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Il falso mito della velocità


dana74
Illustrious Member
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21/08/2010 - Admin
La velocità è arrivata a permeare ogni aspetto della società moderna. Ma quali sono i costi reali di questa accelerazione collettiva? Qualcuno sta iniziando a domandarselo. E a scegliere di rallentare.

Per la mente dell’uomo moderno, lo spazio e il tempo sono essenzialmente delle limitazioni. Tutto ciò che è lontano è troppo lontano e il fatto che i posti siano separati da una distanza è una seccatura. Allo stesso tempo tutto ciò che dura, dura troppo a lungo: il fatto che delle attività richiedano un tempo è solo uno spreco. L’accelerazione è diventata l’imperativo che domina non solo l’innovazione tecnologica, ma anche i gesti della vita di ogni giorno, in una guerra perenne contro le limitazioni di spazio e tempo.

La natura è rimasta indietro
La società moderna ha raggiunto un volume e una velocità tali da minacciare gli stessi ecosistemi sui quali dipende. In questa situazione drammatica, non importa tanto il fatto che la natura venga utilizzata, ma piuttosto quanta natura viene utilizzata, in che modo e soprattutto a quale velocità. La crisi ecologica infatti può essere letta come una collisione di diverse scale temporali: la scala temporale della modernità si scontra inevitabilmente con le scale temporali che governano la vita sul Pianeta. Si consideri lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Ogni anno, il sistema industriale brucia una quantità di combustibili fossili che la Terra ha accumulato in un periodo di quasi un milione di anni.

Potremmo dire quindi che il tempo guadagnato attraverso l’accelerazione portata dai combustibili fossili è in realtà un tempo trasferito dalla riserva temporale accumulata nelle riserve fossili ai motori dei nostri veicoli.
Nel ciclo naturale dell’anidride carbonica, il CO2 è assorbito dalla respirazione e dalla decomposizione; ma con la produzione eccessiva di anidride carbonica che deriva dal consumo di combustibili fossili, la capacità di assorbimento è portata all’estremo e una quantità eccessiva di CO2 rimane intrappolata nell’atmosfera, minacciando un surriscaldamento globale. In altre parole, la velocità delle emissioni industriali supera di gran lunga la velocità di assorbimento.
Alcune specie di alberi lungo la frontiera tra gli Stati Uniti e il Canada sono capaci di spostarsi di mezzo chilometro l’anno per seguire le fasce di temperatura. Un innalzamento della temperatura terrestre di 1-2°C nei prossimi trent’anni richiederebbe a queste piante uno spostamento di ben cinque chilometri l’anno: non avendo abbastanza tempo per adattarsi, moriranno, vittime anch’esse della velocità.

Tempo industriale, tempo biologico
Questo drammatico contrasto tra tempo industriale e tempo biologico è facilmente riscontrabile nell’agricoltura e nell’allevamento. I ritmi naturali di crescita e maturazione sono considerati troppo lenti per la logica industriale e così il tempo insito negli esseri organici viene «spremuto» per ottenere una rendita maggiore in un periodo più breve. Animali e piante vengono selezionati, trattati chimicamente e modificati geneticamente per accelerarne la resa.
Tuttavia, l’imposizione dei tempi industriali sui ritmi naturali non può essere ottenuta senza pagare un prezzo altissimo. Gli animali vengono tenuti in condizioni terribili, si diffondono le malattie, l’inquinamento avanza, il terreno si degrada, la diversità biologica si riduce e all’evoluzione non viene dato il tempo per adattarsi. Processi quali crescita e invecchiamento, formazione ed erosione, assimilazione e rigenerazione, selezione e adattamento seguono ritmi propri. Spinti avanti al ritmo incalzante del tempo industriale, il loro equilibrio viene destabilizzato. La velocità dell’accumulo di capitale è semplicemente incompatibile con la velocità di rigenerazione della natura.

Velocità e potere
La velocità è affascinante perché conferisce potere. Sentirsi padroni di tempo e spazio – che sia guidare un’auto a tutta velocità o mandare impulsi elettronici da una parte all’altra del globo – è la realizzazione di quello che Cartesio definiva «l’uomo come padrone e possessore della natura». Questo potere, tuttavia, è molto ambiguo. Lo scrittore C. S. Lewis, in un saggio del 1947 dal minaccioso titolo «L’abolizione dell’uomo», scrive: «Il potere dell’uomo sulla natura risulta alla fine il potere esercitato da alcuni uomini su altri, con la natura come strumento. Ogni nuovo potere vinto dall’uomo, è allo stesso tempo un potere sull’uomo».

Senza dubbio, il potere guadagnato attraverso la velocità oggi lascerà meno potere alle generazioni future. Sono infatti le generazioni di quest’ultimo secolo che fanno incetta di una gran parte delle risorse. Ma anche oggi, è una piccola frazione privilegiata a godere di un livello di velocità che contribuisce a sottrarre alla maggior parte della popolazione mondiale la propria fetta di risorse. La conclusione è inevitabile: la ricerca di una lentezza selettiva è una componente essenziale per una giustizia sociale. È abbastanza ovvio che la mobilitazione di spazio e tempo richieda la mobilitazione della natura: carburanti e veicoli, strade ed aeroporti, lettricità e materiale elettronico, satelliti e relè. Tutti questi elementi richiedono un gigantesco flusso di energia e di materiali.

