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Ecco chi ha ucciso Aldo Moro

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oldhunter
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ECCO CHI HA UCCISO ALDO MORO

di Gianni Lannes

In Italia qualcuno se n'è accorto? O meglio a qualcuno interessano democrazia, libertà e indipendenza politica? Steve Pieczenik inviato in missione da Washington, dopo 30 anni ha vuotato il sacco:

«Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro al fine di stabilizzare la situazione dell’Italia. I brigatisti avrebbero potuto cercare di condizionarmi dicendo “o soddisfate le nostre richieste e lo uccidiamo”. Ma la mia strategia era “No, non è così che funziona, sono io a decidere che dovete ucciderlo a vostre spese”. Mi aspettavo che si rendessero conto dell’errore che stavano commettendo e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro. E questa sarebbe stata una grossa vittoria per loro».

Pieczenik, assistente del sottosegretario Usa nel 1978, psichiatra, specialista in "gestioni di crisi", esperto di terrorismo, visse - secondo quanto ha rivelato in un libro-intervista pubblicato nel 2008 "Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo trent'anni un protagonista esce dall'ombra" edito in Italia da Cooper e curato da Nicola Biondo e passato stranamente inosservato - gomito a gomito con Francesco Cossiga la parte cruciale dei 55 giorni. Era lui, "l'esperto nordamericano del Dipartimento di Stato U.S.A. che indirizzò e gestì l'azione dello Stato italiano con le Br. La sua presenza al Viminale è stata interpretata, da molti, negli scorsi anni, come una sorta di "controllo" Usa sulla vicenda che coinvolgeva un Paese all'epoca decisivo negli equilibri Est-Ovest.

L’inviato della Casa Bianca, Pieczenik spiega e rivendica la scelta di aver finto di intavolare una trattativa con le Br quando invece «era stato deciso che la vita dello statista era il prezzo da pagare». L'esperto Usa va anzi oltre nelle sue rivelazioni: da un certo punto in poi tutta la sua azione mirò a far sì che le Br non avessero altra via d'uscita che uccidere Moro, fatto questo che avrebbe risolto la gran parte dei problemi che rischiavano di far conquistare all'Italia libertà, sovranità e indipendenza dagli Stati Uniti d’America.

«La mia ricetta per deviare la decisione delle Br era di gestire - spiega nel libro lo psichiatra - un rapporto di forza crescente e di illusione di negoziazione. Per ottenere i nostri risultati avevo preso psicologicamente la gestione di tutti i Comitati (del Viminale n.d.r.) dicendo a tutti che ero l'unico che non aveva tradito Moro per il semplice fatto di non averlo mai conosciuto».

Nel libro del giornalista francese Emmanuel Amara si spiega che il momento decisivo arrivò quando Moro dimostrò di essere ormai disperato. Su quella base si decise l'operazione della Duchessa, ossia il falso comunicato delle Br, scelta questa presa nel Comitato di crisi. «I brigatisti non si aspettavano di trovarsi di fronte ad un altro terrorista che li utilizzava e li manipolava psicologicamente con lo scopo di prenderli in trappola. Avrebbero potuto venirne fuori facilmente, ma erano stati ingannati. Ormai non potevano fare altro che uccidere Moro. Questo il grande dramma di questa storia. Avrebbero potuto sfuggire alla trappola, e speravo che non se ne rendessero conto, liberando Aldo Moro. Se lo avessero liberato avrebbero vinto, Moro si sarebbe salvato, Andreotti sarebbe stato neutralizzato e i comunisti avrebbero potuto concludere un accordo politico con i democristiani. Uno scenario che avrebbe soddisfatto quasi tutti. Era una trappola modestissima, che sarebbe fallita nel momento stesso in cui avessero liberato Moro».

Pieczenik spiega che Cossiga ha approvato la quasi totalità delle sue scelte e delle sue proposte. «Moro, in quel momento, era disperato e avrebbe sicuramente fatto delle rivelazioni piuttosto importanti ai suoi carcerieri su uomini politici come Andreotti. E' in quell'istante preciso che io e Cossiga ci siamo detti che bisognava cominciare a far scattare la trappola tesa alle Br. Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo».

Pieczenik traccia un bilancio di questa sua strategia: «Ho messo in atto la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia. Mai l'espressione 'ragion di Stato' ha avuto più senso come durante il rapimento di Aldo Moro in Italia».

Pieczenik raggiunse tre obiettivi: eliminare Moro, impadronirsi dei nastri dell’interrogatorio e del vero memoriale dello statista italiano, costringere le Br al silenzio.

Un passo indietro: durante il viaggio negli Stati Uniti del settembre 1974 Kissinger minaccio pesantemente Moro, come ha ricordato in un’aula giudiziaria il suo portavoce Corrado Guerzoni. Ed è bene non dimenticare la testimonianza della moglie di Moro, che riferì alla Commissione parlamentare che cosa dissero al marito esponenti della delegazione americana: “… Lei deve smettere di perseguire il suo piano politico di portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei pagherà cara, veda lei come la vuole intendere".

Dunque, niente più misteri, però ancora un bel po’ di carte inaccessibili nei palazzi del sottomesso Stato tricolore.

Com'è possibile che il Presidente della Repubbblica Napolitano riceva con gli onori riservati ad un capo di Stato il criminale internazionale Henry Kissinger?

Auguriamoci che il primo ministro Enrico Letta in palese conflitto di interessi, affiliato al Bilderberg Group, alla Trilateral Commission ed all'Aspen Institute, vale a dire ad organizzazioni mafiose e terroristiche di stampo mondiale, eviti qualche commemorazione di Moro.

Toc toc: c’è almeno un giudice a Berlino, non dico a Maglie o perfino a Roma che possa riaprire le indagini ed avanzare qualche rogatoria internazionale su questa ennesima operazione di guerra terroristica del Governo nordamericano?

I reati di strage (via Fani) e di omicidio premeditato non vanno mai in prescrizione. O valgono sempre i trattati segreti ed incostituzionali?

Link: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2013/05/ecco-chi-ha-ucciso-aldo-moro.html [/i]


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nessun cenno alla presenza di infiltrati fra le BR che realizzarono e gestirono il sequestro? L'uomo di Washington non poteva non esserne al corrente ...


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helios
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Abbandonare Moro e fare in modo che morisse con le sue rivelazioni. Per giunta i carabinieri e i servizi di sicurezza non lo trovavano o non volevano trovarlo».

menzogna colossale..... La CIA sapeva dove era tenuto Moro

MORO: GALLONI, GLI USA SAPEVANO DOVE ERA PRIGIONIERO
Galloni, tra i fondatori della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana, grande amico di Aldo Moro anche se mai doroteo, e' stata una vera e propria miniera di informazioni per i cronisti che hanno partecipato al dibattito legato al libro dello storico Giuseppe De Lutiis. Ha rivelato infatti che gli americani sapevano dove era la prigione di Moro e che il covo dove e' stato tenuto lo statista durante il rapimento "non e' quello indicato dai brigatisti". Inoltre, ha rilevato che Francesco Cossiga, ministro dell'Interno durante il sequestro, "non ha detto tutto". E qui e' sceso nel dettaglio: "il 9 maggio del 1978 - ha detto Galloni - Cossiga sapeva e si aspettava che Moro sarebbe stato liberato". E ancora: la mattina del 16 marzo, giorno del rapimento, Moro era uscito presto di casa, intorno alle 9, mentre il dibattito alla camera era previsto per le 10. Infatti, lo statista, al momento del sequestro, si stava recando a casa del segretario della Dc, Benigno Zaccagnini che aveva in mente di dimettersi dalla guida del partito non appena il governo avesse ottenuto la fiducia. Moro andava da lui per farlo recedere da questa decisione, ma come questa informazione e' finita alle Br?. Non basta: lo statista rapito si era lamentato spesso del fatto che sia la Cia che il Mossad avessero informazioni sulle Br ma non le davano al governo italiano. Insomma, intorno alla vicenda Moro le zone d'ombra sono ancora molte. Per Rosario Priore, il magistrato che ha seguito l'inchiesta Moro, i servizi segreti francesi e la Stasi, che seguiva gli uomini della Raf con i quali le Br intrattenevano stretti rapporti, sapeva che ci sarebbe stato il sequestro del presidente della Dc. (AGI)
(22 ottobre 2007 ore 14.07)

http://firenze.repubblica.it/dettaglio-news/roma-14:07/2629240


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Stopgun
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Steve Pieczenick è un tipo particolare:

1) Psichiatra come Ferracuti, lo psichiatra di Cossiga;

2) scrive libri assieme a Tom Clancy, quello che scrive in anticipo casi come il WTC;

3) scrive un libro su come uno psichiatra possa gestire la mente di un Presidente della Repubblica (titolo : Massima Sorveglianza);

non è detto che quello che afferma sia la completa verità.

