglio dell'artista (in senso lato) solitario. Non sono rari i casi in cui una grande industria s'e' appropriata dei brevetti di un individuo, per metterli nel cassetto, poiche' quei brevetti potevano nuocere all'attitivita' dell'industria medesima.

Cosa che fa d'altronde pure lo Stato, specialmente lo Stato indispensabile, quando tema del brevetto e' qualcosa con potenzialita' applicative militari.

L'altra faccia del brevetto e' lo spionaggio industriale e pure la retroingegneria.
Guarda caso, praticate sia dalle grandi industrie, sia dagli stati indispensabili.


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A proposito di Giacometti

Questa è sua al Guggenheim

Questa battezzata da D'Annunzio "L'ombra della sera" è etrusca, al Guarnacci di Volterra


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riefelis
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C'é qualcuno che voglia rispondere?

Ciò che Michelangelo vede e ciò che Tesla intuisce esiste già, da qualche parte, sotto qualche forma?

Michelangelo e Tesla sono dei creatori o dei tramiti, in grado di intuire, percepire e portare a conoscenza cose che altri non vedono, ma sono poi capaci di riconoscere?

E' semplicemente un'argomentazione assurda.
Una di quelle frasi suggestive e belle da dire ma che non significano nulla
Conservala per un di quei noti ciocolatini di Perugia...


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comedonchisciotte
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Dimenticavo Hoeg: "Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando.Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere".
("Il senso di Smilla per la neve", p.427)

Il punto è questo ma è espresso in maniera che ritengo sommaria e piuttosto sentimentale.
Perché la frase acquisisca realmente senso si deve definire quel

"Ciò che abbiamo la possibilità di comprendere"

In base a che abbiamo questa possibilità?

Io quella frase l'ho sempre intesa come un'organizzazione mentale che consente di riconoscere, dare nome, classificare ciò che vediamo. In generale le chiamo "categorie", ma altri potrebbero usare "tassonomie". In termini più rigorosi userei "ontologie" cioè sistemi di conoscenza che incorporano dei concetti già noti allo scopo di classificare ordinatamente ciò che esiste. Quindi il sistema consente di riconoscere degli enti, ma allo stesso tempo impedisce di vederne altri.
Un esempio viene da Einstein, qui citato, il quale non riuscì mai a sviluppare categorie adeguate per la meccanica quantistica, la quale da circa un secolo è rimasta ontologicamente incompatibile con le due relatività.

Ripensandoci non posso fare a meno di aggiungere il fatto che la tecnica contribuisce a questi sistemi. Fino all'epoca di Omero qualsiasi sistema concettuale doveva essere mnemonico, oggi posso usare la carta stampata o il computer per liberare la mia memoria a dedicarla a compiti diversi dalla pura memorizzazione.

In base a cosa noi riusciamo a vedere qualcosa che prima non vedevamo eppure stava sotto i nostri occhi?

"La lettera rubata" di E. A. Poe forse può fornire qualche suggerimento.
Si potrebbe dire che un oggetto può essere realmente visto solo se lo stiamo cercando, ma questo sarebbe ancora una volta il concetto di Hoeg. L'esempio di Poe mostra però come un ente può esistere, ma essere invisibile per tutti. Tranne che per uno.


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Io quella frase l'ho sempre intesa come un'organizzazione mentale che consente di riconoscere, dare nome, classificare ciò che vediamo. In generale le chiamo "categorie", ma altri potrebbero usare "tassonomie". In termini più rigorosi userei "ontologie" cioè sistemi di conoscenza che incorporano dei concetti già noti allo scopo di classificare ordinatamente ciò che esiste. Quindi il sistema consente di riconoscere degli enti, ma allo stesso tempo impedisce di vederne altri.

Ecco, secondo me questo è "un modo" di comprendere.
Nell'arte per esempio la classificazione non avviene sempre e solamente secondo criteri razionali.
Pensare per categorie (o come le si voglia chiamare) è il riflesso della stratificazione sociale, non un modo di pensare di default dell'uomo o dotato di uno statuto ontologico per cui le categorie esistono indipendentemente da chi le pensa.

