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Diritto d'autore

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Primadellesabbie
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C'é qualcuno che voglia rispondere?

Ciò che Michelangelo vede e ciò che Tesla intuisce esiste già, da qualche parte, sotto qualche forma?

Michelangelo e Tesla sono dei creatori o dei tramiti, in grado di intuire, percepire e portare a conoscenza cose che altri non vedono, ma sono poi capaci di riconoscere?


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Intanto c'è una differenza di partenza: Michelangelo è un artista e l'arte non deve essere interamente mercificabile quindi i diritti di autore in arte devono essere molto limitati rispetto a oggi.
Tesla è un inventore e secondo me ha più diritto dell'artista di mercificare il suo prodotto.

Comunque il problema di fondo del diritto di autore è che la sua assenza genera un sapere e una pratica "diffusi" di quella certa attività in questione (arte, scienza, qualsiasi cosa) senza picchi ma non necessariamente statica dal punto di vista dell'evoluzione delle tecniche e delle conoscenze.
Il diritto di autore permette un progresso molto più rapido ma provoca una netta separazione fra chi sa e chi non sa oltretutto mettendo dei paletti rigidissimi sulle modalità in cui si può sapere o non sapere. Il che ovviamente significa che chi sa diventa anche il monopolista del "perché si sa" ossia, in ultima analisi, delle finalità di quel sapere.

Non ho capito se secondo te il fatto di essere il creatore o il tramite conferisce dei diritti di proprietà maggiori in un caso o nell'altro.

Secondo me l'individuo non fa nulla che non sia inserito in un discorso di appartenenza al gruppo quindi si può essere creativi quanto si vuole ma se il gruppo non ha una orgogliosa coscienza di sé, con la convinzione di un destino suo proprio che deve realizzare nella storia, se la sua identità è subordinata a quella di un altro gruppo (vedi certi rapporti fra nazioni ma anche e soprattutto fra classi sociali) l'arte che ne proverrà sarà di qualità inferiore o casomai molto manierata.
Quindi per rispondere dal mio punto di vista al tuo quesito sull'origine della creatività ritengo che qualsiasi invenzione o "visione" (per l'artista, per esempio) sia in parte di chi ha avuto l'intuizione ma anche, e in misura molto significativa, del gruppo ossia merito della forza, identità, senso di appartenenza coltivato e condiviso orgogliosamente da tutto il gruppo.
La proprietà dell'idea non può dunque essere conferita interamente al suo "creatore" per due motivi: uno "morale", nel senso che parte del merito va al gruppo, ma anche per delle ragioni pratiche ossia il prevalere della proprietà privata delle idee disgrega il gruppo scremando un parte che diventa inconsapevole e solo "consumatrice" da un'altra che diventa assoluta monopolista del sapere, della creatività e della "distribuzione" di questi "sapere e creatività".

Se lo scopo è precisamente questa scrematura nel senso della disuguaglianza fra le classi o i gruppi sociali va benissimo.
Se si ritiene che è dovere della società favorire lo sviluppo integrato del gruppo nella sua interezza, quei diritti di proprietà intellettuale vanno radicalmente rivisti.


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Primadellesabbie
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Io faccio riferimento ad una visione orientale che a me sembra spiegare meglio di altre.

Michelangelo e Tesla non avevano scelta, dovevano fare ciò che hanno fatto, non avrebbero potuto astenersene, e ciò che hanno fatto c'era già, percepibile ad alcuni di noi che sono delle 'antenne'.

Non é facile dire perché lo siano, ma sia i bramini che i leviti devono vivere in un certo modo, per essere sicuri di trarre il senso corretto dalle scritture che agli altri, più liberi, sfugge, e questo può essere indizio di una direzione in cui cercare per capire.

Ho citato questi due perché erano notoriamente tormentati dalla necessità di andare a fondo in ciò che avevano intravisto, e quindi sono buoni testimoni, dal mio punto di vista.


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Quindi non esiste la creatività?


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Primadellesabbie
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Non nel senso che le diamo noi, almeno.


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comedonchisciotte
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Sul diritto d'autore mi tocca ancora una volta citare l'ottimo Karl Fogel con il suo "La promessa di un mondo post-copyright":
http://comedonchisciotte.org/la-promessa-di-un-mondo-post-copyright-197/