Potrebbe essere una verità parziale di comodo, e quella vera molto più pesante da digerire.

Le Forze dell'Ordine avevano degli indirizzi sui quali basarsi ma hanno preferito soprassedere. Non è dimostrabile che gli indirizzi fossero esatti. Anzi potrebbero essere " red herring" come erano Via Gradoli e Via Montalcini.


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helios
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Le Forze dell'Ordine avevano degli indirizzi sui quali basarsi ma hanno preferito soprassedere.

le forze dell'ordne sono al comando del ministero degli interni che aveva a capo quel tempo Cossiga.


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Stopgun
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Le Forze dell'Ordine avevano degli indirizzi sui quali basarsi ma hanno preferito soprassedere.

le forze dell'ordne sono al comando del ministero degli interni che aveva a capo quel tempo Cossiga.

e nel capo di Cossiga c'era Ferracuti, che faceva capo ad una nota Agenzia USA, il cui capo ci aveva spedito Pieczenick. Capito....???


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helios
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Le Forze dell'Ordine avevano degli indirizzi sui quali basarsi ma hanno preferito soprassedere.

le forze dell'ordne sono al comando del ministero degli interni che aveva a capo quel tempo Cossiga.

e nel capo di Cossiga c'era Ferracuti, che faceva capo ad una nota Agenzia USA, il cui capo ci aveva spedito Pieczenick. Capito....???

a questo punto resta da capire chi ha dato ordine alla scorta di Moro di andare in via Fani quel giorno.
Ovvero chi veramente gestiva gli interni considerato come era messo Cossiga.


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Stopgun
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Ho letto il libro "la zona franca" nel quale si ipotizza che Moro sia stato portato nel castello sul mare di Palo Laziale, di proprietà dei Caetani.

Il castello ora resort era ed è dotato di eliporto, il che coinciderebbe con l'elicottero "strano" che volava alle 9.03 su via Fani e con le frasi di Pecorelli "escludendo l'elicottero.."

Non credo che le BR disponessero di un elicottero, ma incomincio a pensare che sia stato effettivamente usato in quell'occasione.


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helios
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Considerato che i telefoni non funzionavano nella zona, l'elicottero serviva per controllare quanto succedeva in via Fani.
Da quale eliporto è partito e dove sarebbe atterrato difficile saperlo ma non era identificare. Chi era in possesso di simili elicotteri a quel tempo?

La versione ufficiale racconta che Aldo Moro viene rapito il 16 marzo 1978 dalle Brigate Rosse e che lo Stato rifiuta ogni tipo di trattativa con i rapitori. La conseguenza: l’ostaggio viene ucciso il 9 maggio consegnando alle cronache una delle pagine più drammatiche della storia repubblicana del nostro Paese. Nel corso degli anni però – in contrasto con questa ricostruzione dei fatti – si sono rincorse le voci su un’altra trattativa politica e segreta, fallita in extremis. Più volte si è ipotizzato anche che il prigioniero possa essere stato ucciso non nella periferia di Roma, come dicono le Br, ma al centro della capitale, in quella via Caetani dove fu ritrovato il corpo. Per la prima volta attraverso queste pagine alcuni testimoni diretti, molto vicini alla vicenda, raccontano che il 9 maggio del 1978 lo statista democristiano doveva essere liberato, a seguito di un accordo. La Santa Sede, infatti, stava per consegnare ai brigatisti un riscatto di 25 miliardi di vecchie lire. Contestualmente, la Dc stava per esprimersi a favore di una trattativa umanitaria mentre il Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, si apprestava a firmare un provvedimento di clemenza nei confronti di un terrorista in carcere. Ma, soprattutto, ci sarebbe stato il riconoscimento delle Br come soggetto politico da parte del governo della Jugoslavia del maresciallo Tito, leader dei Paesi non allineati. Via Caetani doveva essere dunque il luogo dello scambio ma divenne quello del delitto. Perché quell’accordo saltò? Contro la trattativa si mossero varie forze, interne ai poteri nazionali ed internazionali, alla Chiesa, alla massoneria e alla malavita, che spinsero i terroristi ad accelerare l’esecuzione e probabilmente affiancarono le Br con un loro sicario. In quelle ore del 9 maggio 1978 via Caetani divenne una vera e propria zona franca nelle mani dei brigatisti e di poteri occulti, che vollero poi cancellare ogni traccia della verità.

http://www.castelvecchieditore.com/la-zona-franca/
.....
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=45987
Nelle carte c'è un'incomprensibile differenza di almeno 40 minuti tra una versione (telefonata a Tritto ore 12,13) e l'altra (telefonata a Tritto, ore 13 e qualche minuto). Una differenza ancora più grande se teniamo in considerazione le parole di uno dei carcerieri: "Sono quasi le due del pomeriggio, oltre cinque ore sono passate da quando il corpo di Moro è uscito di casa, quattro da quando la famiglia è stata informata del luogo in cui poterlo trovare" (Prospero Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Br, Bompiani, 2006, pag.194). Se la telefonata arrivò verso le 10 del mattino, che cosa accadde durante quelle lunghissime ore? Non si sa ma quella differenza di tempo un senso deve pur averlo, comunque copre un segreto importantissimo, condiviso da Stato e Br.


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Stopgun
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La ricostruzione fatta ne "la zona franca" mi garba alquanto.

C'è stata sicuramente una trattativa per uno scambio del prigioniero vivo, ma è stato consegnato un prigioniero morto.

Nessuno racconta i particolari ma sono abbastanza evidenti.

Vassalli era stato oggetto di una trattativa simile nel 1944 ed era stato rilasciato proprio nel Palazzo Caetani; penso che poi sia stato avvocato della famiglia Moro.

L'elicottero era di un organizzazione che si poteva permettere tale mezzo e sopratutto si poteva permettere di volare senza un piano di volo autorizzato; ancora più significativo il fatto che volasse impunemente sopra i Forti Trionfale e Forte Braschi, sede dei servizi. Un'organizzazione più forte dei militari e dei servizi.

A Forte Trionfale (Moro abitava in via del Forte Trionfale) c'era un gruppo fotografico del Regio Esercito; se per caso è rimasto lì fino al 1978 forse qualcuno avrà fatto delle foto all'elicottero sospetto.


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a voi tom clancy vi fa una pippa


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helios
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C'è stata sicuramente una trattativa per uno scambio del prigioniero vivo, ma è stato consegnato un prigioniero morto.

Nessuno racconta i particolari ma sono abbastanza evidenti.

la trattativa prevedeva anche un riscatto.
Non è escluso che una parte del riscatto sia anche stata pagata. La cifra comunicata potrebbe esser stata la rimanente.

