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Fini - su Priebke


Tao
 Tao
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"Vergogna! Vergogna! Assassino!" gridavano le donne del rione Monti al passaggio di Erich Priebke condannato all'ergastolo per l'eccidio delle Fosse Ardeatine del 1944, che, dopo 11 anni di carcere e di arresti domiciliari, usufruiva a 93 anni, del suo primo giorno di 'permesso di lavoro' concessogli dal giudice di sorveglianza militare. Riecheggiavano, quelle donne, gli insulti ancor più pesanti ("Tu devi fare la fine di Eichmann", "Devi finire impiccato") che a Priebke erano stati rivolti alla sua uscita di casa, la mattina presto, da un centinaio di giovani ebrei romani. Sino a che, alla fine di quell'unica giornata di semilibertà, i magistrati hanno revocato, con un cavillo, il 'permesso di lavoro'. Di vergogna, in questo caso, non si è coperto Priebke.

Dal momento in cui si era saputo che il giudice di sorveglianza militare Fulvio Salvatori aveva concesso il 'permesso di lavoro' a Priebke la Comunità ebraica romana si era mossa e il suo legale Oreste Bisazza Terracini aveva fatto pressioni sull'altro giudice di sorveglianza, Isacco Giorgio Giustiniani, perchè il provvedimento fosse revocato. Il ministro della Difesa Arturo Parisi si è immediatamente calato le braghe e ha fatto a sua volta pressioni sul Procuratore generale militare della Cassazione. Così è uscito un provvedimento d'urgenza che non ha precedenti nella storia della lentissima giustizia italiana. Insomma Governo e Magistratura hanno ceduto alle pressioni della piazza. Anzi di una mini-piazza perchè gli ebrei non sono le sole vittime della rappresaglia delle Ardeatine, ma ne rappresentano una minoranza.

Non è la prima volta che accade nella vicenda Priebke. Nel 1998 l'ex capitano delle SS fu condannato all'ergastolo dalla Corte d'Appello militare, e quindi riconosciuto responsabile del massacro delle Ardeatine, ma lasciato in libertà per intervenuta prescrizione (erano passati 55 anni dai fatti). In Tribunale una cinquantina di ebrei inscenarono una gazzarra contro la sentenza e il Governo, con un intervento inaudito che violava il fondamentale principio della separazione dei Poteri, la cancellò d'autorità. E Priebke restò in galera.

Il fatto curioso, ma nient'affatto casuale, è che l'accanimento nei confronti di questo ectoplasma del nazismo cresce, invece di diminuire, col passare degli anni. E si può capire perchè. Nel 1948 quando iniziò il processo a Herbert Kappler, il comandante del reggimento a cui Hitler in persona aveva ordinato di eseguire la rappresaglia dopo l'attentato terroristico dei Gap a via Rasella dove erano rimasti uccisi 33 riservisti austriaci, la guerra era un fatto ancora molto recente e se ne conoscevano le dure leggi. Il diritto di rappresaglia contro formazioni partigiane era ammesso dalla Convenzione di Ginevra. Tanto che quando gli Alleati occuparono la Germania lo fissarono in questo modo: 20 a uno gli inglesi, 50 a uno i russi e 200 a uno gli americani. Questi editti non furono applicati solo perchè nella Germania completamente distrutta non ci fu alcuna resistenza. Kappler, insieme ad altri suoi cinque subordinati, potè essere condannato nel 1953 solo perchè per eccesso di zelo nella sua macabra conta, superò il limite della rappresaglia del dieci ad uno, facendo fucilare 335 persone invece di 330. E fu condannato per "concorso in violenza con omicidi o continuato" perchè allora l'ambiguo reato di 'crimini di guerra' non esisteva nel costume giuridi co (era appena stato inventato dagli americani, con effetto retroattivo, a Norimberga).

Kappler e gli altri cinque vennero quindi condannati non per la rappresaglia, ma per un eccesso, diciamo così, contabile di cui furono ritenuti personalmente responsabili. Tutti gli altri, soldati e ufficiali, Priebke compreso, furono mandati, sia pur implicitamente, assolti. Del resto in quel clima, in quel contesto di guerra, non era assolutamente pensabile che un ufficiale o un soldato tedesco non ubbidissero a un ordine che veniva direttamente da Hitler. Chi lo avesse fatto sarebbe stato passato per le armi e sarebbe diventato un eroe. Ma non è richiesto agli uomini, nemmeno a un soldato, quale Priebke era, di essere un eroe. E mi piacerebbe vedere quanti di coloro che oggi fanno gli eroi a buon mercato, nel 1944 si sarebbero comportati diversamente da Priebke e dai suoi commilitoni.

Quando, nel 1995, Priebke venne estradato dall'Argentina e poi giudicato e condannato in Italia fu un abuso. Perchè Priebke era già stato giudicato insieme agli altri uomini che componevano il reggimento di Kappler, nel 1953, e poichè, a differenza di Kappler e degli altri cinque, non venne condannato, ma implicitamente assolto. Questo nuovo giudizio violava il basilare principio di civiltà giuridica chiamato 'ne bis in idem' per cui nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso fatto.

Questa è la storia giuridica dell'ex capitano delle SS Erich Priebke. Accanto ad essa ne corre però un'altra, parallela. Il vicepresidente della Comunità ebraica, Riccardo Pacifici, ha dichiarato: "Non abbiamo mai cercato la vendetta... Da parte nostra non c'è stata persecuzione. Abbiamo accettato gli arresti domiciliari, che andasse a Messa e che passeggiasse nel parco. Ma questa soluzione del lavoro non era accettabile. Sono orgoglioso per i giovani che hanno protestato. E poi due giorni fa è morta Ada Anticoli. A sei mesi, nel 1944, era rimasta orfana di Lazzaro, uno dei 335 martiri delle Ardeatine. Ada stava male da tempo ma questa situazione non l'ha certo aiutata".

Pacifici parla come se la Comunità ebraica potesse di sporre a suo piacimento delle leggi e delle Istituzioni dello Stato italiano. Non spetta alla Comunità ebraica decidere se a Priebke , o a qualsiasi altro Priebke, spettino i 'domiciliari', se possa andare a Messa o passeggiare nel parco, se abbia diritto o meno a un 'permesso di lavoro'. Spetta allo Stato italiano che, con tutto il rispetto, non coincide con la Comunità ebraica. Ed Erich Priebke è poi responsabile non solo delle vittime delle Ardeatine ma anche della morte naturale dei loro figli e dei figli dei loro figli fino all'eternità?

Mandare libero un uomo con una regolare sentenza eppoi, sotto la pressione della piazza, tenerlo ugualmente in carcere, concedergli, a 93 (novantatre) anni, un 'permesso di lavoro' e poi, sempre su pressione della piazza, revocarglielo il giorno dopo, non è giustizia, è tortura. Inoltre nell'intera storia dell'umanità, in tutte le epoche, in tutti i popoli, in tutte le culture, non si registra un solo precedente di un uomo perseguito a sessantatrè anni dai suoi crimini per quanto efferati fossero. Bisognava aspettare il 2007 per vedere questa barbarie. Che esprime proprio quello spirito di rappresaglia e di vendetta per il quale, alle Ardeatine come altrove, abbiamo condannato i nazisti.

Massimo Fini
Fonte: http://www.massimofini.it/
Uscito su "Il gazzettino" il 22/06/2007


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