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Friedman: Nell’ambiente la nostra salvezza


Tao
 Tao
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Una Rivoluzione per il pianeta. Intervista a Thomas Friedman, autore di "Caldo, Piatto e affollato". Abbiamo bisogno di un grande progetto che investa l’ecologia. Perché solo una "svolta verde" guidata dagli Usa può far rinascere l’economia. Oggi all’era del global terrorism è subentrata quella del global warming segnata da Obama

Se uno studia la scienza climatica resta impressionato Stiamo bruciando e intasando il mondo
«Diecimila garage da dove escano nuove idee, diecimila imprese innovative, diecimila imprenditori». Solo una rivoluzione "verde" guidata dall’America può salvare il futuro di questo paese e del mondo intero, far rinascere l’economia e ridare fiato e ricchezza alla classe media. Ne è convinto Thomas Friedman, tre volte vincitore del premio Pulitzer, columnist del New York Times e autore di libri best-seller della saggistica contemporanea (Da Beirut a Gerusalemme, Le Radici del Futuro, Il Mondo è Piatto) che a questo tema ha dedicato il suo ultimo lavoro: Hot, Flat and Crowded, uscito negli Stati Uniti a ottobre e da domani in libreria anche in Italia per i tipi della Mondadori con lo stesso titolo: Caldo, Piatto e Affollato. Lo abbiamo intervistato nel suo ufficio di Washington.

Perché caldo, piatto e affollato?

«Il titolo originale doveva essere "Il verde è il nuovo rosso, bianco e blu" (i colori della bandiera americana, ndr), ma più lavoravo, più mi documentavo e più mi rendevo conto che non era giusto: perché il Giappone è già più verde di noi, la Germania e la Danimarca anche. Oggi il mondo è "piatto" perché la rivoluzione tecnologica ha livellato l’economia e le conoscenze globali, è "affollato" dall’impennata demografica e da miliardi di persone che vogliono vivere come gli americani, è "caldo" per il riscaldamento globale. È un mondo con cinque problemi-chiave».

Quali sono?

«La crescente domanda di energia e risorse naturali, sempre più scarse; il massiccio trasferimento di ricchezza ai produttori di petrolio e ai loro "petrodittatori"; il mutamento climatico; la penuria energetica, che divide il mondo tra chi abbonda di elettricità e chi ne ha poca; la rapida perdita di biodiversità, con l’estinzione di piante e animali. Questi problemi e il modo in cui li affronteremo determineranno il nostro futuro».

Il crollo di Wall Street e la crisi economica?

«Questo libro l’ho finito nel luglio scorso e il primo capitolo in qualche modo anticipava quanto successo in seguito. La crisi economica attuale cambia alcune cose. Nella prossima edizione ci sarà un nuovo capitolo. Ma il concetto di fondo resta lo stesso anche adesso: è necessaria una nuova rivoluzione industriale, quella che chiamo ET, (Energy Technology) o se preferiamo Geo-Greenism, rivoluzione verde. E dovrà essere l’America a guidarla».

In che modo?

«Dobbiamo dotarci di nuovi strumenti, nuove infrastrutture, nuovi modi di pensare e di collaborare con gli altri, tutte cose che sono il presupposto per grandi imprese e per scoperte scientifiche e il propellente capace di spingere avanti una nazione».

La sua ricetta?

«Glielo dico con uno slogan: un ecosistema innovativo, diecimila imprese, diecimila imprenditori, diecimila garage da dove escano nuove idee».

Come si concilia con l’America in recessione?

«Sia il Mercato che Madre Natura sono andati a sbattere e ci dicono che la crescita è possibile solo attraverso strade sostenibili. Nel Dow Jones questo si vede con i numeri in rosso, ma Madre Natura non ha un suo Dow, non spiega attraverso numeri qual è il suo stato. Ma se uno studia la scienza climatica è impressionante vedere come i cambiamenti del clima stiano avvenendo più velocemente di quanto gli scienziati prevedessero. Non ha un Dow, ma dei criteri con cui possiamo valutare il suo stato di salute».

Quali sono?

«I cinque punti di cui parlavo prima. Stiamo bruciando, intasando, fumando e mangiando questo pianeta. Aggiungiamo un miliardo di persone in più ogni tredici anni: se hanno bisogno anche solo di una lampadina da 60 watt per quattro ore al giorno dovremmo costruire venti nuove centrali a carbone da 500 megawatt».

Cosa cambia con la crisi attuale?

«Il disastro dei mutui subprime è una metafora di quanto accaduto in America negli ultimi anni, cioè la rottura della catena che unisce impegno, risultati e responsabilità. Abbiamo pensato di ottenere il "sogno americano" - il primo dei quali è la casa di proprietà - a costo zero e i risultati si sono visti. Il paese ha fatto lo stesso, abbiamo acceso un mutuo sul nostro futuro invece di investire su di esso».

Come può allora l’America guidare questa nuova rivoluzione?

«Con un cambiamento radicale. Passando dai problemi del global terrorism dell’era Bush a quelli del global warming. Con la presidenza Obama avremo forti spese per le infrastrutture, per i trasporti, per l’energia solare e quella a vento».

La minaccia terroristica non esiste più?

«Non dico questo. Il global terrorism non era un’invenzione ed è ancora una minaccia reale. Ma la vera ragione per cui Obama è presidente è che l’America vuole un nation-building qui, a casa nostra. Per me questo nation-building è il verde come il rosso era il colore degli anni Cinquanta».