Per la prima volta attraverso queste pagine alcuni testimoni diretti, molto vicini alla vicenda, raccontano che il 9 maggio del 1978 lo statista democristiano doveva essere liberato, a seguito di un accordo. La Santa Sede, infatti, stava per consegnare ai brigatisti un riscatto di 25 miliardi di vecchie lire.
nel 1978 non 25miliardi non era cifra da poco. Ma la santa sede non ha mai detto a chi pagava il riscatto.Difficile pensare che non sapesse a chi dava 25miliardi di allora.

Se la telefonata arrivò verso le 10 del mattino, che cosa accadde durante quelle lunghissime ore? Non si sa ma quella differenza di tempo un senso deve pur averlo, comunque copre un segreto importantissimo, condiviso da Stato e Br.
piu verosimilmente il segreto rimane fra lo stato italiano e il vaticano.

Oggi ricorrre il 35°anniversario dell'assassinio di Moro
http://www.direttanews.it/2013/05/09/aldo-moro-a-35-anni-dallassassinio-la-commemorazione-delle-istituzioni/

......
http://www.informarmy.com/2008/10/il-caso-moro-secondo-gabriella-pasquali_25.html

Sono stati pubblicati diversi articoli su questo blog riguardanti il caso Moro.

Abbiamo sollevato dubbi sulla ricostruzione ufficiale, evidenziato i principali punti ancora “oscuri” e avanzato ipotesi.

Ultimamente abbiamo ripreso, dal sito la giusta informazione2, la ricostruzione di Gabriella Pasquali Carlizzi di quella strage.

Gabriella Pasquali Carlizzi negli anni ha avuto modo di venire a conoscenza di fatti ad oggi ufficialmente non conosciuti.

Diverse le circostanze che le hanno permesso di apprendere quanto ora ha deciso di iniziare a divulgare, ma la principale è stata il contatto diretto e duraturo che ha avuto con i protagonisti della vicenda Moro sia come Presidente l’Ente Morale Opera di Carità fondato da Padre Gabriele Maria Berardi, Ente presso cui hanno prestato servizio per anni numerosi ex brigatisti dissociati e pentiti in semilibertà, sia per il fatto di aver prestato servizio, come assistente volontaria, presso il carcere di Paliano.

Ora, vista l’importanza dell’argomento, vediamo di fare un riassunto di quanto sino ad ora pubblicato su questo blog a proposito del caso Moro riportando, in estrema sintesi, i punti più controversi trattati nei vari articoli:

- L'azione militare di via Fani viene definita un “gioiello di perfezione” attuabile solo da uomini super addestrati. I brigatisti, come confermato da Morucci non avevano alcun addestramento;

- Tre uomini della scorta, feriti ma ancora vivi, ricevono il colpo di grazia. Perché? Cosa non dovevano dire;

- Le perizie hanno appurato che in via Fani vennero usate anche munizioni di provenienza speciale provenienti da forniture date solo a forze statali militari non convenzionali. Quando, anni dopo, verranno scoperti i depositi “Nasco” della struttura segreta “Gladio” si riscontreranno le stesse caratteristiche nelle munizioni di quei depositi;

- La mattina del 16 marzo alle ore 9 in via Stresa, a circa duecento metri da dove avviene la strage c’è il colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, istruttore presso la base di “Gladio” di Capo Marrargiu, dove aveva insegnato ai “gladiatori” le tecniche dell’imboscata;

- Ad agevolare la fuga del commando un improvviso black-out interrompe le comunicazioni telefoniche della zona. Circa la vicenda della Sip si legge (Unità dell’11 luglio 1991) in uno scritto di Vladimiro Settimelli :“Una Gladio della Sip allertata il giorno prima del sequestro Moro”;

- La stampatrice modello Ab Dick 360 T (matricola n° 938508) utilizzata dalle Br durante il sequestro Moro per stampare comunicati e altro materiale proveniva dall’Ufficio Rus (Raggruppamento Unità Speciali), ovvero l’ufficio più compartimentato del servizio segreto militare che provvedeva all’addestramento di “Gladio”;

- Da documento della X Divisione Stay Behind (Gladio) del 02 marzo 1978, si evincerebbe come questa fosse a conoscenza del rapimento di Moro ben 14 giorni che questo avvenga;

- L’argomento più spinoso che Moro affronta con i suoi carcerieri – e che non a caso verrà tenuto nascosto ancora per dodici anni dopo la sua morte – riguarda il nervo scoperto (tuttora nodo irrisolto) di Gladio”[12] Eppure le Br che avevano detto “Tutto verrà reso noto al popolo e al movimento rivoluzionario”, non riveleranno nulla degli interrogatori del Presidente della Dc e mentendo spudoratamente sosterranno che dagli stessi non era emerso nulla di importante;

- Riguardo il covo di via Gradoli e il falso comunicato del lago della Duchessa Franceschini afferma: “L’operazione lago della Duchessa-via Gradoli (vanno sempre tenuti insieme) è un messaggio preciso a chi detiene Moro. A chi?

- Pecorelli pubblica su OP:

a) "Mercoledì 15 marzo il quotidiano “Vita sera” pubblica in seconda pagina un necrologio sibillino: “2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C. Proprio le idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attendere Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi”.
Il misterioso necrologio apparso su Vita sera poteva essere in realtà l’Ok ai terroristi circa l’azione preparata per il giorno dopo;

b) “Aspettiamoci il peggio, gli autori della strage di via Fani e del sequestro di Aldo Moro sono dei professionisti addestrati in scuole di guerra del massimo livello. I killer mandati all’assalto dell’auto del presidente potrebbero invece essere manovalanza reclutata su piazza. È un particolare da tenere a mente”.
Perché in questo articolo Pecorelli separa la strage di via Fani attuata da professionisti dai Killer mandati all’assalto dell’auto del Presidente? Non sono gli stessi?

c) «le Br non rappresentano il motore principale del missile, esse agiscono come motorino per la corre­zione della rotta dell’astronave Italia".
Se le Br sono il motorino, chi è il motore?

- Per confutare la perizia sulla mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Moro, Valerio Morucci e Adriana Faranda si sono avvalsi di un perito di parte legato al servizio segreto militare: tale Marco Morin, estremista di destra, appartenente a “Gladio”. La perizia di Morin ha sostenuto che la Skorpion trovata in possesso di Morucci e Faranda non era l’arma che aveva ucciso Moro. Ma quella “perizia di parte” è stata smentita, rimanendo semplice testimonianza di una stranissima “convergenza.

Ora riportiamo, in sintesi, la ricostruzione di Gabriella Pasquali Carlizzi pubblicata dalla stessa sul suo sito, http://www.lagiustainformazione2.it/ e, sul nostro blog, in commenti agli articoli precedenti.

La preparazione del sequestro.

Da molti mesi, i brigatisti lavoravano su Andreotti, sviluppando nel logistico una accurata inchiesta di pedinamenti, osservazioni continuata H.24 su di lui e le scorte, insomma quella che nel loro dizionario prendeva il nome di "inchiesta".
Improvvisamente, poichè a Roma alle loro riunioni, partecipavano a volta non solo i brigatisti già entrati in clandestinità, ma anche quelli che vi sarebbero entrati successivamente o sarebbero rimasti come anello di congiunzione tra loro e aree estreme di taluni partiti.... un politico, leader di un partito che ancora non era importante, (lo divenne cavalcando il "Caso Moro"), mandò alle BR un consiglio....Le BR dunque avrebbero, secondo il politico, dovuto spostare la loro attenzione sull'onorev
ole Aldo Moro. Finsero di sviluppare su costui una "inchiesta", che durò poco più di un mese, ma il sequestro era già stato preparato da un'altra regia.....

Moro era estraneo alla regia del suo sequestro?