Se ti interessa qui c'è una breve presentazione di un professore di antropologia che parla di questo

http://www.sociologia.unimib.it/DATA/Insegnamenti/13_3289/materiale/5%20classificazione%20percezione%20e%20prelogismo.pdf

Ne copincollo un passaggio


Le categorizzazioni non sono a-priori, cioè non
esistono prima dell’esperienza (categorizzazioni
pre-costituite nel pensiero);

Le categorizzazioni non sono il prodotto
dell’esperienza;

Bensì:

La società fornisce il modello di classificazione
che il pensiero applica. => la classificazione delle
cose riproduce la classificazione degli uomini (per
es. cose assimilate ai maschi e cose assimilate
alle femmine).


Le categorie sociali rappresentano il modello per
costruire categorie logiche.

I raggruppamenti si fondano non sulla base di caratteri
intrinseci naturali degli elementi, bensì sulle modalità di
raggruppamento presenti nella società.

Più la società diventa complessa, più complesse
diventano i sistemi di classificazione (binarie,
quadripartite, ecc.).

Soltanto successivamente i modelli sociali eserciteranno
minore influenza e avrà più importanza la capacità di
pensiero individuale (lo sviluppo del pensiero
scientifico), ma le tracce dei sistemi di classificazione
primitiva permangono

Qui considera pensiero individuale quello scientifico e vabbe'...comunque riguardo alla natura delle classificazioni mi sembra interessante.

Fino all'epoca di Omero qualsiasi sistema concettuale doveva essere mnemonico, oggi posso usare la carta stampata o il computer per liberare la mia memoria a dedicarla a compiti diversi dalla pura memorizzazione.

La mia idea è che "mnemonico" ai tempi di Omero fosse una cosa molto diversa da oggi.
In sostanza penso che fosse una sorta di immedesimazione totale.
Il marinaio o il filosofo interessato al movimento degli astri compiva automaticamente una analogia fra l'universo che osservava e il proprio essere sia fisico che psichico, tenendo conto che nell'antichità il concetto di "IO" era molto diverso e quindi in un certo senso la distinzione fra soggetto che osserva e oggetto osservato - assolutamente essenziale per il modo di pensare scientifico - non era così netta come è per noi oggi.
Questo processo cognitivo nell'antichità è appunto un esempio di uno dei molti modi possibili di "comprendere".


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vic
 vic
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Giacometti e il subconscio collettivo

Uhm, interessante quella statuina etrusca, pure molto bella.
Adesso che ci penso, i Reti, antenati degli odierni Grigionesi a quanto pare
erano degli Etruschi, emigrati dall'Etruria. Il loro capo si chiamava appunto Reto.
Nome diffusissimo nei Grigioni.

Ogni tanto mi pongo la domanda se per caso nel reto-romancio non sia sopravvissuta qua e la' qualche traccia della lingua etrusca.

Siccome non sappiamo bene come funzioni il subconscio collettivo, non escluderei che il Giacometti vi abbia avuto, per misteriose vie, accesso.

So che gira in Bregaglia anche un'altra teoria piu' terra-terra sul perche' Giacometti si sia messo a realizzare quelle famose statue slanciate filiformi.
Be' aveva sottomano, a quanto pare, una gran quantita' di ferro recuperato
dai cantieri, che si adattava perfettamente per realizzare le sue famose statue
lunghe e strette.

Questa spiegazione terra-terra mi intriga perche' puo' essere adattata anche all'architetto Mario Botta. Lui, crescendo in mezzo ai bidoni enormi dei depositi di carburante, s'e' fatto prendere dall'ossessione degli edifici tondeggianti, grandi e vagamente cilindrici. Sfido, e' una forma che vedeva ovunque volgesse lo sguardo!

My 2 cents da non prendere troppo sul serio
😉


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Primadellesabbie
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@ PersicusMagus

Dici:

"...né cosa c'entrasse il diritto di autore. ..."

Se riteniamo l'azione 'creativa', artistica o scientifica, derivata esclusivamente dalle qualità dell'autore, che in questo caso sarebbe un creatore, é una cosa, se riteniamo che derivi dalla disciplina dell'autore, che ne farebbe un messaggero, si tratta di tutt'altra cosa.

Nel primo caso il diritto d'autore avrebbe un qualche fondamento, nel secondo proprio no. Naturalmente é un'opinione.

