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Ha ragione Tremonti: c'è il rischio fascismo


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Giulio Tremonti ha detto che l'impoverimento del ceto medio europeo può avere come esito il fascismo. E ha aggiunto che in questa situazione le classi dirigenti non devono comportarsi come fecero alla fine degli anni '30, quando cedettero ad Hitler nella Conferenza di Monaco. Il Corriere della Sera ha raccolto il parere di alcuni illustri storici (Piero Melograni, Emilio Gentile, Lucio Villari) i quali - seppure con argomentazioni e toni diversi - dissentono nettamente da Tremonti. Melograni sostiene che in Italia in realtà non ci fu mai il fascismo, ci fu il «mussolinismo», e dice di non vedere, oggi, nessun Mussolini in giro. Gentile liquida la tesi di Tremonti come del tutto infondata, perché il fascismo appartiene ad una epoca imperiale che non esiste più. E' un fenomeno chiuso, irripetibile. Villari ritiene che fascismo e nazismo nacquero non solo come reazione a una crisi economica ma per una questione ideologica e politica. E oggi - aggiunge - la crisi del ceto medio non si sta saldando con una crisi ideologica e politica.

Noi ci permettiamo di dissentire dai tre illustri storici e ci dichiariamo d'accordo con Tremonti. In Europa, e in modo specialissimo in Italia, il rischio c'è. Naturalmente sappiamo tutti che certi fenomeni storici non sono ripetibili. Non credo che Tremonti, quando parla di rischio fascista, pensi ai ragazzi balilla, o al passo dell'oca tedesco, ai discorsi del Duce dal balcone, e neppure alle imprese colonizzatrici in Africa. Pensa a una svolta illiberale e autoritaria. E questo pericolo, secondo noi, è attualissimo.

Cosa vuol dire svolta illiberale e autoritaria, cosa vuol dire «regime», nel 2008, e con l'Europa unita, e con lo sviluppo economico e politico e culturale che è stato raggiunto in Occidente negli ultimi sessant'anni? Tre o quattro cose. La prima è l'interruzione della curva di crescita della libertà. Quella collettiva e quella individuale. La seconda è la rottura di alcuni punti fermi dello Stato di diritto, tra i quali l'eguaglianza di tutti davanti alla legge. La terza è una fortissima semplificazione del sistema politico, a scapito del pluralismo (che da valore assoluto diventa disvalore, come accadde per l'idea di democrazia negli anni 20 e 30) e a scapito della rappresentanza. La quarta è la sostituzione dei valori più avanzati dell'occidente (nel campo della solidarietà, della cultura, della giustizia sociale, dei diritti individuali, delle libertà sessuali e di comportamento eccetera...) con idee restrittive, cioè con i principi dell'ordine, della legalità, della gerarchia, che sono i fondamenti del dominio e cioè del potere incontrollato e ristretto in poche e potentissime mani. La quinta è il ripristino del classismo (cioè del comando delle classi più forti sulle più deboli, e della superiorità degli interessi delle classi dirigenti nei confronti degli interessi generali).

Il rischio di una svolta di questo genere è molto forte. Cioè è forte il rischio della restaurazione, che vuol dire regressione della civiltà (della quale ha parlato anche Napolitano) e «salto indietro» della storia, come tante volte è avvenuto in questi secoli. Del resto, in settori importanti del mondo politico - non solo conservatore, non solo di destra - così come del mondo giornalistico e intellettuale, così come negli ambienti della Chiesa cattolica, non si fa mistero dell'aspirazione all'avvio di una fase di restaurazione, di ritorno ai vecchi valori precedenti al '68 e precedenti alla liberazione dell'Europa dal nazifascismo.

Davvero in Italia il fascismo fu solo Mussolinismo? O non fu piuttosto un regime voluto dai settori vincenti della borghesia e delle classi dirigenti? Davvero Monaco fu un errore casuale, o non fu piuttosto il risultato di una linea che quelle classi dirigenti avevano assunto a livello europeo, cioè una linea interessata alle novità dell'autoritarismo di Hitler e Mussolini? Chamberlain e Daladier erano forse due dirigenti antifascisti, o erano il punto più basso raggiunto dalle morenti democrazie europee? E davvero - come dice Villari - oggi non c'è un cortocircuito tra crisi economica e crisi ideologica? A noi sembra che questo cortocircuito sia evidentissimo. Il crollo e lo scivolamento sul versante razzista e classista dello spirito pubblico è davanti agli occhi di tutti.

La domanda, piuttosto, è questa: di fronte alla crisi segnalata da Tremonti, l'unica via d'uscita è quella reazionaria? Alla fine degli anni '20 le risposte alla crisi, in Occidente, furono diverse: l'Europa scivolò nella reazione, fino al nazismo; gli Usa diedero una svolta democratica a sinistra, e scelsero Roosevelt.

Diciamo che il fascismo non è inevitabile

Piero Sansonetti
Fonte: http://www.liberazione.it/
15.06.08


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