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Quel che non dice il prof.Ichino


Tao
 Tao
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Nullafacenti per chi e perché? Quel che non dice il prof.Ichino

Chi sa un po’ di politica italica e legge il pamphlet del professor Pietro Ichino “I nullafacenti” (Mondadori, Milano, 2006) può restare sorpreso. Se poi dà uno sguardo alla biografia dell’autore lo stupore addirittura cresce. Ichino ha ampiamente superato la cinquantina, è docente di Diritto del Lavoro alla Statale di Milano, è stato dirigente d’un pezzo di sindacato doc come la Fiom-Cgil e poi responsabile dei servizi legali della Camera del Lavoro di Milano. Il suo grido di dolore su malesseri e inefficienze nella Pubblica Amministrazione nostrana è sacrosanto ma si concentra sugli effetti del problema senza sfiorare le cause o almeno tralasciando molti e molti mali. Colpisce soprattutto la smemoratezza o una sorta di rimozione di un presupposto politico-sindacale che ha caratterizzato per decenni le assunzioni e l’organizzazione del lavoro nell’Amministrazione Pubblica. Il vizio tutto italiano della clientela, che ha radici in costumi certo più antichi dello Stato Repubblicano ma che nel vivere contemporaneo è diventato un sistema organizzato.

Clientele e Pubblica Amministrazione Negli ultimi sessant’anni d’Italia - degasperiana prima, dorotea e del centrosinistra fanfaniano e nenniano poi, e ancora consociativa e ora bipolare - la linea governativa verso la Pubblica Amministrazione si è caratterizzata per quello che è stato definito “voto di scambio”, grazie al quale i politici distribuivano posti di lavoro per figli, mogli, parenti vicini e lontani dei propri elettori. Il “posto fisso” nella Pubblica Amministrazione rappresentava nel Belpaese del boom economico una manna dal cielo. Ha continuato a esserlo a lungo anche se col passare dei decenni le svalutazioni della lira, la trasformazione del substrato sociale hanno offerto ai pubblici impiegati stipendi sempre meno vantaggiosi. Comunque in molti casi il loro era una sorta di vitalizio poiché l’impegno lavorativo richiesto era scarso e sull’inefficienza generale di Parastato ed Enti Locali tutti chiudevano un occhio, dal Presidente o Direttore Generale fino all’usciere pronto a fargli la spesa. Con un arco di adesioni globale - da destra a sinistra - tutti i partiti, tutti, hanno partecipato all’immenso mercimonio di quest’enorme “ufficio di collocamento”. E con loro i sindacati della triplice, gli autonomi e da ultimi i fascisti della Cisnal ribattezzati in Ugl dall’acqua di Fiuggi. Ciascuno ha fatto e continua a fare lo smistatore di assunzioni di futuri tesserati.

Nel ventre molle della Pubblica Amministrazione trovava collocazione un numero straordinariamente esagerato d’impiegati che ha fatto lievitare le spese di gestione senza far guadagnare nulla all’efficienza di servizio, anche perché a parecchio personale inquadrato nelle mansioni più varie non veniva assegnato alcun lavoro o quel poco esistente era diviso fra un numero elevato di dipendenti, cosicché tutti raccoglievano briciole. Non sempre né per tutti è stato così. Però il fenomeno è cresciuto a dismisura sin dalla metà degli anni Settanta quando l’Italia ha diminuito l’occupazione nella fascia produttiva primaria e secondaria gettandosi a capofitto nel terziario.

Lavoratori contro Quest’elementare analisi dei comportamenti della politica sfugge, pensiamo volutamente, al professor Ichino che nella denuncia sceglie la via del polverone generalizzato volto a risolvere le tante contraddizioni a senso unico: colpendo i lavoratori. Parliamo di lavoratori non dei nullafacenti cronici che adottano comportamenti di rifiuto tramite l’assenteismo, pratica peraltro quasi estinta e neutralizzata dai contratti vigenti che la penalizzano con sensibili perdite di quote di stipendio. Nel testo sarebbe utilissimo citare casi collettivi parlando di Ministeri ed Enti pubblici dove sono state riscontrate situazioni scandalose. Invece ci sono casi personali o disamine nient’affatto uguali, perché un conto è trattare situazioni di meschine svogliatezze individuali d’impiegati o dirigenti, ben altro è mettere il dito nella piaga della nullafacenza organizzata, voluta e sostenuta dallo stesso sistema. Questo in verità sia l’autore sia le lettere al “Corriere della Sera”, comparse a commento dei suoi articoli dell’agosto scorso e riportate nel libro, non lo nascondono. Anzi si dice che licenziare i nullafacenti paradossalmente non sia una soluzione. E allora?