Cioè?

«L’anticomunismo spinse gli Stati Uniti a sviluppare la difesa, la struttura industriale, le autostrade, ma anche le istituzioni scolastiche e una ricerca scientifica di altissimo livello capace di lanciare l’uomo nello spazio e dare entusiasmo alle nuove generazioni. Oggi il "codice rosso" di Bush, la guerra al terrorismo, non basta. Abbiamo bisogno di un grande progetto, di un "codice verde". C’è un mercato che ha creato titoli tossici e una politica climatica che ha creato rifiuti tossici. Due facce dello stesso problema».

Come risponde alle critiche di paesi come Cina e India sui temi ambientali?

«Da un punto di vista morale hanno perfettamente ragione. Noi abbiamo mangiato l’antipasto, il primo, il secondo e il dessert, India e Cina sono arrivati al momento del caffè e noi gli chiediamo di dividere l’intero conto? Ovviamente non è giusto. Rispondo così: avete ragione, andate avanti con l’uso dell’energia sporca, è un vostro diritto. Perché sono certo che l’America ha bisogno di soli cinque anni per rilanciare l’energia pulita e fra cinque anni saremo in grado di venderla anche a voi».

Il piano energetico di Obama?

“Sono critico. Obama è all right eccetto per due cose: fa la politica sbagliata con i politici sbagliati. Io credo nella carbon tax, lui sa che al Senato non gliela passeranno mai. Se la Casa Bianca mi chiede consigli? No, Obama l’ho incontrato una volta, so che ha letto i miei libri e segue le mie column sul New York Times. Io sono per green the bailout, usiamo i soldi pubblici per l’innovazione e il rinnovamento».

Gli aiuti al settore dell’auto vanno in questa direzione?

«Non sono certo un fan dei manager che hanno guidato General Motors o Chrysler, penso che abbiano avuto grandi responsabilità e che debbano essere sostituiti. Sono d’accordo con Obama che questa deve essere la condizione perché ricevano aiuti dal governo. L’industria dell’auto deve trovare il modo di sopravvivere, non dimentichiamoci che stiamo parlando del lavoro e della vita di molta gente. Sopravvivere rinnovandosi completamente, questa è la chiave».

Fonte: www.repubblica.it
6.04.2009


Citazione
corrado
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Corrado Poli* on THOMAS L. FRIEDMAN FOR A GREEN PRESIDENT
*Corrado Poli is a Compagnia di San Paolo International Fellow at Johns Hopkins University Institute for Policy Studies and Visiting Professor of Economics and Environmental Ethics, University of Bergamo (Italy). From 1988 to 1994 he has directed an International Research project on Ethics and Environmental Policies that brought together scholars from all over the world by organizing conferences in Europe, in U.S. and Canada, and by editing several books on this topic.
ALTERNATIVE E-MAIL: [email protected] ;
telephone 410 516 0617; cell 1 443 824 9176

OP-ED
With the timing and sensitivity of an experienced journalist, Thomas Friedman picks up a crucial contemporary issue. He claims that Americans do not need to choose between a libertarian or a liberal President, nor between a woman or a man, a white or a black. They need a green President. The best chance America has to play a positive role in the world is by bringing a new environmentalist ideology into domestic and foreign policy.

I could not agree more with Friedman’s view. The problem with his proposal is that we cannot buy ideologies at the corner store. Ideologies develop in culture and require time to be cultivated, diffused and broadly accepted. Then we must affirm them by subjecting them to debate in the public arena. We are just at the start of this process. Moreover, we lost time - at least twenty years – due to the unjustified enthusiasm about the sustainable development fallacy. Sustainable development has represented a conservative approach, though it has been marketed and bought as an environmentalist ideology. It was the outcome of a modest compromise following a negotiation at the U.N. Brundtland Commission in 1987. Unfortunately, many activists welcomed it as a brilliant solution to environmental problems. Some of them failed to realize that sustainable development did not question the present economic growth model at all. Other more opportunistic activists took advantage of the considerable money that western governments appropriated to “sustain” mildly green projects. Thus, polluting industries could continue business as usual. The mindless enthusiasm for the sustainability compromise inhibited any intellectual and political progress toward a sound green ideology.

As early as in 1992, the higher education and public opinion worlds were much more advanced in constructing an environmental ethics fitting for a green platform. Al Gore, campaigning for Vice-Presidency, proposed a Marshall-like environmental plan to help the former Communist countries to develop a more efficient and cleaner economy. This plan was never fully implemented, but Clinton won some votes, thanks to his running mate’s environmentalist commitment. Gore’s proposal was anything but a new radical green ideology, rather it was a reasonable step forward in the direction Friedman suggests.

We are used to seeing and interpreting political facts through the thick lens of centuries-old ideology that is based on the principles of justice and liberty. There is no doubt that as long as there will be two or three humans on Earth, we will have problems with justice and liberty. However, we have clear paradigms to guide us in dealing these issues. The environmental crisis requires a profoundly new thinking. Environmental ethics and philosophy can help in this venture once environmentalists awake from their hypnotic sleep induced by the sustainable development myth. Friedman likely overlooks the risk that a real environmentalist ideology – though necessary and welcome for the safeguard of the planet – would create even more radical consequences in domestic and international politics.


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