(Con ciò non sostengo che queste persone non vadano adeguatamente onorate e remunerate, ma il diritto d'autore, vista la dizione, ha una ragione d'essere ben precisa).

E poi dici:

"...Sai bene che di artisti che si sono autodistrutti fino alla morte o alla rovina ce ne sono moltissimi e fra i migliori.
Allora è ovvio che uno si chieda cosa è questa individualità perché intanto abbiamo appurato che non è l'integrità del fisico e non è una considerazione banale perché significa senza dubbio che mantenere questa individualità porta a una situazione conflittuale col mondo.
..."

Ti risulta che sia sempre stato così, anche in Grecia, in Egitto, in Persia, in India, in Cina?

Io mi farei qualche domanda in questo senso.

...Poi mi dici che non vuoi entrare nel dettaglio e allora fai cadere il discorso però io non ho capito cosa intendi tu, né Osho (che credo di arte ci capisse pochino), ...

Osho l'ho messo perché parla dell'individualità, non per l'arte, e mi pare impossibile che tu non capisca.

Credo si possa rinunciare, se si vuole capire (mi pare questo sia l'ostacolo), ad esigere una spiegazione che debba fare per forza riferimento o debba risolversi in un "sistema" o in un'applicazione sociale.


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Comincio a inquadrare il tuo punto di vista.
Sei un grande ascoltatore, molto meglio di me, ma a volte bisogna tirarti fuori le cose con la pinza. 🙂

Su questo tema mi sembra che siamo su posizioni opposte.
Tu sei rimasto colpito dal mio insistere sulla sregolatezza ma io ne parlavo per rispondere a qualcosa che a mia volta ritengo frutto di una "gabbia culturale" (come la chiami tu) e cioè la parola "impeccabile" che a nel mio modo di vedere è stranissima o meglio dice più cose di quelle che sembra dire.
Perché in arte impeccabile troppo spesso è un limite a meno che non diventi lo stigma di uno stile che - e si torna al mio argomento - ha come scopo "estetico" il distinguersi orgogliosamente e sdegnosamente dal mondo, in altre parole una ribellione o sregolatezza anche questa (uno per tutti, Arturo Benedetti Michelangeli che infatti da molti era considerato un freddo troppo tecnico proprio perché impeccabile).
Impeccabile rivela il continuo autocontrollo, di fondo una paura di sbagliare, il desiderio di adeguarsi a un modello, una cesura fra la realizzazione e la presentazione per cui la cosa "calda e ancora fumante" non la vedrai mai.
Una pittura impeccabile la fa Ingres, la fanno gli accademici, non potresti mai definire impeccabile un quadro di Monet, sarebbe una definizione senza senso.
Goya è impeccabile nella Maja Desnuda ma è solo quando la sua pittura cessa di essere impeccabile, sia nella tecnica che nella ambiguità dei temi, come nella Quinta del Sordo al Prado, che diventa grandissimo.
Ora se io iniziassi a disquisire sulle implicazioni di quella parola (che naturalmente è il sintomo del tipo di visione e di approccio) apparirei arbitrario e prevaricatore mentre se entrambi - se lo troviamo interessante - elaboriamo il discorso quelle implicazioni, di cui sia io che te non sappiamo tutto finché non verbalizziamo più a fondo, vengono fuori in maniera più spontanea.

Per entrare in un dettaglio: tu mi chiedi di riflettere se anche nell'antica Grecia, Persia, Egitto gli artisti fossero sregolati come spesso è capitato nell'arte occidentale degli ultimi secoli.

1) in quelle epoche l'aspetto individuale della creazione artistica era nettamente in secondo piano rispetto alla "tradizione". È nel mondo occidentale che nasce l'individualità come la conosciamo e nasce innanzitutto come "conflitto" fra questa stessa individualità che è desiderio di differenziazione e la società o meglio il sistema di potere materiale, culturale e spirituale della società.
Quando l'artista presenta una individualità spiccata appaiono gli atteggiamenti conflittuali che si configurano come sregolatezza.
Ora i greci li conosco poco ma nei latini, Catullo, Lucrezio, Properzio, Tibullo, mi pare abbastanza evidente.
Per di più tu per individualità intendi una cosa molto particolare che io credo di aver capito ma che è diversa dalla individualità di cui ho parlato riferita agli artisti.
Se non si chiarisce questo le cose si complicano un po'.