Risulta che una persona molto vicina allo Statista, fosse all'epoca immediatamente precedente il sequestro, fidanzata con uno di quegli anelli di congiunzione tra un'area estremista politica e i brigatisti già entrati in clandestinità.
L'anello di congiunzione partecipava alle riunioni, compresa quella del direttivo logistico in cui le BR accolsero il consiglio di lasciare l'obiettivo Andreotti e spostare l'attenzione su Moro. Naturalmente visto il rapporto affettivo che intercorreva tra l'anello di congiunzione e la persona molto vicina a Moro, è ben presumibile che l'uno abbia riferito all'altra e che costei a sua volta informò il "potenziale prigioniero".
L'anello di congiunzione di cui si parla, era un ragazzo di sinistra, simpatizzante per le BR, ma ancora al di fuori dell'organizzazione.
Moro non si consegnò a nessun "carceriere", poichè dal momento in cui fu informato che era in preparazione il suo "sequestro", al fine di rappresentare una pressione forte sulla parte conservatrice del Governo e della DC, che si opponevano all'apertura a sinistra, dopo aver moto riflettuto e dopo aver avuto determinate garanzie per se e la propria famiglia, accettò "l'operazione", "in nome della Ragione di Stato", come ebbe a scrivere a Padre Gabriele Maria Berardi, in una accorata lettera.
La sua garanzia era anche quella di sapere che il piano non si originava dalle BR, che pure avevano il ruolo e l'interesse a rivendicare l'azione per dimostrare il loro potere, ma Moro seppe dalla persona che partecipò alle riunioni tra BR e anelli di congiunzioni, che tutto era sotto l'attento controllo dell'amico Bettino.
Moro non scelse, ma sapendo che comunque sarebbe stato ugualmente "sequestrato", preferì "gestire l'operazione.

Moro aveva due scorte?

Si è sempre parlato di "scorta", ma non è mai stato detto, pur essendo noto istituzionalmente, che Moro aveva due scorte: una di Stato, per intenderci quella che finì trucidata, e l'altra, composta da uomini da lui stesso scelti nella Gladio, la struttura creata da lui e Cossiga.
Per tale motivo, lo Stato tardava, nonostante le sue richieste, a cambiare le auto della scorta ufficiale che non avevano i vetri blindati, ma non se ne preoccupavano più di tanto, sapendo appunto che Moro aveva anche l'altra scorta.

Il sequestro.

Moro, in tutta la sua vita, non ha mai omesso un solo giorno di recarsi al mattino presto alla Santa Messa.
La mattina della strage, incomprensibilmente Moro non portò a Messa con sè il nipotino (come era sua abitudine), e invece delle solite tre borse, ne portò ben cinque, di cui in una vi erano delle medicine, e in un'altra degli abiti. Doveva forse partire?Moro quella mattina, andò come sempre alla Messa delle sette, sette e trenta, con le due scorte. Poco prima che terminasse la Messa, il capo scorta di Gladio disse al Capo della scorta ufficiale di farsi un giro in via Fani e vedere se era tutto tranquillo, e poi tornare alla Chiesa di piazza Giuochi Delfici che ambedue le scorte avrebbero accompagnato Moro in Parlamento.

La scorta ufficiale quindi si avviò per questo giro di ricognizione e fu trucidata in via Fani.Moro non era in via Fani.

Occorre poi riflettere bene sulla stridente stonatura tra la figura religiosa e cristiana di Moro, e l'assurda omissione da parte sua di un cenno di cordoglio per le vittime e le loro famiglie.

Ed è anche vero che chi lo teneva in custodia, non mi riferisco ai brigatisti, ebbe cura di sottrargli giornali e telegiornali, proprio perchè non sapesse cosa era successo in via Fani.

Egli stesso testimonia di non sapere nulla, quando in una di queste lettere scrive:" Sto facendo del tutto con i miei carcerieri e con i destinatari istituzionali delle mie missive, affinchè questa storia possa andare a buon fine senza spargimento di sangue...".

Fa quasi sorridere una lettera di Moro, che dalla sua "prigione" dice alla moglie di ricordare a Rana di prendere due delle sue borse che aveva lasciato in macchina. Certo, quando scese per andare a Messa le lasciò in macchina.
Ma se fosse stato in via Fani quando la scorta fu trucidata, Moro non era tanto stupido da non sapere che qualora le borse non fossero andate distrutte, certamente erano sotto sequestro insieme a tutto ciò che fu teatro di quel massacro.
Dunque lui del sangue già versato, nulla sapeva, e per non saperne nulla l'unica spiegazione è che durante la strage Moro fosse da un'altra parte.La scorta fu necessario ucciderla, ma non furono i brigatisti ai quali si incepparono perfino le mitragliette, la scorta non doveva riferire quanto vide e di cui furono testimoni circa alcune presenze sul posto, volti alla scorta ben noti.

Gladio in via Fani?

Come mai, solo 13 anni dopo l'eccidio si scoprì che l'uomo ripreso nelle fotografie da Gherardo Nucci da un balcone che dava su via Fani, e che si trovava lì prima che arrivasse la Polizia, corrispondeva al Maggiore Guglielmi, all'epoca del rapimento Capo Nucleo Operativo della VII Divisione del SISMI?
Disse il testimone: "...un uomo brizzolato, sui cinquant'anni, in borghese, che arrivò subito sul luogo dell'eccidio dando ordini come un poliziotto...".

Come mai il capo scorta, scese dall'auto senza la pistola in pugno?
Forse perchè aveva visto qualcuno di cui si fidava?

E chi prese le borse di Moro, che si vedono chiaramente dalle fotografia scattate dopo l'eccidio, poste ancora dietro i sedili anteriori dell'auto?
Ormai, i Brigatisti erano tutti spariti da via Fani, e i pochi fotografi dell'epoca, scattarono tranquillamente tutto ciò che oggi è documentato, ed io stessa ho la foto dove le borse di Moro si vedono con assoluta chiarezza.

La prigione di Moro.

Nel frattempo Moro con il capo dell'altra scorta, imboccò il corridoio laterale della Chiesa uscendo da una porta su via Zandonai e salì sull'auto del gladiatore. Percorsero tutta via Zandonai e si diressero in zona Forte Boccea, sede di tutti i Servizi Segreti. Non a caso Moro in una delle sue lettere scrisse: "Mi trovo in un domino di un unico predominio..." Tradotto, voleva dire mi trovo in una sede di potere dove sono unificati più poteri. Infatti a Forte Boccea c'erano il Sisde, il Sismi, il Sifar...Affari Riservati...

Infatti Dagli Atti della Commissione Moro, ecco cosa dichiarò Valerio Morucci: “... Ad un certo punto...si valutò allora la possibilità di compiere il sequestro di Moro, all’interno della Chiesa di S.Chiara. ...Dopo una serie di accurati controlli, si pensò di attuare il sequestro di Moro nella Chiesa di S.Chiara. Si rilevò che la Chiesa aveva due uscite: una su piazza dei Giuochi Delfici, e l’altra che si collegava con via Zandonai, attraverso una scuola elementare contigua alla Chiesa. C’era infatti un corridoio che univa la Chiesa alla scuola.... Una volta sequestrato, la macchina con Moro e quella di appoggio, avrebbero dovuto percorrere via Zandonai, che è una strada senza uscita. In fondo a via Zandonai, c’è un complesso residenziale con una porta metallica a scorrimento elettrico che consente il passaggio all’interno del complesso ed il successivo sbocco in via della Camilluccia, a circa cinquanta metri dal largo tra il Cimitero Francese e via dei Colli della Farnesina. Per l’accesso al residence era stata fatta una chiave falsa, ricavata da una chiave di lucchetto del telefono.La chiave serviva ad aprire la porta automatica del residence dalla parte di via Zandonai, il cancello si sarebbe richiuso automaticamente impedendo il passaggio di possibili inseguitori, e si sarebbe arrivati dall’atro cancel
lo del residence, percorrendo via della Camilluccia, in via Trionfale...”

