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l'accaparramento della terra


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L'accaparramento della terra

di Rocco Bernasconi (*) - 3 settembre 2014

L'espressione inglese 'land grabbing', che in italiano si puo' tradurre con "accaparramento della terra", si riferisce a una pratica molto comune da una decina di anni a questa parte, che consiste nell'acquisizione su larga scala di terra da parte di Stati o di multinazionali, soprattutto in Africa, nel Sudest asiatico e in America Latina. Come scrive Stefano Liberti in un libro su questo fenomeno, "dopo la crisi finanziaria del 2007 la terra da coltivare e' diventata un bene sempre piu' prezioso, oggetto di un frenetico accaparramento in cui sono impegnati sia gli Stati sia le grandi societa' multinazionali".

Il fenomeno riguarda per esempio i Paesi arabi, ricchi di liquidita' ma privi di terre fertili, e Stati come la Cina o il Giappone, a cui fanno gola le immense risorse naturali africane o latinoamericane. Riguarda anche le multinazionali dell'agrobusiness, interessate a creare enormi piantagioni per la produzione di biocarburanti o le societa' finanziarie occidentali, convinte che l'investimento in terre possa garantire guadagni sicuri. Un rapporto della Banca mondiale pubblicato nel 2010 mostra che tra il 2008 e il 2009 sono stati acquisiti terreni per un'estensione di 46 milioni di ettari, mentre un successivo rapporto pubblicato nel 2011 porta la stima a 80 milioni di ettari, vale a dire quasi una volta e mezzo la superficie della Francia. Per esempio, in Madagascar la meta' dei terreni agricoli (1'300'000 ettari) e' stata comprata dalla Corea del Sud e verra' destinata alla coltura di mais e palme da olio.

Opportunita' o neocolonialismo?

Se da un lato questo fenomeno rappresenta un'opportunita', in quanto le acquisizioni portano investimenti in realta' economiche depresse, dall'altro, come osserva Liberti, il 'land grabbing' puo' essere visto come una nuova forma di colonialismo che rischia di alterare gli scenari internazionali, come dimostrano le rivolte nordafricane: per esempio quella tunisina, legata all'aumento dei prezzi delle derrate alimentari.
Questo neocolonialismo porta anche all'impoverimento delle popolazioni locali che perdono il controllo e l'utilizzo delle terre cedute, molto spesso a prezzi risibili, e delle risorse naturali legate al suolo come per esempio l'acqua. Il problema e' che la vendita o l'affitto a lungo termine dei terreni (in media da 25 a 99 anni) viene nella maggior parte dei casi decisa a livello governativo senza interpellare le comunita' che vivono su quelle terre che, molto spesso, non posseggono atti di proprieta' o documenti di alcun tipo. Gli abitanti delle comunita' locali vengono quindi privati della loro principale fonte di sostentamento e scacciati dalle loro case, oppure vengono assunti come braccianti per salari da fame e senza nessuna certezza per i loro figli, a cui non avranno piu' niente da lasciare in eredita'.

Scontro tra concezioni diverse

Nel suo libro Liberti invita pero' a non cadere nella visione manichea secondo cui da una parte ci sono i poveri sfruttati e dall'altra i ricchi sfruttatori. Invita invece a considerare il fatto che, "nella maggior parte dei casi gli investitori sono persone perbene che, molto spesso, credono veramente che i loro soldi inneschino un circolo virtuoso, una partita da cui tutti usciranno vincitori."

I termini della questione sono diversi: nessuno vuole imporsi su nessun altro. Si tratta semplicemente di uno scontro tra concezioni diverse del territorio e dello sviluppo. Gli Stati e le multinazionali che acquisiscono le terre seguono il modello della coltivazione su larga scala, dove l'agricoltore mira a produrre il piu' possibile, sfruttando al massimo la terra: questo e' il modello della Banca mondiale e delle organizzazioni internazionali.

Tale modello e' pero' incompatibile con quello dei piccoli agricoltori che producono su scala minore e che hanno a cuore il sostentamento per se' e per la propria famiglia e non l'accaparramento di risorse. Il dilemma - piccola agricoltura contro fattorie industriali - definisce i contorni reali della questione, offrendo una scelta di natura crudele ma chiara: o noi o loro.

A beneficiare dell'accaparramento di terra possono infatti essere anche i ceti urbani poveri, spesso a favore dei grandi investimenti, perche' questi potrebbero far diminuire i prezzi dei prodotti agricoli sui mercati locali e far aumentare il loro potere d'acquisto. Tuttavia, osserva Liberti, "il corollario di questo effetto benefico sul breve periodo puo' essere devastante per tutti, perche' i contadini spossessati si riverseranno nelle citta', proponendosi come manodopera a basso costo e facendo concorrenza ai poveri urbani".

Un lungo elenco di perdenti

Di conseguenza, conclude Liberti, "piu' che una win-win situation, la 'rivoluzione verde' che si vuole lanciare in Africa e altrove ha un lungo elenco di perdenti, che forse non si e' del tutto preso in considerazione non solo tra gli investitori delle multinazionali, ma nemmeno nelle stanze di quelle grandi organizzazioni internazionali il cui mandato ufficiale e' la riduzione della poverta' ".

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(*) docente Ftl e Scc ( Scuola cantonale di commercio)


Citazione
Nightinga1e
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 224
 

ahahah la riduzione della poverta'!


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