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Parigi brucia ma non sarà il nuovo '68


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Sei settimane di protesta, manifestazioni di piazza imponenti (benché sindacati e polizia diano valutazioni di partecipazione molto diverse), un terzo delle stazioni di servizio rimaste a secco di benzina, a Lione, ma anche a Parigi, gruppi di «casseurs» in azione, non molto numerosi, ma assai mobili e violenti: ce n’è abbastanza perché alcuni evochino già un nuovo «maggio ’68».

Dimenticando però che il «maggio» aveva fatto nascere una formidabile aspirazione alla libertà, in un’atmosfera che portava speranza, mentre oggi si tratta essenzialmente di una protesta contro il potere in un’atmosfera molto pessimista, impregnata dalla paura del declino e quella, più grande, della perdita dei diritti sociali. Infatti, oltre all’oggetto della protesta, e cioè la riforma delle pensioni e il passaggio dell’età legale da 60 a 62 anni, tutti temono l’arrivo di un’austerità imposta dalla necessità di ridurre il deficit dei conti pubblici, benché la crisi abbia già costretto i più poveri ai sacrifici e aumentato il numero dei disoccupati. Ma come ogni volta che si parla di riforme, in Francia si discute sulla questione del metodo. Prima di definire qual è il «metodo» di Sarkozy, bisogna eliminare dalla discussione ciò che non appartiene al presidente.

Primo elemento: il rifiuto del consenso da parte degli attori politici. Certo, il metodo ideale, ma mai applicato, sarebbe quello della paziente ricerca di un consenso; tanto più su un tema che ci impegna sul futuro della società. Gli svedesi, per esempio, si sono presi due anni per rifondare il loro sistema pensionistico. In Francia solo Michel Rocard, quand’era primo ministro si era sforzato di praticare la costruzione del consenso. Aveva spiegato che una democrazia moderna non poteva funzionare bene puntando soltanto sulla prevalenza di una maggioranza politica a spese di una minoranza; secondo lui, su ciascun dossier, era più importante costruire una consenso per convincere i soggetti interessati prima di passare all’azione. Numerosi suoi compagni socialisti per screditare lui e il suo metodo avevano ben presto accusato Rocard di essere un fanatico del «consenso molle». E dunque, in occasione di ogni grande riforma, in Francia bisogna rassegnarsi ad assistere allo scontro tra una maggioranza politica e un movimento sociale.

La maggior parte dei nostri presidenti, presto o tardi, hanno dovuto arrendersi: De Gaulle nel maggio ’68, Mitterrand nel luglio 1984, Chirac nel dicembre ’95 e nella primavera 2006. I nostri manuali di diritto costituzionale dovrebbero essere arricchiti di un capitolo sulla figura del manifestante e ai mille e un uso che delle manifestazioni che si sostituiscono al dibattito.

Il secondo elemento, che ancora non riguarda Sarkozy, è la crisi in se stessa. Con il suo seguito di ingiustizie e disoccupazione; e soprattutto con la paura che continua ad alimentare nel nostro Paese. La crisi è uno degli elementi chiave dell’impopolarità che colpisce la maggior parte dei leader al governo: Barack Obama, sulla soglia delle elezioni di mid-term, è oggetto di un vero e proprio rifiuto da parte di una parte importante della società americana; o ancora Angela Merkel, minacciata dal rischio di essere messa sotto accusa da un cattivo risultato alle prossime elezioni regionali! Per non citare che gli esempi più vicini ed eclatanti di leader in difficoltà.

E così la politica ci ha finalmente condotto a Nicolas Sarkozy. Nella prospettiva dell’elezione presidenziale e per sostenere la sua stessa candidatura nel 2012, Sarkozy si è lanciato nell’opera di ridarsi un’identità. Vorrebbe, di nuovo, presentarsi come il presidente delle riforme.

Prima di esaurire il suo catalogo di promesse ed essendo obbligato ad aspettare il ristabilimento dell’economia, ha affrontato il campo delle pensioni per tentare di ridarsi l’immagine del presidente che ha il coraggio di riformare. Durante la campagna elettorale, al contrario, aveva promesso di non toccare l’età pensionabile di 60 anni. Ha dunque scelto le pensioni come campo di battaglia con uno stendardo ben visibile: la fine della pensione a sessant’anni. Il messaggio è semplice: «Io sono non soltanto coraggioso, ma anche capace di abbattere uno dei grandi simboli della sinistra». La sequenza di proteste e manifestazioni che stiamo vivendo in questi giorni per lui ha un significato altrettanto chiaro: «Io sono capace di resistere ai venti e alle maree».

Dunque da una parte ci sono dei manifestanti sostenuti maggioritariamente dall’opinione pubblica che ingenuamente pensano che basti loro scendere in piazza per far piegare il presidente. Dall’altra un Nicolas Sarkozy che cerca di rilegittimarsi nello scontro. Da questo punto di vista, il nemico dei sindacati, che purtuttavia non negano la necessità di una riforma, ma che vorrebbero negoziarla, e al tempo stesso il miglior alleato di Sarkozy, ha un nome: la radicalizzazione. Tutto ciò che porta alla paralisi, agli incidenti, alle violenze, in altre parole tutto ciò che è disordine costituisce il modo migliore di affrettare, come reazione, una domanda di ordine e di autorità. Intorno ad essa, Nicolas Sarkozy, potrà così ottenere ciò che cerca disperatamente: ricompattare la destra intorno a lui.

La destra, appunto, in questo momento è in grande difficoltà. Raramente ci è capitato di vedere un terzo dei deputati della maggioranza chiedere la fine dello scudo fiscale nel momento stesso in cui il presidente ne faceva il simbolo della sua politica. Fino a che il ministro dell’economia ha ammesso che questo scudo era diventato il simbolo dell’ingiustizia. E così raramente avevamo visto 40 deputati della maggioranza astenersi o votare contro l’ennesimo progetto di legge sull’immigrazione a causa dei passaggi nel testo che avrebbero potuto far pensare che una categoria di francesi e cittadini europei (i Rom) sarebbero stati discriminati. E che dire dell’annunciato rimpasto, fattore di smobilitazione e disordine all’interno del governo e del quale il primo ministro François Fillon ha giustamente detto che non potrà certo rappresentare la soluzione alla crisi.

In ogni caso, nello spirito di Nicolas Sarkozy bisogna imperativamente superare lo scoglio della riforma delle pensioni per poter affrontare altre riforme che gli permetteranno questa volta di presentarsi con un viso più simpatico: grazie alla creazione di una nuova branca della previdenza sociale dedicata agli anziani non autosufficienti (nel nostro Paese la proporzione dei seniores nella popolazione continua a crescere) ma anche scegliendo tra le varie riforme suggerite dalla Commissione Attali che potrebbero - nel capo dell’evoluzione dei contratti di lavoro - fornire ai sindacati materie su cui confrontarsi.

Ma il seguito del film a cui stiamo assistendo dipenderà dallo sviluppo - ordinato o caotico - della sequenza «movimento sociale». A meno che quest’ultimo non si incarti da solo. Ma in ogni caso io non credo a un nuovo «maggio ’68».

Jean-Marie Ciolombani
Fonte: www.lastampa.it
Link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7974&ID_sezione=&sezione=
20.10.2010


Citazione
sentinella
Trusted Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 92
 

sì posso essere in parte d'accordo sul distinguo tra la situazione attuale e quella del "maggio".
Però c'è un però: allora come adesso c'è una gran voglia di liberarsi da una politica sociale che fa sempre pagare il prezzo ai più deboli e alle classi sociali svantaggiate, allora come adesso governi di destra reazionari stanno tentando di resistere alla protesta che viene dalla piazza e si rifiutano di cambiare rotta e di guardare le cose da un altra prospettiva che non sia la loro visone del mondo con il paraocchi.
Il paese non solo rifiuta lo smantellamento dello stato sociale ma nuove idee si fanno strada tra la gente: non possiamo essere solo l'europa della banche e di Trichet, c'è un altra visione dell'economia e del mondo che si sta facendo strada: un alternativa c'è e tutta una generazione di intellettuali e di economisti ne è il portabandiera.
I mesi che ci separano dalla primavera saranno cruciali, ci diranno se la forza popolare e l'organizzazione dei movimenti riusciranno a far breccia e questa protesta si potrà trasformare in un vento nuovo.
La primavera che verrà non sarà solo un nuovo sessantotto, ma qualcosa di diverso se riusciremo a compattare le istanze che vengono da più parti e dare un respiro europeo alla protesta.
Forse anche l'Italia si sveglierà dal suo sonno: la riuscita della manifestazione della FIOM a Roma e il fatto che sia passata la proposta dello sciopero generale è secondo me un segnale nella palude.
Speriamo che qualcosa si muova per davvero anche qui!!!


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Anonymous
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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speriamo...vah 😕


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