2) ma c'è un altro punto. Ammettiamo per semplificare che "non tutti gli artisti sono sregolati" dove con "sregolati" mi riferisco al fatto che abbiano delle tendenze autodistruttive principalmente nel fisico ma alla fine, come è ovvio, anche nella psiche.
Immagino che sarai d'accordo che "molti" celebri artisti però ce l'avevano questa tendenza.
Allora secondo te autodistruggersi fisicamente e psichicamente fa parte dell'assoluto rispetto della propria individualità?
Se ritieni che in quel caso "non" si tratti di rispetto dell'individualità devi riconoscere che questo metodo del rispetto non funziona per tutti.
Per alcuni varrebbe il metodo opposto, non sei d'accordo?

Come mai, secondo te?

In cosa si può distinguere il carattere della produzione artistica dello sregolato da quella di chi è invece dedito al "rispetto"?

___________________________

I problemi di questo dialogo fra me e te dal mio punto di vista sono in alcune parole che credo significhino molto più di quello che appaia superficialmente.

In particolare la parola "individualità" e " il vero me stesso" di cui parla Osho.
Individualità non è la coscienza, non è l' "io" ma è qualcos'altro e appunto l'artista sregolato deve sacrificare il proprio "io" cosciente, il proprio fisico, la propria psiche ossia tutto ciò che fa parte della "individualità" comunemente intesa per salvaguardare l'altra individualità che è quella, per semplificare, più vicina a ciò che con una parola molto stupida chiamiamo "inconscio".
Io userei altri termini: l'artista sregolato, l'artista che crea davvero, che dice cose "nuove", a volte scomode, deve sacrificare la propria coscienza logico deduttiva a quella analogico intuitiva, il linguaggio formalizzato all'espressione semi linguistica affettiva.
Questo perché il potere nella società si fonda sulla preminenza del logico deduttivo relegando l'analogico intuitivo in campi ben delimitati che lo depotenziano "politicamente" (virgolette) come appunto l'arte.
L'arte quindi ha "il permesso" di mettere momentanemente in discussione le ferree regole logico sintattiche del linguaggio per esempio con le metafore, con le antinomie, con le libere associazioni di idee - regole linguistiche che sono lo schema delle regole del potere vigente in quella società - ma solo entro lo spazio sterile di ciò che è istituzionalmente definito "arte".

Chi vuole mantenere viva la parte analogico intuitiva e la vuole anche comunicare (qui le cose si complicano ancora di più) entra esistenzialmente in una situazione di conflitto che si rifletterà sul suo comportamento.

PS: a questo punto che Osho parli di "essere me stesso" non significa nulla se non dici cos'è quel me stesso.
È la tua coscienza vigile ossia il tuo "io"?
Quanto è tuo il tuo "io" e quanto è frutto del condizionamento sociale e esterno in generale? Ad affermarlo a tutti i costi rischi di confermare ancora di più il tuo condizionamento.

Non è il tuo io? E allora vedi che avere rispetto della propria individualità può diventare una scelta fra cosa sacrificare e cosa mantenere.


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Primadellesabbie
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Trovo molte cose esposte correttamente qui, a cominciare dal confronto tra l'arte nel mondo antico e quella contemporanea, e il conseguente apparire dell'artista come lo conosciamo. Far emergere qualcosa in cui tutti si riconoscono e che ognuno condivide, consente un certo anonimato, non richiede meno dedizione, impegno ed ispirazione, pensa al lungo raccoglimento degli autori delle icone, ma é un lavoro fatto dal "di dentro" della comunità, per confermarne la cultura, non per suggerirne una interpretazione o una via di fuga. Fidia, probabilmente, non aveva bisogno di abbruttirsi.

Volevo evitare di esaminare questo aspetto troppo specifico, pur esistente, nell'ambito di ciò che proponevo di considerare.

Nella visione orientale, alla quale mi riferivo, questa nostra vita é una fase di un processo molto lungo. Nascere qui é la conseguenza di una lunga storia e porta con sè una ragione ed un compito, diverso per ciascuno di noi, ragione e compito che non sono estranee alle caratteristiche che ci contraddistinguono l'uno dall'altro. Riconoscerle, appropriarsene ed usarle in modo da portare a compimento il compito per cui ognuno di noi si é individuato qui, anziché lasciarsi distrarre da contingenze estranee che ci circondano ed accompagnano, da problematiche estemporanee, a meno di saperle riportare alle esigenze della nostra unica ragion d'essere: questo é un comportamento impeccabile.

