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vic
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Nuova legge sulla prostituzione
Ma la donna non è un “bene di mercato”
«Un approccio errato»

di Gianmaria Pusterla - 15 maggio 2013

Per prima cosa le chiederei un’impressione generale sul Messaggio del Consiglio di Stato che accompagna il progetto di nuova legge cantonale sulla prostituzione.
L’impressione, anzi qualcosa di più di un’impressione, è che la proposta abbia alla base due difetti: una cultura politica lacunosa, non all’altezza del compito, e un ritardo sui cambiamenti intervenuti nel contesto internazionale del dopo guerra, in particolare dopo il 1989. Che la Svizzera sia un paese piccolo non dovrebbe essere un pretesto per non aprire le finestre e guardare che cosa, in materia, facciano gli altri.

Restiamo sul Messaggio del CdS. Perché secondo lei la proposta del Governo non introdurrà cambiamenti in meglio nel mondo della prostituzione ticinese?
Leggere nel preambolo del Messaggio governativo che la prostituzione è una attività economica come le altre, protetta dalla Costituzione federale del 18 aprile 1999, è una premessa che non promette nulla di buono. È mai possibile che, tra le varie letture del fenomeno, la Svizzera privilegi quella di “attività economica”? Anche gli altri Paesi si rifanno alla Costituzione, ma per sapere che cosa pensare della prostituzione e come fare aprono il testo al capitolo sui diritti umani e vi leggono che l’intangibile dignità dell’essere umano e la sua salvaguardia è un diritto umano dal quale discendono principi giuridici come la “non patrimonialità del corpo umano”, l’indisponibilità e inviolabilità del corpo umano, la non discriminazione nei confronti della donna, l’uguaglianza dei sessi, la prostituzione come intrinseco atto di violenza sulle donne: una miniera per capire che cosa sia, dal punto di vista umano, la prostituzione e quale politica mettere in atto.

Ci spieghi cosa si intenda con “non patrimonialità del corpo umano” e che riverberi questo principio possa avere sull’esercizio della prostituzione.
La “non patrimonialità del corpo umano” significa che alla persona non si può attribuire un valore venale, pecuniario. Vuol dire che in nessun modo la prostituzione può essere considerata un’attività economica regolata dalla legge della domanda e dell’offerta. È una conquista fondamentale della civiltà. Da millenni la distinzione “corpo umano–bene di mercato” fonda la distinzione giuridica “persona-bene” che esclude il corpo umano dai beni commerciali. Che nessun diritto di proprietà possa essere esercitato sul corpo è la ragione che ha portato all’abolizione della schiavitù. La persona stessa non è proprietaria del proprio corpo nel senso di poterlo ridurre a bene di consumo nell’ambito di attività economiche. Un organo lo si può donare, mai vendere. Definire la prostituzione una normale attività economica protetta dall’art. 27 della Costituzione federale vuol dire considerare non indegno e non offensivo della dignità del corpo della donna che un uomo lo prenda in affitto, al prezzo di mercato, per il lasso di tempo necessario “ad assecondare i gusti più facili e corrotti, gli istinti più bassi e volgari” (Devoto – Oli, voce “meretricio”). Ma il Messaggio governativo insiste, cita anche l’art. 36 della nostra Costituzione: “le limitazioni ai diritti fondamentali quali la libertà economica – intangibili nella loro essenza – oltre a poggiare su una base legale devono essere giustificate da un interesse pubblico o dalla protezione dei diritti fondamentali altrui ed essere conformi al principio di proporzionalità”. Così il progetto di nuova legge cantonale limita il campo d’azione della politica a “definire i limiti legali dell’esercizio di questa attività economica” e riconosce che “scopo della legge non è mai stato quello di eliminare dal Ticino il fenomeno della prostituzione, sarebbe incostituzionale”.