La Terra viene sventrata per ottenere risorse quali petrolio, gas, carbone, ferro, zinco, magnesio, silicio, bauxite, mentre allo stesso tempo è la stessa Terra ad essere usata come discarica per gli scarti di lavorazione. Certo, quest’ultimi possono essere ridotti con delle tecnologie e design innovativi volti a minimizzare l’uso della natura in ciascuna fase di lavorazione. Ma i guadagni in eco-efficienza non possono cancellare la legge di base che governa la fisica della velocità: per battere la frizione e la resistenza dell’aria viene richiesta una quantità di energia che cresce in maniera sproporzionata.
Un’automobile media, per esempio, che consuma 5 litri di gasolio alla velocità di 80 km/h, non avrà bisogno di 10 litri quando arriva a 160 km/h, ma di ben 20 litri. Quando i treni ad alta velocità come il Tgv francese e l’Ice tedesco passano da 200 a 300 km/h il consumo non aumenta del 50% ma del 100%. In generale quindi, più la velocità eccede le scale temporali naturali, più si espandono – a livello esponenziale - i consumi di risorse ambientali.

Quanto inquina un computer?
Alcuni sperano che, con l’avvento della comunicazione elettronica, l’era della velocità basata su risorse pesanti verrà superata. I promotori della società dell’informazione dichiarano con entusiasmo che gli impulsi elettronici, che viaggiano alla velocità della luce, riusciranno eventualmente a far quadrare il cerchio: simultaneità ed ubiquità potranno essere ottenute senza costi per la natura. Questo purtroppo non è vero. Certo, l’autostrada dell’informazione può essere percorsa senza rumore né gas di scarico, ma quello che conta non è tanto il consumo di elettricità, ma la quantità di natura che si deve utilizzare per la produzione dell’hardware. Numerosi componenti dell’informatica infatti richiedono l’uso di leghe metalliche che possono essere ottenute solamente tramite operazioni minerarie e processi di trasformazione ad alto consumo energetico.

Secondo uno studio del Wuppertal Institute, la produzione di un computer richiede non meno di 15-19 tonnellate di energia e materiali, calcolati nel corso dell’intero ciclo vitale. Se paragoniamo questa cifra a quella di un’automobile media, la cui produzione richiede attorno alle 25 tonnellate di natura, ci rendiamo conto che l’ottimismo che circonda la visione di un futuro on-line è fuori luogo.
Andare più velocemente è sempre la scelta migliore?

Una maggiore accelerazione potrà davvero migliorare la nostra qualità di vita? Naturalmente non c’è una risposta precis
a a questo tipo di domande, tuttavia si potrebbe partire da questa riflessione: gli strumenti per rendere tutto più veloce aumentano sempre di più, eppure abbiamo la sensazione di avere sempre meno tempo: dove è andato a finire quello che abbiamo guadagnato?

La verità è che coloro che comprano un’automobile non godono di un maggior numero di ore di tempo libero, ma piuttosto raggiungono mete più distanti. Come conseguenza, cambia la distribuzione degli spazi urbani e le distanze più lunghe diventano la norma. In questo modo, il cittadino tedesco medio oggi viaggia 15.000 km l’anno, rispetto ai 2.000 km del 1950. L’automobile non è un caso unico.
Dalla mobilità alla comunicazione, dalla produzione all’intrattenimento, il tempo guadagnato è stato trasformato in maggiori distanze, maggiore resa, un maggior numero di appuntamenti e di attività.
Dal momento che l’accelerazione guida la crescita e a sua volta la crescita guida l’accelerazione, la velocità finisce col permeare tutta la società, dove normalmente sono portati a coesistere tempi e ritmi diversi. La diffusione della velocità scombussola queste scale temporali: i bambini devono sbrigarsi; agli studenti viene richiesto un apprendimento più rapido; i tempi di pausa sul lavoro si accorciano; i sintomi delle malattie vengono soppressi per adattarsi al tempo dell’orologio. I tempi insiti in attività quali lo studio e la ricerca, la cura e la speranza, la crescita e l’invecchiamento, la coltivazione delle amicizie e l’espressione artistica sono molto spesso incompatibili con la velocità dell’economia.

A livello individuale, il lato oscuro dell’accelerazione si fa sentire più che mai. Se lo si persegue abbastanza a fondo, finirà con l’autodistruggersi. Si raggiungono infatti sempre più velocemente luoghi dove passiamo sempre meno tempo: l’attenzione rivolta al movimento riduce l’attenzione rivolta allo stare. Più persone ci sono in movimento, più difficile diventa incontrarle: e non era incontrarsi lo scopo iniziale…?

Una nuova utopia
Nel diciannovesimo secolo, quando la società aveva ancora delle caratteristiche di lentezza e costanza, era naturale che la velocità e l’accelerazione apparissero come la promessa di un futuro migliore. Alla fine del ventesimo secolo, tuttavia, con una società che aveva ormai sposato l’alta velocità, l’utopia è iniziata a cambiare. Stanno nascendo desideri che si definiscono in contrapposizione al modello temporale dominante; dove domina una mobilità affrettata cresce il gusto per la lentezza.
Sta crescendo il sospetto che una società che si muove sempre nella corsia più veloce non potrà mai essere ecologicamente e socialmente sostenibile. Può darsi quindi che il progresso possa implicare anche il lasciare deliberatamente immutata la resistenza a tempo e spazio, o addidittura di aumentarla? Un cambiamento di questo genere sarebbe il segnale che la nostra società sta iniziando a liberarsi dei desideri insostenibili della velocità.

Articolo tratto dal numero arretrato di Terra Nuova Giugno 2006
http://www.aamterranuova.it/view_printer.asp?ID=4748


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