Però pds pone un problema ancora più sostanziale, "Il creatore è libero oppure è obbligato a fare ciò che fa?"
Questa è un'antichissima diatriba che raggiunse credo il suo massimo nell'Illuminismo o poco dopo e può essere sintetizzata dall'idea dell'universo-orologio o universo meccanico, presente ad esempio in Spinoza.
Questo è uno dei casi in cui l'Occidente mi appare in modo positivo, perchè all'idea dell'universo meccanico si collega l'idea del libero arbitrio delle persone.
Se fino all'inizio del XX secolo ancora qualcuno (lord Kelvin) pensava che restassero solo da calcolare dei decimali, tutte le certezze andarono in frantumi in poco tempo. Se la relatività massacrò la meccanica galileiana, la meccanica quantistica introdusse il caso (la statistica, la probabilità,...) nella scienza.
Insomma alcuni eventi erano impredicibili, legati solo a varibili stocastiche. In via di principio, non in modo incidentale.
Ma ancora era poco. Dovevano ancora arrivare i colpi di maglio di Ilya Prigogine e delle varie teorie del caos. Insomma se le previsioni meteo falliscono (non parliamo dei sondaggi elettorali) è perchè anche nel mondo macroscopico ci sono fenomeni sostanzialmente incalcolabili.
E allora l'individuo non può scusarsi per il fatto di essere obbligato da un meccanismo superiore e i giudici non hanno tutti i torti quando considerano personale la responsabilità penale.
E insomma chi crea opere d'arte ci mette qualcosa di suo.
Devo dire che mi mette un certo sospetto il fatto che per secoli il libero arbitrio è stato visto come un dubbio terribile, adesso che le risposte tutto sommato ci sono, si stenti a chiudere questa antica diatriba.


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comedonchisciotte
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Dimenticavo Hoeg: "Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando.Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere".
("Il senso di Smilla per la neve", p.427)


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Dimenticavo Hoeg: "Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando.Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere".
("Il senso di Smilla per la neve", p.427)

Il punto è questo ma è espresso in maniera che ritengo sommaria e piuttosto sentimentale.
Perché la frase acquisisca realmente senso si deve definire quel

"Ciò che abbiamo la possibilità di comprendere"

In base a che abbiamo questa possibilità?

A mio modo di vedere la questione è tutta qui e il fatto che si resti sempre sul vago su questo è significativo.

Provate a fare delle ipotesi. Possiamo comprendere entro i limiti dell'intelletto umano? E quali sono? Nessuno li conosce né sa con certezza se effettivamente ci siano.
I limiti delle possibilità conoscitive di quel momento storico?
Esatto ma in base a cosa si stabiliscono quei limiti?
Perché la rivoluzione copernicana in astronomia avviene?
Perché Copernico era più intelligente?
Forse è per lo stesso motivo per il quale, "a contrario", volevano mandare al rogo Galileo.
In base a cosa noi riusciamo a vedere qualcosa che prima non vedevamo eppure stava sotto i nostri occhi?

Allora se si affronta questo problema si comprende che "creatività" coincide con ribellione mentre essere delle "antenne" è qualcos'altro.

Non ho una parola definitiva su questo mi interessa se elaborate un po' i vostri concetti perché credo che sia voi che io in questo momento non riusciamo a mettere bene a fuoco alcune questioni.


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Primadellesabbie
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Questo pensiero di Hoeg mi sembra perfetto, sono andato a leggere il link di CdC


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Non nel senso che le diamo noi, almeno.

Non potresti elaborare un po' il concetto?
Cosa cambierebbe secondo te se l'uomo fosse un "autentico" creatore o una "antenna"?
Intendo dal punto di vista filosofico ma soprattutto teleologico, della società, dell'uomo e del mondo.

C'è un punto che mi incuriosisce e cioè mi sembra di percepire che questa ipotesi delle "antenne" che captano qualcosa di già esistente ti affascini più di quella della creatività.
Se in qualche modo fosse vero, perché?

Sono d'accordo che in certi momenti particolarmente ispirati abbiamo la sensaziome che quell'idea fosse già pronta e noi dovessimo solo riuscire a "vederla" - Brahms diceva che non era in alcun modo "responsabile" delle idee melodiche che trovava e Keith Richards dei Rolling Stones che i temi musicali volavano nella stanza e lui doveva riuscire a prenderli - ma potrebbe essere che la nostra coscienza sia solamente una piccola parte del nostro intelletto quindi che il lavoro grosso avviene sotto traccia, a un livello appena superiore dal punto di vista della coerenza logica di quello dove si originano i sogni, e che noi per "creare" dobbiamo riuscire o "avere il coraggio" di guardare dentro quella sorta di oscuro oceano interiore.
Intendo dire: "guardare dentro" significa avere il coraggio di portare in superficie, ossia in altri termini"verbalizzare", rendere logico e "formale" esprimendolo linguisticamente, ciò che va al di là della logica e del linguaggio.
Ritengo che sia una operazione che richieda un enorme coraggio e anche una dose di follia - e se fosse sarebbe la prova delle note eccentricità dei grandi artisti e scienziati - per cui alla fine la si può compiere solo al sicuro, protetti in nome della "pubblica utilità" ossia della funzionalità al sistema, il che potrebbe spiegare ad esempio il caratteristico disimpegno per lo più costitutivo della figura dell'artista e dello scienziato (magari lo scrittore è un po' diverso e forse non a caso, però il musicista sotto questo aspetto è addirittura imbarazzante per la sua insipienza e astrattezza).