Il che sembrerebbe a prima vista piuttosto realistico…Ma sappiamo che ci sono Paesi che, in nome della Costituzione, cercano per lo meno di arginare il fenomeno. Su questo torneremo. Sembra comunque che nel nostro Paese si tenda a considerare la prostituzione “un lavoro come un altro”. Come mai?
Il punto dolente è l’avere scelto di regolamentare l’esercizio della prostituzione invece di abolirlo. Da cento anni, dal 1912, la “Carta della Federazione abolizionista” denuncia la regolamentazione perché, dice, “incoraggia il ricorso alla prostituzione e procura al cliente sicurezza e irresponsabilità nel vizio”. È dal dicembre 1949 che sul piano internazionale la regolamentazione della prostituzione (la legalizzazione) è considerata responsabile della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della sessualità altrui. Da noi i Cantoni continuano a “regolamentare luogo, tempo e modalità dell’esercizio della prostituzione”, e lo disciplinano dal punto di vista dell’ordine pubblico (art. 1 del progetto di nuova legge). Da noi la prima preoccupazione è che l’esercizio della prostituzione non rechi fastidio agli abitanti del quartiere. Di riflessioni sulla inviolabile dignità della persona, sulla non patrimonialità del corpo umano, sulla distinzione “persona – bene di mercato”, nessuna traccia nel Messaggio governativo. Vi si legge invece: “è evidente che lo scopo della legge cantonale non sia quello di eliminare dal Ticino il fenomeno della prostituzione, ma di contenere gli effetti negativi, riducendo i problemi di ordine pubblico e migliorando le condizioni nelle quali viene esercitata”.

Ma è pur vero che il progetto ticinese si pone il problema della “protezione della donna da ogni forma delittuosa o criminosa”.
Sì, ma in che modo? Delegandola “ad altre leggi”, al codice penale: art. 195 (promovimento della prostituzione), art. 182 (tratta di esseri umani). Ancora una volta il Messaggio si affretta a sottolineare che “l’azione coordinata delle varie autorità pubbliche non va intesa come una crociata moralistica avversa alla prostituzione, ma quale necessità ai fini di una lotta efficace contro reati, anche estremamente gravi, quali la tratta di esseri umani, attività lucrative svolte da stranieri senza permesso di dimora, traffico e consumo di droga, traffico di documenti falsi, usura, sfruttamento dello stato di bisogno”. Se si cerca nella legge in che cosa consista “la lotta efficace” la risposta è: “convogliare la prostituzione nei comparti che meglio si confanno al suo esercizio”. Traduzione: “la tratta di esseri umani connessa con il mondo della prostituzione” va convogliata nei bordelli, lontano dagli abitati. Gli 80 Stati che hanno sottoscritto la Convenzione ONU del 2 dicembre 1949 “per la repressione della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui anche se la persona è consenziente” hanno capito che per combattere la tratta di esseri umani l’abolizione dei bordelli è una conditio sine qua non.

Ma la prostituzione non è praticata solo nelle “case chiuse”. Il progetto deve pur tenerne conto.
Ne tiene conto, al punto che la legge in pratica è idonea soltanto al caso dell’esercizio libero, privato, della prostituzione, senza intermediari. Funziona per casalinghe, studentesse, escort che praticano in alberghi 5 stelle, un facoltoso cliente per notte. È invece inadeguata ad affrontare il crimine della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della sessualità altrui. La nuova legge pecca di ingenuità quando in pratica presuppone che i “reati estremamente gravi” non appartengano al quotidiano esercizio della prostituzione nei bordelli. Sarebbero eccezioni e in quanto tali di comp
etenza di “altre leggi”. In realtà oggi nei bordelli le eccezioni sono diventate regola. Secondo gli ultimi dati, in Europa il 90% delle prostitute “convogliate nei bordelli” sono persone straniere e povere, vittime di organizzazioni criminali internazionali. Immaginare il bordello luogo di libera attività economica vuol dire ignorare che in Ticino nel 2012 la magistratura penale ha chiuso il 78% dei bordelli, arrestando gestori, sequestrando immobili e ingenti somme di denaro, facendo capire quale sia la regola nei “comparti che meglio si confanno all’esercizio della prostituzione”. Qui sta il nodo della questione: interpretare la prostituzione come libera attività economica permette di legittimare l’autorizzazione all’apertura di bordelli. Ma siccome nei bordelli la libera attività economica è soltanto quella dei padroni, dei gestori, dei clienti, delle organizzazioni criminali ma certamente non quella della maggioranza delle donne, vittime della tratta di esseri umani e dello sfruttamento sessuale, è chiaro che oggi i bordelli non si possono più autorizzare perché autorizzarli vuol dire autorizzare attività criminali.