Azzardo: forse avvertire in maniera nitida ed incalzante la coscienza della propria ragion d'essere, del proprio compito in un contesto degenerato al punto da renderlo impraticabile, sta alla base del fenomeno che evidenzi, presso gli artisti é più drammatico e vistoso.


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Correzione.

Dove scrivo:

Per di più tu per individualità intendi una cosa molto particolare che io credo di aver capito ma che è diversa dalla individualità di cui ho parlato riferita agli artisti.

intendevo dire

ma che è diversa dalla individualità comunemente intesa


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Primadellesabbie
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Correzione.

Dove scrivo:

Per di più tu per individualità intendi una cosa molto particolare che io credo di aver capito ma che è diversa dalla individualità di cui ho parlato riferita agli artisti.

intendevo dire

ma che è diversa dalla individualità comunemente intesa

Trovo oggi questo articolo, le prime e le ultime righe del quale possono richiamare i quesiti che ho proposto sopra e il presente discorso. Anche altrove il testo, pur riferito ad applicazioni in campo psicologico, in alcuni passaggi mi pare utile.

Vedi se ti interessa.

http://www.libreidee.org/2017/01/leonardo-jung-cartesio-la-verita-ci-raggiunge-in-sogno/


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Correzione.

Dove scrivo:

Per di più tu per individualità intendi una cosa molto particolare che io credo di aver capito ma che è diversa dalla individualità di cui ho parlato riferita agli artisti.

intendevo dire

ma che è diversa dalla individualità comunemente intesa

Trovo oggi questo articolo, le prime e le ultime righe del quale possono richiamare i quesiti che ho proposto sopra e il presente discorso. Anche altrove il testo, pur riferito ad applicazioni in campo psicologico, in alcuni passaggi mi pare utile.

Vedi se ti interessa.

http://www.libreidee.org/2017/01/leonardo-jung-cartesio-la-verita-ci-raggiunge-in-sogno/

L'ho letto, grazie.

Sono a favore della limitazione del diritto di autore ma ci si appropria di qualcosa anche se solamente la si trova per primi, non solo quando la si crea (tipo una miniera).

Il problema è che una miniera o una buona idea per inventare una nuova macchina sono un cosa, l'arte è tutt'altro e il diritto di autore "integrale" come è oggi secondo me impedisce che si realizzi la vera geshehenlassen, che essendo un abbandono arriva solo se non è sollecitata.
Oltretutto se ci si riferisce a una connessione con l'inconscio collettivo è ovvio che qualsiasi disuguaglianza o monopolio dei ruoli (che in concreto coincide con lo svilimento della pratica diffusa) allontana sempre di più gli individui dall'inconscio collettivo.
Si lascia cosí il campo libero a dei semplici mediatori che essendo ormai separati dal resto della società - appunto in quanto unici addetti professionali "autorizzati" della creatività ma anche alla interpretazione (il critico) - non avranno nient'altro da dare se non dei surrogati che da un lato vellichino un desiderio sempre più semplificato di evasione più facilmente commerciabile in tutti i settori di mercato e che dall'altro confermino il loro esculsivo monopolio di quel campo economico culturale.


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Georgejefferson
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Condivido abbastanza le conclusioni di Persicus.

A proposito di Jung, nel link che metto c'e' una bella discussione che, a parte la prima parte un po nozionistica, sul finale e' più stimolante, dal punto di vista critico. C'e' da dire che dei video di questo autore del link, dopo averne ascoltati parecchi ora sono giunto anche a trovarne delle limitazioni, (passero ad altro, ma comunque li voglio vedere tutti).. troppe conclusioni semplificanti questioni che andrebbero sviscerate meglio. Comunque interessante, se stufa andate verso finale direttamente:

C.G. Jung: il sogno e i suoi simboli
G. Giacomo Giacomini - Scuola Psicoterapia Genova

https://www.youtube.com/watch?v=9HASKBOI1Gw


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