Sono solo accenni per chiarire un po' meglio la mia posizione.

Quello che davvero mi interessa, se vuoi, è leggere una elaborazione della tua idea con una riflessione sulle implicazioni che ne derivano a livello filosofico, sociale e "individuale".


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Primadellesabbie
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Questo pensiero di Hoeg mi sembra perfetto, sono andato a leggere il link di CdC per capire se la citazione avesse a che fare ma, se non sbaglio, mi sembra "libera" da quanto ho letto.

"Gli scrittori vedono prima degli scienziati dove stiamo andando".
E questo mi sembra frutto di osservazione e lo estenderei all'arte, senza pretendere di erigerlo a sistema.

"Ciò che scopriamo nella natura non è tanto l'esistente. Ciò che troviamo è determinato da ciò che abbiamo la possibilità di comprendere"
Qui, dal mio punto di vista, non ci sarebbe niente da aggiungere, se non osservare che si tratta di fenomeni legati all'individualità con conseguenze nella sfera sociale.

(l'accenno di commento precedente mi é sfuggito mentre scrivevo).


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Primadellesabbie
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...una riflessione sulle implicazioni che ne derivano a livello filosofico, sociale e "individuale".

Quelli che sostengono questa teoria mettono in relazione la capacità di intuizione con un comportamento 'impeccabile' dell'individuo che io ho definito sbrigativamente 'antenna'.

Dove impeccabile non é inteso in relazione a regole o costumi (quindi non stimabile o giudicabile dall'esterno), ma bensì al rigoroso, inflessibile rispetto della propria specifica individualità (non personalità). Qui può aiutare una riflessione sul tuo amato pittore maledetto.

Questo comportamento garantirebbe la massima ricettività secondo le potenzialità di quello specifico individuo. Ricettività che non porta infallibilmente a dei risultati, questi dipendono da ragioni che ci sfuggono, ma sono preclusi in mancanza di queste condizioni.

Qui un brano da Rainesh sul rispetto dell'individualità che ho visto recentemente su libreidee:
http://www.libreidee.org/2017/01/osho-siamo-unici-e-liberi-diversi-da-come-ci-vorrebbero/

Relativamente alle implicazioni. Sono aperte a valutazioni soggettive, io ci vedo una celebrazione dell'individuo in un contemporaneo inestricabile legame con la collettività di cui fa parte, fino a interferire con il destino stesso di quest'ultima.
Poi le varianti: "come viene accolto, come reagisce quella collettività?", la prima...ecc.
Noi, ad esempio, dobbiamo trasformare tutto in denaro e ne conseguono delle deformazioni.


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Scusa sono un po' rimbambito dall'influenza, chi è il mio pittore maledetto?
Caravaggio, forse?

Comunque quella cosa della disciplina interiore va bene ma se vai a vedere come vivevano i più grandi artisti fra alcol, droghe, stravizi e bohème forzata, viene qualche dubbio che sia realmente una questione di essere "impeccabili".

C'è un aspetto di ribellione, disordine e indisciplina costitutive nella creatività, un aspetto sovversivo che può essere "esorcizzato" solo dal risultare funzionale al potere (sia l'arte che la scienza).
Entro quei limiti si accetta la indispensabile libertà fuori dalle regole dell'artista (che quindi, inconsapevolmente, diventa corresponsabile delle azioni politiche dei suoi committenti) e in cambio gli si concede l'illusione di appartenere alla classe dominante o meglio, di non essere del tutto un subalterno.

Discorso lungo.

La domanda che mi interesserebbe porre è:

come concili l'impeccabilità di cui parli con la sregolatezza tipica di moltissimi artisti ma anche filosofi, scienziati etc?


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Primadellesabbie
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Ho cercato di farmi capire qui: "Dove impeccabile non é inteso in relazione a regole o costumi (quindi non stimabile o giudicabile dall'esterno)" e ho fatto riferimento a Caravaggio perché non ci fossero dubbi.

Non c'é relazione tra l'impeccabilità nel rispetto della propria individualità e il comportamento atteso dalla cultura in cui uno vive.

E non significa che la sregolatezza sia il metodo (ci sono anche molti artisti, scopritori, inventori che hanno una vita irreprensibile), ma che in quel caso, quel comportamento sia compatibile con quel rispetto di cui parliamo.

Nel brano di Osho, che ho linkato sopra, tra altre significative, c'é questa affermazione:

A qualsiasi costo, desidero essere me stesso! Condannatemi, non accettatemi, fatemi perdere la rispettabilità… ma non posso più fingere di essere qualcun altro”.


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Quindi uno che vive come uno squinternato, che si droga, che non sa gestire il denaro, che passa il tempo nei bordelli prendendosi la sifilide, che muore di overdose affogato nel proprio vomito, in che modo sta rispettando la propria individualità?
E soprattutto cosa intendi per individualità.

(Non mi chiedi chi è che si comportava così, vero? Credimi che qualcuno ce n'è stato)


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