Eppure il progetto di legge tenta di entrare nei postriboli e di portarvi “pulizia” attraverso una regolamentazione fitta e a prima vista esigente. Lei non crede a questo tentativo? Perché?
È forse possibile “pulire” la tratta di esseri umani e lo sfruttamento della sessualità? Che regolamentare i bordelli sia un’operazione impossibile, perfino indipendentemente dal problema maggiore della tratta di esseri umani, lo dicono gli art. 12 e 13 del progetto di nuova legge, incaricati di regolamentare l’autorizzazione all’apertura di un bordello. Commento del Messaggio all’art. 12: “dato il ruolo centrale del responsabile del bordello, la nuova normativa intende a evidenziare come chi aspira a gestire locali erotici debba dimostrare un elevato grado di rettitudine quale indicatore della propria idoneità alla funzione che dovrà occupare”. Un magnaccia che coltivi “un elevato grado di rettitudine” sa davvero troppo di ossimoro se il vocabolario (che radiografa, senza preconcetti morali, la realtà così com’è) a proposito del meretricio parla di “abietta venalità, rivolta ad assecondare i gusti più facili e corrotti o gli istinti più bassi e volgari” (Devoto-Oli).

Ma la nuova legge non pone dei paletti al riguardo, se sull’art. 13 il Messaggio dice: “sarà il regolamento di applicazione a chiarire i precedenti penali che entreranno in linea di conto per respingere la postulata autorizzazione”?
Altro paradosso. Dice infatti la legge: “particolare rilievo sarà dato ai seguenti reati: favoreggiamento della prostituzione (CP 305), tratta di esseri umani (CP 182), sfruttamento dello stato di bisogno (CP 913), promovimento della prostituzione (CP 195)”. Anche il ragazzo di scuola media a questo punto chiede: “ma aprire un bordello non è favoreggiamento della prostituzione? Non è promovimento della prostituzione? Non è complicità nella tratta di esseri umani e nello sfruttamento del loro stato di bisogno?” Così, l’atto con il quale il Dipartimento concederà a un futuro gestore l’autorizzazione ad aprire un bordello lo renderà, ipso facto, inadeguato all’autorizzazione perché lo proietta inevitabilmente nel reato di favoreggiamento della prostituzione e di promovimento della prostituzione.
Anche l’ente pubblico potrebbe essere perseguibile dalla magistratura penale per il reato di complicità, e forse anche di istigazione. Per la Svizzera è più che tempo di chiudere con la strategia della regolamentazione della prostituzione e di guardare altrove.

Guardare dove, per esempio?
La Francia, ad esempio, ha un approccio giuridico della prostituzione che è l’esatto opposto del nostro. Al posto della regolamentazione applica il principio dell’abolizione, che esclude ogni forma di regolamentazione della prostituzione. Obiettivo: evitare di incoraggiarla attraverso un riconoscimento giuridico. Nel regime abolizionista la prostituzione libera, privata, senza intermediari, non è reato, è tollerata se non è di strada. È incoraggiante ricordare che, a suo tempo, la schiavitù venne eliminata grazie all’approccio di tipo abolizionista. Insomma, compito dello Stato non è di “disciplinare” l’esercizio della prostituzione ma di preoccuparsi di proteggere le prostitute attraverso la repressione dello sfruttamento sessuale, di prevenire l’entrata nella prostituzione, di aiutare le prostitute che vogliono uscire dal giro. Il principio dell’abolizione è chiesto dall’art. 6 della Convenzione ONU del 2 dicembre 1949 : “Occorre abrogare ogni legge, ogni regolamento e ogni pratica amministrativa che costringano le prostitute a iscriversi a registri speciali, a possedere documenti speciali o conformarsi a condizioni eccezionali di sorveglianza o di dichiarazione”. È la strategia.

Beh, non quella del Ticino, visto che già la legge cantonale in vigore prevede l’obbligo, per la prostituta, di ottenere l’autorizzazione di polizia al libero esercizio. C’è poi il caso della Svezia, che da anni ha introdotto la penalizzazione del cliente.
In Svezia è avvenuta una cosa straordinaria. Riflettendo sui diritti umani, sul diritto della donna alla dignità e all’inviolabilità del suo corpo non riducibile a merce di libero scambio, il movimento femminista ha costretto sul banco degli imputati un elemento assolutamente costitutivo della prostituzione, rimasto stranamente (perché interessatamente) ai margini delle riflessioni e delle politiche, quasi fosse insignificante e immeritevole di considerazione. È il cliente, il responsabile numero uno dell’esistenza stessa della prostituzione. Senza di lui non esisterebbero né prostitute, né gestori di bordelli, né bordelli, né organizzazioni criminali e nemmeno la legge sulla prostituzione. Non sorprende che il progetto di nuova legge cantonale protegga il cliente dimenticandolo.

La Svezia è il primo paese europeo ad avere chiamato il cliente alla cassa, avviando un’esperienza preziosa, efficace, finora la più efficace che si conosca. Combattuta dalla destra, la legge svedese che sanziona con la multa (calcolata sul reddito) e fino a 6 mesi di prigione “chi compera servizi sessuali”, è stata decisa dal governo socialdemocratico e ha preso avvio il 1. gennaio 1999.
Dieci anni dopo (luglio 2010), la verifica ha mostrato la forza della legge: ha portato a un calo dei clienti dal 13% al 7%, la prostituzione di strada si è ridotta della metà, mentre altrove nel frattempo, con la caduta del muro di Berlino, si è raddoppiata. Il sostegno politico e popolare alla legge oggi in Svezia è unanime. C’è fierezza anche nel partito di destra. La polizia non incontra difficoltà nel farla rispettare. Un successo che ha convinto altri Paesi a seguire l’esempio: la Finlandia dal 2006, la Norvegia dal gennaio 2009, l‘Irlanda dall’aprile 2009, l’Islanda si sta preparando, Francia e Olanda ci stanno pensando.

Da noi, se la nuova legge cantonale nascerà, nascerà vecchia, in ritardo sull’età pensionabile.


Citazione
helios
Illustrious Member
Registrato: 3 anni fa
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Ma la donna non è un “bene di mercato”

ma lo schiavismo non era stato abolito? quindi di che cosa stanno discutendo?


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esca
 esca
Noble Member
Registrato: 3 anni fa
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Si parla di una realtà umana tra le più tristi, anche perché va ad intrecciarsi con il tema della violenza sui minori. Infatti, spesso l’oggetto della prostituzione è un/una minorenne.
L’approccio svedese è sensato, per quanto è mia opinione che chi adotta lo sfruttamento della pelle degli altri come mestiere, cioè chi campa sulle grane altrui sia di gran lunga il più meritevole di disprezzo.
I burocrati che optano per la legalizzazione delle piaghe sociali non sono da meno.
Ad esempio, qua in Italia abbiamo avuto modo di apprezzare lo straordinario processo di mimetismo con cui il gioco d’azzardo da “problema clandestino” è stato trasformato in “attività ludica legalizzata”, chissà forse perché la gente non aveva abbastanza svaghi con cui trastullarsi durante il tempo libero…ovviamente con allegate le istruzioni per un uso responsabile, come le medicine: il gioco è bello ma con moderazione; non abusarne. Ah, ma forse le intenzioni erano il rinvigorimento delle sorti economiche del paese…si è visto.
D’altronde cosa ci si può aspettare da uno stato che, consapevole delle debolezze dei sudditi, le sfrutta a dovere?
Ma riportiamo i piedi sul resto del mondo e la parola all’argomento interessato.
Ciascuno si sceglie il destino, si dice, ma con delle eccezioni: per alcuni il libero arbitrio è un po’ forzato da condizioni sfavorevoli anche gravi.
Lungi dal sostituire la famiglia - che tutti dovrebbero avere o aver avuto - come solida guida per diventare individui pienamente consapevoli e liberi di operare scelte dignitose e costruttive per la propria esistenza, la Legge dovrebbe sforzarsi di assolvere al compito di limitare gli sfaceli sociali dovuti a sfighe più o meno casuali.
Sono quindi d’accordo con le ragioni del protagonista che lo portano a sostenere la guerra agli sfruttatori del sesso, arginando con intelligenza questo serissimo problema e contrastando chi specula e sostiene le tratte umane , anziché legalizzare la pratica con i soliti mantra. Ovunque.


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