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Martin Luther King made in China


Tao
 Tao
Illustrious Member
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A Washington sono in preparazione i lavori per il King Memorial Project, la realizzazione di un grande monumento alla memoria di Martin Luther King. E si è saputo che per la costruzione di un importante porzione dell’edificio stanno arrivando dalla Cina otto o dodici muratori, che lavoreranno al posto di manovalanza locale perché più a basso costo. Dunque, per celebrare la memoria dell’uomo che lanciò la crociata contro la povertà si importano dall’estero dei muratori da mettere in competizione con l’offerta locale di braccia. Tutto perfettamente normale agli occhi di una classe dirigente alla guida di un paese con il 9,6% di disoccupati ufficiali (e un più realistico 13% prendendo a riferimento parametri meno di comodo), e che questa settimana leggerà un rapporto sulla povertà dell’istituto nazionale per il censimento che — a detta di voci circolate alla vigilia — comunicherà un aumento dal 13,2% al 15% degli americani che vivono sotto la soglia della povertà.

Credo che sia da episodi come questi che occorrerebbe partire per comprendere alcuni paradossi della storia americana (che facilmente segnano la tendenza di quello che accadrà negli altri paesi dell’occidente industrializzato). In una fase di profonda recessione non troppo diversa da quella del 29, in cui un nuovo New Deal appare non solo economicamente necessario ma anche politicamente atteso, un presidente afroamericano con un passato di attivista dei diritti civili, che può contare su un Congresso ad ampia maggioranza democratica, non riesce — e probabilmente non vuole — diventare il Franklin Delano Roosevelt della situazione, seguendo l’esepio di colui che nel 32 decise di governare negli interessi del popolo piuttosto che dell’elite finanziaria a cui pure apparteneva per diritto di famiglia.

Pochi giorni fa Ralph Nader descriveva l’impasse in cui si trova la maggioranza democratica del Congresso, ai cui occhi l’evidente necessità di impegnarsi in un lavoro di “job creation”, e di riavviare l’economia distribuendo il reddito presso quegli strati della popolazione che lo useranno per la casa, il cibo, le cure mediche, gli studi dei figli, e non per speculare a Wall Street, entra in conflitto con i desideri di quelle corporation che pagano le loro campagne elettorali, e senza il cui denaro non hanno alcuna possibilità di sopravvivere nella competizione spietata della politica americana. Rununciare a quel denaro significa semplicemente che esso andrà a qualcun altro con meno scrupoli, e che nella prossima legislatura occuperà il tuo attuale seggio al Congresso. Quanto a Obama ricordiamo che è stato nel 2008 il candidato presidenziale che ha avuto più contributi elettorali da Wall Street, lasciando a secco il suo avversario repubblicano John McCain.

Dunque una democrazia che negli anni trenta ancora riusciva ad aprirsi ad istanze popolari e a vedere attuato il più grande piano di riforme sociali della sua storia, oggi è organicamente incapace di farlo perché le strutture di potere della corporatocrazia si sono sostituite a qualunque reale sovranità del popolo. Uno stato delle cose facilmente riflesso nei numeri. Oggi l’1% della popolazione possiede il 21,8% della ricchezza, mentre nel 1950 ne possedeva solo il 10,2%, meno della metà. Questa concentrazione della ricchezza è anche concentrazione del potere, e la concentrazione del potere cambia la natura stessa della democrazia. Oggi ci si chiede se Obama darà davvero corso alla sua promessa elettorale di portare il salario minimo a 9,50 dollari l’ora entro il 2011, ma per comprendere appieno il senso di questa incertezza su questa grande e coraggiosa riforma occorre ricordare che il valore reale di 9,50 dollari depurati dall’inflazione è inferiore al salario minimo che c’era già nel 1968.

Gianluca Bifolchi
Fonte: http://subecumene.wordpress.com
Link: http://subecumene.wordpress.com/2010/09/15/martin-luther-king-made-in-china/
15.09.2010


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