Non appare strano, che Morucci riferisca con tanta dovizia di particolari l’iter di come avrebbe dovuto svolgersi il sequestro di Moro, un iter che seppure il più logico e verosimile, non fu quello attuato? ....posso aggiungere che seguendo poi via Trionfale si arriva dritti a Forte Boccea...Da Forte Boccea Moro sarà poi spostato e ospitato in una casa nobile a 50 metri da via Caetani dove fu fatto trovare morto nel bagagliaio della Renault Rossa del Brigatista Teodoro Spadaccini.

In questa "nobile prigione" ben collegata con il sotterraneo di un luogo sacro, dissacrato subito dopo l'uccisione di Moro, poteva andare anche il politico che col caso Moro divenne l'ago della bilancia col suo partito, per le scelte dei Governi.

Ora, nel 1990 vi fu una nobile testimone, tale E.N. che dichiarò quanto segue.

La distinta signora, durante la prigionia di Moro, si trovava insieme a sua sorella, ospite in pensione presso i locali della Chiesa ad angolo tra via del Teatro Marcello e via Montanara, le cui mura laterali finivano con un passo carrabile che si ricongiungeva ad uno stabile in uso ai Servizi Segreti, di fronte alla Scuola di Francese gemellata con l’Yperion di Parigi, ove spesso si recava Moretti. A pochi metri, c’è via Caetani, dove lo Statista fu appunto trovato morto.

La signora E.N. mentre si lavava le mani nel bagno a piano terra della Chiesa, sentì da sotto il pavimento un lamento e una voce che diceva: “sono qui, liberatemi”, e riconobbe la voce di Aldo Moro. A gitata andò dal Parroco e riferì l’accaduto, ma il Parroco le intimò di tacere e di non dire nulla a nessuno.

Pochi giorni dopo la morte di Moro, quella Chiesa fu dissacrata.
Tutto questo lo verbalizzai, ma non seppi più nulla....

LE REGISTRAZIONI DI MORO...nessuno le vuole?

...mi recai presso il magistrato titolare per il terrorismo, insieme ad un ex brigatista che non ebbe il coraggio di parlare al processo, ma confessò a me dove erano nascoste le bobine originali delle registrazioni di Moro durante la sua “prigionia”.

Il Magistrato mi rispose: “Lei signora Carlizzi crede che noi siamo uomini liberi,Un giorno capirà che non è sempre così”.

Il ruolo della SIP.

Il 5 aprile vi fu il famoso "black out".

Un funzionario comunicò alla DIGOS che non si era riusciti ad intercettare la telefonata al MESSAGGERO con cui le BR annunciavano il comunicato n.4, perchè 5 linee telefoniche erano andate il tilt proprio nel momento in cui i brigatisti telefonavano, esattamente come nell'altro "black out" del 2 maggio.

Il dottor Domenico Spinella, Capo della DIGOS dichiarerà in Commissione "di avere costatato un atteggiamento di assoluta di assoluta non collaborazione da parte della SIP".

E se collegassimo tutto ciò al fatto che la SIP all'epoca dipendeva dalla STET, di cui era Amministratore Delegato Michele Principe, iscritto alla Loggia P2?

E se aggiungiamo che Lorenzo Marracci dal 1977 agente del preSISDE di via Fauro, nel 1978 ricopriva l'incarico di caponucleo della SIP a Roma durante il rapimento Moro?

Come e quando è morto Moro?

In realtà come sia morto Moro, non lo sappiamo, in quanto, sebbene nei processi la versione dell'essere stato ucciso dopo che lo collocarono nel bagagliaio della Renault Rossa appartenente all'ex brigatiista Teodoro Spadaccini, tale versione sia passata come verosimile, secondo mie ricerche non è affatto rispondente alla verità.

Infatti se andiamo a comparare sul corpo nudo dello statista i colpi da arma da fuoco, questi NON COINCIDONO con i colpi repertati sugli abiti con i quali fu rinvenuto morto.

Ne consegue, che Moro, specie per il vero luogo dove fu ucciso, e ci arriveremo più in là, subì verosimilmente un rituale, e dai colpi si rileva che la posizione era eretta in piedi o supina, poi fu vestito, e si sparò anche contro l'abito.

Se l'abito non fosse stato, non lo sappiamo, distrutto come reperto, si potrebbe riesumare il corpo di Moro, e procedere con una tecnologia più avanzata di allora ad una reale verifica.

In ogni caso, se i reperti fotografici non sono stati eliminati, come prescrive la Legge dopo un determinato tempo, non è detto che non si possa recuperare anche questo pezzo di verità.

Il covo di via Gradoli.

Via Gradoli era già all’epoca una via nota in quanto vi abitavano agenti dei Servizi e giornalisti sotto copertura.
Intanto dobbiamo risalire al pre-SISDE in ordine alla scelta del covo di via Gradoli, l'appartamento dato in uso a Morucci e Faranda, e del quale si dimostrerà appunto che la proprietà era del pre-SISDE e di Antonio Parisi.

L'amministratore di quel palazzo era Domenico Catracchia, socio dal 1973 della Immobiliare Gradoli Spa.

Catracchia, quando il covo di via Gradoli fu scoperto a causa della famosa perdita d'acqua, si mise in contatto con tale Gianfranco Bonoli,(prestanome della vera proprietà?) il quale era consocio di Catracchia, nella Immobiliare Gradoli.

Ma Bonori è la stessa persona che troveremo insieme a Maurizio Broccoletti in un atto della GATTEL Srl, la società con sede in via Baglivi 11, dove facevano capo sia il SISDE che la Banda della Magliana.

Le BR solo prestanomi e prestavolti.

Gli ex terroristi hanno tutti mentito, compresi pentiti e dissociati.Le BR sono state solo dei prestanomi e prestavolti.Cosa poteva essere per il prestigio delle BR rivendicare un'azione come quella del sequestro e dell'uccisione di Moro, con la certezza che per il buon fine di questa azione era stata predispota una regia di ben più alto livello dei brigatisti?

In fondo sarebbero state le BR a rivendicare l’azione, in più si era fatto avanti un interlocutore che avrebbe cavalcato la pagina più buia della Repubblica, e nelle mani di Moretti e dei suoi più fedeli, sarebbe rimasto a vita il ricatto di conoscere la verità sul reale svolgimento dei fatti. Infatti, di decine e decine di ergastoli inflitti, grazie a leggi fatte ad hoc, i Brigatisti arrestati scontarono pene ridotte a dieci/quindici anni, nonostante le stragi, nonostante le gambizzazioni, nonostante omicidi eccellenti, nonostante migliaia di rapine a mano armata ecc. ecc.

Non solo: ma a differenza di ex detenuti per reati comuni, i Brigatisti appena tornati in libertà, o semilibertà, hanno tutti avuto la possibilità di lavorare anche per società parastatali, vale a dire società create ad hoc, di cui lo Stato si serve, commissionando lavori specie nel settore informatico, con stipendi da capogiroLe BR se hanno imparato qualcosa su Moro, lo hanno fatto quando sono finiti in carcere e si sono "acculturati" sulle "ragioni di Stato" e quanto altro ha permesso loro di inventare false verità durante i processi.

I servizi segreti nelle carceri.

Nelle carceri, vi entrano sotto la copertura di assistenti sociali, suore o preti, con cittadinanza vaticana e che fanno parte dei Servizi Segreti della Santa Sede, e svolgono invece vere e proprie trattative con i detenuti politici assicurandosi a vita, anche nel caso questi tornino in libertà, che le versioni dei fatti che racconteranno sia nei processi sia come cittadini liberi, mantengano i segreti di Stato che la società non deve conoscere.

Mentre in queste carceri, uomini di Stato, politici, che si recano a trovarli, offrono loro benefici di ogni genere a garanzia del loro silenzio. Nella società civile vi sono poi i livelli più alti di questa organizzazione che vede in se anche le massonerie deviate, con infiltrazioni nelle istituzioni, banche, ministeri, telefonia, televisione di Stato, sanità, università.

