KIssinger - Iraq, i...
 
Notifiche
Cancella tutti

KIssinger - Iraq, il conflitto può favorire...


Tao
 Tao
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
Post: 33516
Topic starter  

Uscire dalla guerra per bloccare i fanatici

può favoriIraq, il conflitto può favorire l’apparizione di un Iran nucleare

È arrivato il momento di cominciare a preparare una conferenza internazionale per uscire politicamente dalla guerra in Iraq. Gli interessi in conflitto dei vari Paesi devono venire arginati da una combinazione di equilibrio di potere e da una legittimità riconosciuta. Una conferenza internazionale sarebbe un passo importante nell’affrontare la stridente anomalia della politica internazionale contemporanea. L’America viene da più parti condannata per come ha condotto la guerra in Iraq. Ma se l’America non riesce a raggiungere i suoi obiettivi più immediati - e se sul territorio dell’Iraq nasceranno campi di addestramento terroristici - nessun Paese con consistente popolazione musulmana potrà evitarne le conseguenza. Né l’India, che ha la seconda più numerosa popolazione musulmana al mondo, né l’Indonesia, il più popoloso Paese islamico, né la Turchia, che già deve affrontare incursioni dalla parte curda dell’Iraq, né la Malesia, il Pakistan, né i Paesi dell’Europa Occidentale, né la Russia con il suo Sud musulmano, né la Cina.

Se la guerra irachena culminerà nell’apparizione di un Iran nucleare (come conseguenza indiretta), con il fondamentalismo islamico che può vantarsi di aver sconfitto i russi in Afghanistan e gli americani in Iraq, sarà inevitabile il rischio del caos, e non si limiterà al Medio Oriente. Una minaccia agli approvvigionamenti globali di petrolio avrebbe un impatto sconvolgente sull’economia dei Paesi più industrializzati. E finora a nessuna delle vittime potenziali è stato richiesto di contribuire alla ricerca di una soluzione politica. Invece, si discute spesso quanto sia valido affidarsi alla diplomazia in quanto tale. L’amministrazione, seguendo un atteggiamento verso la diplomazia diffuso in America, ha fatto capire di non essere ancora pronta a negoziare sull’Iraq, e soprattutto non con l’Iran e la Siria, che vengono accusati di fomentare il conflitto e alimentare le violenze. I critici dell’amministrazione insistono invece su un immediato ricorso alla diplomazia. Molte di queste critiche riflettono la pervasiva nostalgia americana per una strategia militare immacolata che culmina in una vittoria totale, per poi venire sostituita da un’immacolata diplomazia che opera secondo proprie regole interne.

Dall’inizio - nel 2002 - della controversia sull’uso della forza contro l’Iraq, ho appoggiato la decisione di rovesciare Saddam, obiettando però, operando nel mezzo del mondo arabo, non si poteva ottenere nessun risultato con il solo uso della forza militare. La diplomazia avrebbe dovuto sempre fare parte integrale della strategia riguardo all’Iraq. Oggi il dibattito sulla conclusione della guerra attribuisce qualità quasi mistiche a negoziati bilaterali con la Siria e l’Iran, come chiave alla regolazione irachena. La disponiblità a negoziare però non sarà sufficiente, fino a che i principi e gli obiettivi di entrambe le parti non rientreranno nel raggio di un compromesso tollerabile.

Un diplomatico deve saper riconoscere quel punto minimo, sotto il quale la regolazione di un conflitto minaccia la sicurezza nazionale, e quel punto massimo oltre il quale aspettarsi una resa dalla controparte diventa controproducente (in altre parole, le condizioni minime dell’avversario). Oltrepassare questi limiti significa rischiare lo stallo, oppure un danno alla sicurezza dell’America. L’impulso migliore che può venire per una seria diplomazia nei confronti dell’Iraq resta una conferenza internazionale. I vicini dell’Iraq sono troppo in conflitto gli uni con gli altri per riuscire a garantire da soli l’equilibrio psicologico e la sicurezza per una conferenza regionale. Si tratta di creare un interesse nel risultato finale: i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, i vicini dell’Iraq, Paesi islamici chiave come l’India, il Pakistan, l’Indonesia e la Malesia, e tutti i maggiori consumatori di petrolio come la Germania e il Giappone. Sono Paesi che hanno numerosi interessi in conflitto tra loro, ma dovrebbero avere in comune la preoccupazione di bloccare il fanatismo jihadista nel mondo. Una conferenza internazionale potrebbe essere l’occasione anche per andare oltre le divisioni delle fazioni belligeranti in Iraq nel garantire stabili forniture energetiche. Sarebbe il contesto migliore per la transizione dall’occupazione militare americana. Paradossalmente, potrebbe diventare anche il contesto migliore per discussioni bilaterali con la Siria e l’Iran.

La politica militare americana in Iraq deve essere legata a una strategia diplomatica di questo tipo. L’America non può permettersi il lusso di decidere le proprie azioni solo in base a considerazioni interne. Dopo la guerra dei Trent’anni, le nazioni europee organizzarono una conferenza internazionale per definire le regole del dopo guerra, dopo che il continente è rimasto prostratto ed esausto. Oggi il mondo ha un’opportunità simile.

HENRY A. KISSINGER
Fonte: www.lastampa.it
Link
25.03.07


Citazione
Condividi: