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l’aperitivo al bar delle elezioni


pitone
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Tre quarti di crisi, due gocce di indignazione: l’aperitivo al bar delle elezioni

Di Mino Fucillo

Fonte Blitz Quotidiano http://www.blitzquotidiano.it/economia/crisi-indignazione-elezioni-bar-aperitivo-867368/

ROMA-Tre quarti di crisi, due gocce di indignazione: è l’aperitivo al bar delle elezioni. Servito in Germania dove pure occupazione, redditi e produttività tengono e avanzano. Ma avanza pure il terrore del buco finanziario, l’angoscia recriminante per i “bei tempi del marco…”. Quando in Germania si vota il partito della Merkel, la Cdu, perde. E’ successo cinque volte di fila in altrettante consultazione nei Lander. Aperitivo servito appena ieri in dosi massicce in Spagna: il Psoe di Zapatero che governava è stato travolto. Aperitivo che a sorpresa si sorseggia anche in Italia: il primo turno delle amministrative, Pdl e Lega che vedono mancanti all’appello un quarto dei loro voti, voti loro appena un anno fa.

Tre quarti di crisi in questo cocktail elettorale. Berlusconi sembrava, anche ai suoi avversari, l’unico governante in Europa invulnerabile. E invece qualcosa ha scavato sotto i piedi della sua invincibilità. Qualcosa che non è misterioso, qualcosa di perfino ovvio. L’Istat ci dice che in Italia ci sono due milioni e centomila disoccupati ufficiali. Cui vanno aggiunti un milione e mezzo di “scoraggiati” che il lavoro non lo cercano più. Cui va aggiunto mezzo milione di persone che il lavoro lo cerca e lo ha cercato ma “attende” da mesi. Se li sommi, ma il governo non li somma, fa 15 per cento di disoccupazione reale. Bankitalia ci ha informato da tempo che il reddito reale delle famiglie è calato del quattro per cento, quattro per cento di media. Il quotidiano La Stampa efficacemente riassume chi la crisi la paga: “Giovani e donne”. Ci sono in Italia due milioni e centomila giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, non cercano strade perché non ne vedono. Non fanno nulla, letteralmente nulla, li chiamano “Neet”. E ci sono state 800mila donne che non sono tornate al lavoro dopo essere diventate madri. E ci sono 15 milioni di italiani che sono statisticamente “a rischio povertà”. Dal governo contestano la cifra ma non negano il fenomeno. Poteva Berlusconi, potevano il suo governo e la sua maggioranza restare per sempre invulnerabili a tutto questo? Si può davvero diluire questi “tre quarti di crisi” nell’acqua fresca di un Ministero a Napoli e due a Milano, nell’acqua grigia delle multe condonate o delle case abusive non più abusive, nell’acqua torbida della “minaccia islamica”? No, non si poteva, anche se in Italia tutti o quasi pensavano si potesse. Quindi anche in Italia è questo l’aperitivo che si beve, si comincia a bere al bar delle elezioni.

Aperitivo? Poi cosa verrà? Poi, a meno che Berlusconi e Bossi non facciano il miracolo della moltiplicazione delle spesa senza far deficit e debito, a meno che non ottengano, non dall’Europa ma dall’economia mondiale, esenzione speciale dalle leggi della finanza e della matematica, a meno che non abbassino le tasse che non si possono abbassare, dall’aperitivo si passerà al piatto forte. Poi forse, domani, cadrà Berlusconi, non avrà più la maggioranza dei voti. Forse davvero è cominciata, forse. Sarebbe per l’Italia cosa enorme e storica, sia che la si consideri tragedia oppure liberazione. Eppure anche nell’indistinto e non certo immediato dopo Berlusconi l’aperitivo al bar delle elezioni non cambierebbe la sua natura e sapore.

Per capire perché vanno analizzate e gustate le due gocce di indignazione. Gli “indignados” di Madrid e quelli che spuntano nelle piazze e nelle società europee. Hanno ragione, ragioni da vendere. Vogliono lavoro, salario, vita. Sono l’incudine su cui si abbatte il martello di una società e di un’economia sempre più ingiuste, intollerabili. Ma non sono solo incudine, sono anche “martello”. I due milioni di “Need” italiani, i precari, quelli che lavorano a mille e poco più euro al mese e magari non per tutti i mesi dell’anno. Vivono e consumano sostenuti dalle famiglie. E dietro ogni nonno o genitore che sostiene c’è magari una o più pensioni precoci, una storia familiare di ricchezza accumulata con dribbling al fisco, una vicenda familiare di ricchezza accumulata nel bunker della corporazione professionale, un’agiatezza familiare coltivata nel giardino protetto del pubblico denaro. L’Italia è così: uno dei paesi più ricchi del mondo per patrimoni familiari accumulati che sta smettendo, se non ha già smesso del tutto, di produrre nuova ricchezza. Per dare a questi giovani, a questa generazione intera quello a cui hanno diritto, va tolto alla generazione che li mantiene. La sacrosanta indignazione assegna a se stessa un confine, pur disperata regala a se stessa non una speranza ma un’illusione: che ce ne sia per tutto e per tutti, per chi ha avuto e ha preso e per chi oggi paga la crisi.

Ci si rifiuta di vedere quel che è accaduto, quel che sta accadendo, qualcosa che insieme è cronaca per la sua acutezza e già storia per le sue dimensioni. Venti anni fa più o meno il modello di produzione sovietico cadde ridotto in polvere dalla sua incapacità strutturale di fornire ai popoli l’accesso alle merci e ai consumi. Cadde sfinito e vergognoso del suo fallimento. Da quasi quattro anni il modello dell’accesso a merci, consumi e servizi basato e garantito dal debito pencola e trema anche se sta ancora in piedi. Migliaia di miliardi di crediti inesigibili, di debiti che non sarebbero mai stati pagati non sono diventati miseria diffusa, fallimenti bancari, banche chiuse e risparmi annullati solo perché gli Stati e i governi, dagli Usa all’Europa, hanno coperto con colossali “pagherò” sulla unica garanzia dei soldi pubblici. Gli “indignati” questo non vogliono saperlo e puniscono i governi che, non fosse altro che per istinto di sopravvivenza, hanno impedito il crollo generale. Ma debiti e deficit governi e Stati non possono farne più, anzi ne hanno fatti già troppi. Il pianeta è pieno di “denaro elettronico” che nessuno sa quanto valga davvero. Il modello di consumo, merci e servizi finanziati dal debito è finito, qua e là tecnicamente fallito. Quindi lavoro, consumi, merci, servizi e vita vanno redistribuiti a vantaggio della generazione giovane, ma qualcuno deve pagare le redistribuzione. Qualcuno in carne ed ossa, spesso qualcuno più vicino agli indignati di ogni latitudine, più vicino di quanto gli indignati immaginino o vogliano immaginare. Si beva pure al bar delle elezioni l’aperitivo tre quarti di crisi e due gocce di indignazione, farà “salute”, darà coraggio. Purché non inebri e confonda: dopo l’aperitivo non ci sono pasti gratis.

Mino Fucillo

Fonte Blitz Quotidiano http://www.blitzquotidiano.it/economia/crisi-indignazione-elezioni-bar-aperitivo-867368/


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