I compiti per ciascuno sono diversi ma l'obiettivo è unico, rompere gli equil
ibri dello Stato democratico.

La forza di questa organizzazione eversiva ma istituzionalizzata è nella sua trasversalità,in quanto abbraccia l'intero arco costituzionale, compresa la Chiesa.

Memoriale Morucci.

Quando mi accorsi di cosa si verificava nel 1985/86 nel carcere di Paliano, ove era anche assistente volontaria Maria Fida Moro che con Morucci lavoravano sul famoso “Memoriale”, e frequentava quel carcere anche una certa suor Teresa Barillà, la quale faceva da portavoce tra Piccoli e i brigatisti del “caso Cirillo”, non sapendo Piccoli cosa rispondere al Giudice Carlo Alemi dal quale era indagato, (fu pubblicato un libro “La seconda trattativa di suor Teresa”), mi recai dai Magistrati e li “costrinsi” a perquisire la suora.

Fu trovato finalmente il “memoriale-Morucci”, con poche righe scritte a mano sul frontespizio:”1986- Solo per lei signor Presidente- Sono atti giudiziari, solo che qui ci sono i nomi!”

Dunque ciò che veniva sottratto alla Giustizia con menzogne nelle Aule, lo si “vendeva” sui tavoli del potere politico, evidentemente “colluso”.

Ma la vergogna più lurida fu che su quella perquisizione, furono redatti due verbali diversi, a firma dell’allora stesso Capo della Digos.

In un verbale la perquisizione la si definiva “negativa”, cioè non trovarono nulla.

In un altro verbale (stesso giorno, stessa ora, stessa perquisizione, stesso luogo) la perquisizione, definita positiva, rilevava il ritrovamento del memoriale Morucci, portato dalla suora a Cossiga, con tanto di nomi e cognomi dei partecipanti alla strage, nomi che Morucci nella veste di dissociato, non fece mai durante i processi! Non solo.

Il Capo della Digos, evidenziava alla Magistratura la necessità di rivedere la posizione di Morucci e Faranda, in quanto questo documento dimostrava inequivocabilmente che avevano mentito su quanto tuttavia aveva loro fatto guadagnare i privilegi della legge sui dissociati.

Fu da allora che scattò la mia indagine, e pedinai anche qualche brigatista quando gli “addetti ai lavori” che arrivavano da Roma, lo prelevavano a Paliano con la scusa che doveva essere interrogato, e poi giunti a Roma, al casello dell’autostrada lo lasciavano andare libero per c..i propri!

I due verbali

FATTI

Il 13 novembre 1990, in ordine al Procedimento Penale n. 3703/90 C R. G. P. M. l’allora Procuratore Capo ............... emise il seguente DECRETO DI PERQUISIZIONE LOCALE

IL PM Letti gli atti; Ritenuto che Pasquali Gabriella ha reiteratamente affermato che manoscritti originali (o in fotocopia) redatti dall’on. Moro nel corso del sequestro si trovano nella disponibilità di tale Suor Teresilla Barillà, cui sarebbero stati consegnati da Morucci V.;

che la ricezione di tali documenti, ove provata, costituirebbe resto ai sensi degli artt. 648 e 255 c.p.;

che pertanto appare opportuno procedere a perquisizione locale;

p.q.m.visti gli artt. 250 e ss. C.p.p.dispone la perquisizione dei locali (e pertinenze) abitati da Suor Teresilla Barillà presso la Casa di Cura “Assunzione di Maria”, sita in Roma, via Nomentana 311, con conseguente sequestro di quanto rinvenuto;

che copia del presente decreto venga consegnato alla Barillà con avviso che ha facoltà di farsi assistere o rappresentare da persona di sua fiducia idonea ex art. 120 c.p.p. , purchè immediatamente reperibile;

delega per l’esecuzione di P.G. della Questura di Roma D.I.G.O.S.

Il Procuratore della Repubblica.................................QUESTURA DI ROMA D I G O S

OGGETTO: Processo verbale di perquisizione eseguito a carico di Barillà Chiara, intesa Suor Teresilla, nata a Bagaladi (RC) il 01/05/1943, Residente a Roma via Nomentana 311, identificata a mezzo Carta d’Identità NR. 0138982F rilasciata Dal Comune di Roma il 5/11/89.

L’anno 1990 addì 17 del mese di novembre, alle ore 11.30 in via Nomentana NR. 311 innanzi a noi sottoscritti Ufficiali di Polizia Giudiziaria, appartenenti alla Questura di Roma – DIGOS, è presente Barillà Chiara, in oggetto identificata, alla quale viene notificato, mediante consegna di copia, il decreto di perquisizione locale NR. 37/03/90 C emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma – Proc. Rep. Dr. .......................... in data 13/11/1990.

Prima di procedere all’effettuazione della perquisizione, la persona viene invitata a consegnare quanto pertinente al reato per cui si procede.

Diamo atto che alla persona sono state fatte presenti le ragioni del nostro intervento, rendendola edotta della facoltà di farsi rappresentare o assistere da un difensore o da altra persona di fiducia, senza che ciò potesse comportare ritardi all’esecuzione dell’atto.

A tale facoltà ha espressamente inteso rinunciare.E’ stata quindi eseguita un’accurata perquisizione nel luogo indicato.

La perquisizione si è conclusa alle ore 12.30 del 17/11/1990 con esito NEGATIVO.

La suddetta persona, invitata a dichiarare o a eleggere il domicilio, o per le notificazioni, ha richiesto che ogni comunicazione le fosse comunicata presso la residenza in via Nomentana NR 311.

Fatto, letto, confermato e sottoscritto in data e ora di cui sopra.Barillà Chiara (Firma illeggibile) Vc Isp.(Firma illeggibile) Comm. P.S. -----------------------------------------------------------

In conseguenza dell’esito negativo della perquisizione, io fui iscritta nel registro degli indagati e il Procuratore Capo chiese a mio carico un provvedimento di custodia cautelare in carcere con l’accusa di calunnia. L richiesta di tale provvedimento fu rigettata dal GIP , ed io fui tuttavia rinviata a Giudizio, e pertanto processata.

Vedremo poi come si concluderà questo processo.

Nel frattempo , da un amico della Questura, venni a sapere che non era affatto vero che la perquisizione a carico di Suor Teresa Barillà si era conclusa con esito negativo, bensì la Suora era pure svenuta nel corso dell’esecuzione dell’atto, quando gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria le avevano trovato un dossier redatto da Morucci e che forse sarebbe stato posto sotto il Segreto di Stato.

Mi disse pure che i verbali della perquisizione erano due, di cui quello con esito negativo sarebbe stato allegato agli Atti del PM che procedeva a mio carico, mentre quello vero, con esito positivo sarebbe stato trasmesso in via riservata alla Procura di Roma.

A fronte di questa rivelazione, io non ci vidi più dalla rabbia e dallo schifo, e pertanto mi ripresentai in Procura gridando in faccia agli inquirenti:

“Tirate fuori il verbale vero della perquisizione, ho saputo che non si è conclusa con esito negativo, è stato trovato quanto da me denunciato... Ora faccio un casino, io sono sotto processo grazie ad un falso verbale... e sarò condannata...Vergognatevi....”

Non ricordo chi degli inquirenti, urlando più di me così si espresse: “Cazzo, ci fosse una volta che qualcuno della DIGOS non si fa i cazzi propri...”, mentre mi invitava ad andarmene se volevo evitare che dato il mio tono facesse intervenire le Forze dell’Ordine.

Non mi arresi, uscii dalla Procura e piangevo dalla rabbia, ma ero intenzionata a recuperare il verbale della perquisizione con esito positivo.

Il Signore mi aiutò, ed entrai in possesso del documento che cercavo e che riproduco qui di seguito.

QUESTURA DI ROMA Cat. T.2/1990/DIGOS (01) Roma, 3 Dicembre 1990(Rif). N. 3449/90 C-RGPM

OGGETTO: Sequestro Moro. Milano 9 ottobre 1990 – Rinvenimento materiale BR in via Montenevoso.

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICAPresso il Tribunale di ROMA - dott. .................- dott.

1) Come noto, in data 17 novembre corrente, è stata eseguita la perquisizion
e locale, disposta da codesta Procura della Repubblica, con decreto numero 3703/90 – C – RGPM del 12.XI.1990, a carico di Suor Teresilla Barillà Chiara (Cfr. informativa pari categoria ed oggetto del 19 novembre successivo).

Nella circostanza la Religiosa ha consegnato al Funzionario –operante, a titolo di liberalità o per motivi di studio del fenomeno politico eversivo, un volume che si acclude in copia, di pagine 283, a suo dire redatto a principiare del 1984, dal noto BR Valerio Morucci e concernente la storia del sequestro Moro.

2) Dall’esame di detto volume, effettuato d’intesa con la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, è emerso che alcune lettere dell’On. Moro, citate nella seconda parte del volume stesso, sono state rinvenute, in fotocopia, il 9 ottobre scorso a Milano, in via Montenevoso.In particolare, raffrontando detto volume con le elaborazioni del materiale di “Monte Nevoso” curata dalle DCPP e costà trasmessa con nota del 2 novembre decorso; si rilevano le seguenti tre lettere, le prime due indirizzate alla signora Eleonora Moro, l’altra alla famiglia.

- lettera contraddistinta dal n. 5 (pag.258) si ritrova a pag. XXVI della citata elaborazione;

- lettera contraddistinta dal n. 6 (pag.260): figura a pag. XXV dell’elaborazione.

In proposito è opportuno rilevare che mentre nel volume consegnato alla Suora, compare la datazione tra il 5 e il 10 aprile, nella fotocopia rinvenuta in via Montenevoso la data, ed è uno dei pochissimi casi, è invece esattamente indicata come 7.4.1878.

In quest’ultima inoltre vi è la frase “Sono intatto e in perfetta lucidità. Non è giusto che non sono capace”, che non compare nel volume.

- lettera contraddistinta dal n. 10 (pag. 269): figura a pag. XXIV dell’elaborazione.

E’ anche da rilevare, come si evince dal raffronto tra le lettere citate nel volume e quelle pubblicate dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sul caso Moro, che la missiva contraddistinta dal n. 24 (pag. 282), e che viene indicata come “incompiuta”, termina in effetti con le frasi che nel volume sono riportate come lettera n. 23.3)

Da quanto sopra esposto, in considerazione del fatto che nella prima parte del volume vi è una premessa “storico-politico” datata luglio 1984, epoca alla quale verosimilmente si deve far risalire la redazione dell’opera, è evidente che, quando tale redazione è avvenuta, ancora non era stata rinvenuta la documentazione dietro il pannello nell’appartamento di via Montenevoso a Milano.

E’ pertanto altrettanto evidente che il redattore dell’opera, Valerio Morucci o chi per lui, aveva già allora la disponibilità di materiale documentale relativo all’On. le Moro assolutamente inedito e sconosciuto.

Tale circostanza dovrebbe indurre a riesaminare le dichiarazioni già rese da Valerio Morucci ed Adriana Faranda nell’ottica di possibili reticenze od omissioni, più o meno volute, nonché la posizione della stessa Suor Teresilla, che dovrebbe riferire tempi e modalità di acquisizione del volume.

4) Con l’occasione si rappresenta che il 26 aprile 1990, un analogo volume è pervenuto alla Direzione Centrale Polizia Prevenzione, per la trasmissione all’Autorità Giudiziaria, dal Segretario Generale della Presidenza della Repubblica che l’aveva ricevuto il 13 marzo.

Nella nota di accompagnamento è anche sostenuta la disponibilità a comunicare al Magistrato che ne dovesse fare richiesta, ogni circostanza nota riguardo all’invio della documentazione al Presidente della Repubblica.Il volume in argomento è stato trasmesso il 9 maggio 1990 al Sig. Procuratore della Procura della Repubblica di Roma, che lo ha assegnato al GI dott. Rosario Priore.IL DIRIGENTE DELLA DIGOS (Dr.......................

EPILOGO.

Il Processo a mio carico proseguì come se tale “scandalosa” circostanza non si fosse mai verificata. A far testo era il verbale di perquisizione falsamente conclusasi con esito NEGATIVO.

Né mai comparve nel fascicolo il materiale rinvenuto nel corso di detta perquisizione.Si giunse così all’ultima udienza.La Corte, presieduta dal ................., si sarebbe ritirata in Camera di Consiglio per emettere nei miei confronti un verdetto di condanna.

Il Giudice, nel guardare gli Atti, non trovava un documento, tanto che rivolto a Suor Teresa Barillà, che aveva deposto dimostrando di avere come suo diritto copia dell’intero fascicolo, chiedendo alla stessa se per caso disponesse del documento, peraltro di importanza irrilevante, che il Dottor De Nicola, non trovava al momento.

La Suora, prontamente si avvicinò al Giudice, e mentre cercava senza guardare cosa prendeva, nella classica sacca di stoffa nera in uso alle Suore, pese in meno un plico e disse:

“Ecco Giudice, è questo il documento che cerca , vero?”

Il Giudice guardò pochi istanti quelle carte, io mi accorsi che era impallidito, in Aula , piena i giornalisti cadde il silenzio più assoluto.

Poi l’urlo del Giudice: “Suora, che cos’è questo... si sieda sul banco dei testimoni, io la incrimino...”.

La Suora resasi conto che aveva sbagliato documento, diventò paonazza in volto e tremante si sedette dove le aveva indicato il Giudice. “Qui ci sono frasi scritte a mano.... Di chi sono?

Questo è un memoriale e sul frontespizio c’è scritto “Solo per Lei Signor Presidente. E’ tutto negli Atti Processuali, solo che qui ci sono i nomi. “ Una firma illeggibile e una data :1986 .”

La Suora guardava le annotazioni a mano, e al Giudice che glielo aveva chiesto, disse che quelle annotazioni le aveva scritte lei, mentre studiava il documento.A questo punto il Giudice la invitò a leggere le annotazioni.

Ma la Suora non conosceva la propria calligrafia.

Né rispose quando il Giudice la incalzò perché dicesse chi erano quegli appunti a margine del famoso “Memoriale Morucci”.

La stampa era scandalizzata, ma il giorno dopo nessun giornale riportava l’episodio a meno di piccoli trafiletti che titolavano : “Assolta la Carlizzi”.

Seppi poi che sulla circostanza clamorosa i Direttori delle testate giornalistiche furono invitati a tacere, in quanto questi documenti dovevano rimanere riservati.

Il Pubblico Ministero chiese egli stesso la mia assoluzione piena, che naturalmente fu accolta, e la sentenza divenne definitiva, non essendosi appellato nessuno.

Conclusioni.

Quanto sino ad ora affermato da Gabriella Pasquali Carlizzi è sconvolgente ed, a tratti, incredibile.

Come incredibile appare che su una perquisizione tanto importante, ovvero quella che, grazie alla denuncia di Gabriella Pasquali Carlizzi, ha portato al rinvenimento del memoriale Morucci, la polizia possa aver fatto due verbali identici di cui uno falso. Perché? Per colpire Gabriella Carlizzi e farla tacere? Per questo e/o per altro ancora? Ma soprattutto sono stati falsificati altri atti? E i pubblici ufficiali autori del reato sono stati puniti?

Le domande sono tante come, probabilmente, ancora tante le cose da scoprire.

Gabriella Pasquali Carlizzi ha affermato di voler continuare a dire quanto di sua conoscenza sul caso Moro e noi continueremo, quindi, in successivi articoli, ha riportare la ricostruzione pubblicata dalla stessa.

Riteniamo di dover continuare perché la ricostruzione viene da persona informata sui fatti che, negli anni, si è esposta personalmente assumendosi davanti all’Autorità Giudiziaria la responsabilità delle sue affermazioni, ricostruzione, pertanto, degna della massima attenzione.


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helios
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Paolo VI cercò di salvare Moro.
"Erano pronti 10-15 miliardi di lire"
La ricostruzione dei fatti del teologo Gianni Gennari: il Pontefice aveva messo a disposizione la somma per il riscatto che emissari avrebbero dovuto consegnare a persone "vicine" ai brigatisti proprio il 9 maggio. "Quella mattina qualcosa andò storto e qualcuno si mise in mezzo per far fallire il piano". Quel giorno il corpo dello statista fu trovato in via Caetani a Roma
di ORAZIO LA ROCCA

Una cifra dai 10 ai 15 miliardi di lire era stata messa a disposizione di Paolo VI per salvare la vita di Aldo Moro. Un riscatto che riservati emissari pontifici, la mattina del 9 maggio 1978 - 35 anni fa - avrebbero dovuto consegnare a persone "vicine" ai terroristi delle Brigate Rosse che 55 giorni prima avevano rapito il presidente della Dc e massacrato la sua scorta a via Fani, a Roma, lo stesso giorno in cui Giulio Andreotti si presentò in Parlamento per ottenere la fiducia per il varo del primo governo nato d'intesa col Pci di Enrico Berlinguer. "Tutto era pronto per la liberazione di Moro, ma quella mattina del 9 maggio qualcosa andò storto o qualcuno si mise in mezzo per far fallire il piano voluto da Paolo VI, e finì come tutti sappiamo", racconta il teologo Gianni Gennari, giornalista Rai e titolare della popolare rubrica quotidiana "Rosso Malpelo" che da 17 anni tiene sul quotidiano cattolico Avvenire. Gennari ne ha parlato alla recente presentazione del libro "La zona franca" - sottotitolo, "Così è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro", edito da Castelvecchio - scritto dal giornalista Rai Alessandro Forlani.

Il corsivista della rubrica "Rosso Malpelo" ha anche fornito alcuni particolari inediti che riportano alla luce per la prima volta tutta la passione con cui papa Montini tentò di salvare Moro. Passione e determinazione che emersero pubblicamente alcuni giorni dopo il rapimento e la strage della scorta del leader
Dc con la storica lettera aperta "Agli uomini della Brigate Rosse" nella quale il Papa implorò, prostrandosi simbolicamente ai loro piedi, di liberare Moro, "uomo giusto e buono". Gennari ha quindi presentato il fascicolo originale di Civiltà Cattolica in data 16 aprile 1978 (le bozze della rivista dei gesuiti sono sempre vistate in anticipo dalla Segreteria di Stato vaticana) in cui era scritto che, salvo il riconoscimento politico delle Br, bisognava fare tutto il possibile per la salvezza di Aldo Moro. Pochi però sanno - ha specificato - che Paolo VI, affiancato dal suo segretario, monsignor Pasquale Macchi, mise in moto riservatamente tra i suoi amici un tam tam di solidarietà per raccogliere la cifra destinata al riscatto per la liberazione del presidente Dc, tenendo fuori dall'iniziativa i politici italiani.

I canali con la Santa Sede erano tenuti in piedi da due sacerdoti, noti nell'ambiente romano, ma lontani dalle alte sfere ecclesiastiche: padre Carlo Cremona, collaboratore del Gr2 e amico di monsignor Macchi, e don Cesare Curioni, il cappellano capo delle carceri italiane, che dopo il sequestro di Moro ha incontrato più volte a Torino, durante il processo, i capi storici della Br Renato Curcio e Alberto Franceschini, ricevendo l'assicurazione che loro con il rapimento Moro non c'entravano nulla. In questo contesto proprio padre Cremona aveva avuto l'incarico di attendere una telefonata la mattina del 9 maggio da parte di un intermediario delle Br che gli avrebbe annunciato dove trovare Moro per liberarlo. "Tutto pareva pronto", ha detto Gennari, "e in quella stessa mattina nella Direzione della Dc Amintore Fanfani avrebbe formalizzato anche la proposta di uno scambio per la liberazione della brigatista Paola Besuschio. Qualcuno o qualcosa vanificò l'iniziativa" e il corpo di Moro fu trovato crivellato di colpi in via Caetani all'interno della Renault R4 amaranto.

Secondo la testimonianza di don Curioni - ha ancora ricordato il teologo - sul cadavere del presidente Dc era presente un solo colpo che lo aveva ucciso con i segni del sangue. E c'erano poi altri colpi sparati a distanza di tempo che procurarono ferite che non presentavano tracce di sangue esterno. Probabilmente i cervelli di tutta l'operazione vollero essere sicuri in anticipo dell'uccisione dell'ostaggio e poi fecero credere ad alcuni dei brigatisti che avevano sparato uccidendo il presidente dc che in realtà era già morto. Per Gennari è chiaro che tutta l'operazione aveva come scopo principale l'eliminazione del personaggio principale di quel momento storico della politica italiana e la conseguente destabilizzazione dei due attori principali di quel momento, la Dc di Moro e di Benigno Zaccagnini e il Pci di Enrico Berlinguer. Tra l'altro, Gennari ha ricordato - e la cosa ha il sapore amaro dell'ironia della sorte - che Zaccagnini, se quel giorno non avessero rapito Moro, avrebbe dato le dimissioni da segretario dc in dissenso su alcune nomine di quel governo Andreotti. Non solo, ma, come ha ricordato l'onorevole Franco Salvi, braccio destro di Zaccagnini, sul Mattino del 29 ottobre 1993, "il Pci aveva deciso di votare contro il governo Andreotti, ma poi disse un sì coraggioso e difficile davanti all'emergenza".

(09 maggio 2013)

http://www.repubblica.it/politica/2013/05/09/news/paolo_vi_moro-58412973/?ref=HREC1-3


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ltimamente abbiamo ripreso, dal sito la giusta informazione2, la ricostruzione di Gabriella Pasquali Carlizzi di quella strage.

Gabriella Pasquali Carlizzi negli anni ha avuto modo di venire a conoscenza di fatti ad oggi ufficialmente non conosciuti.

http://archiviostorico.corriere.it/1995/settembre/14/Carlizzi_preso_due_miliardi__co_0_9509149253.shtml
....

a tomclensi de noantri....SVEIAAAAAA!!!!


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Stopgun
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Mi hanno raccontato che c'erano delle foto dall'alto della zona di Via Trionfale che esposte pubblicamente da un'associazione locale di Monte Mario, sono state repentinamente rimosse subito dopo l'azione di Via Fani.

Forse Radisol, che è di zona, ne sa qualcosa.

Comunque a questo punto sono certo che uno dei fronti della trattativa era sicuramente il Vaticano che poteva trattare con una certa autonomia.

Paolo Vi aveva pensato di dare le dimissioni ma poi il 28 Luglio 1978 aveva dissipato queste voci con l'affermazione" resterò al mio posto fino a che vivro'".
La domenica successiva spirò all'improvviso ed il problema perse di importanza.

Suor Barillà è deceduta per un incidente stradale particolare, guidava a piedi un corteo di pellegrini al divino Amore ed è stata, solo lei, travolta da un auto.
Conosco Via Ardeatina ed ho evitato un miliardo di volte di investire i cortei di pellegrini che di notte o di giorno camminano su quella strada stretta.
Guidare un corteo è molto pericoloso, ma quello di suor Barillà è l'unico incidente mortale che conosco. Mah??


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