Il leit-motiv del discorso ichiniano è proprio uno dei cavalli di battaglia storici del padronato: la contrapposizione dei dipendenti. Dopo aver introdotto nel mercato del lavoro la sequela dei mortificanti contratti atipici della Legge 30 - quella che propone ai giovani di lavorare sottocosto come sui mercati del sud-est asiatico o di restare cronicamente precari ben oltre la soglia dei quarant’anni - si fomenta una rivendicazione di quest’ultimi contro i garantiti-fannulloni. Un classico gioco delle tre carte che punta a mescolare i problemi, a condirli con dosi di demagogia, a risolverne alcuni in modo unilaterale. Ad esempio giustificare il lavoro nero, legalizzato dalla Legge 30, e spostare l’obiettivo dei dipendenti a progetto penalizzati da questa legge non verso la conquista di contratti dignitosi e duraturi ma contro gli usurpatori del “lavoro garantito e nullafacente”.

E l’efficienza? Gioco misero, dispiace dirlo, questo del professor Ichino. Perché pensiamo che voler davvero risanare la Pubblica Amministrazione da comportamenti censurabili basati su individuate e croniche responsabilità soggettive, sia possibile puntando a una vera efficienza che faccia piazza pulita di clientele, anche quelle di dirigenze e management garantite dal padrinaggio di partito e sindacato. Magari si scoprirebbe che coloro che praticano una personale refrattarietà al lavoro non sono un esercito. I nullafacenti diventano numerosi se si entra nei meandri di Risorse Umane gonfiate dal già esposto meccanismo delle assunzioni clientelari, a seguito delle quali non s’assegna all’impiegato nessuna mansione concreta, gli si fa fare di tutto e nulla vivacchiando alla giornata. Oppure lo si tiene in attesa di collocazione per anni, invogliandolo al non lavoro e creandogli una dequalificazione di fatto.

Una maggiore onestà nella disamina del problema potrebbe egualmente richiedere misure draconiane verso le amebe del lavoro, individuando innanzitutto chi ricopre una vera funzione parassita per propria unica responsabilità. Invece il prof sparacchia nel mucchio. Infila dentro la frustrazione, reale e comprensibile, del laureato ultratrentenne precarizzato dai contratti a progetto tagliati e cuciti a misura di sfruttamento da giuslavoristi senza scrupoli che magari Ichino conosce bene. Contratti che fruttano settecento euro mensili (ma anche molto meno) con una durata, se va di lusso, di un annetto per poi ricominciare senza ombra alcuna di previdenza e anzianità. Lo si oppone al dipendente garantito da milleduecento euro mensili, additato quale responsabile della sua debole posizione lavorativa ed economica. Proteso com’è a sostenere tesi para-aziendali Ichino non intacca gli squilibri della Pubblica Amministrazione da lui stesso denunciati. Risolve tutto in una contrapposizione fra tipologie di lavoratori preservando e incrementando inefficienza e mugugni. E francamente di questo non s’avvantaggia né il lavoratore tipico né quello precario e tanto meno il cittadino utente.

Enrico Campofreda
Fonte: www.bellaciao.org
Link: http://www.bellaciao.org/it/article.php3?id_article=16443
3.04.07


Citazione
dalemoni
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Registrato: 3 anni fa
Post: 89
 

Clientelismo e precariato.

Ai dipendenti pubblici precari,per i quali sono stipulabili contratti della durata massima di 3 anni,non è riconosciuto il diritto di partecipare alle elezioni sindacali a causa di un accordo confederale,al contrario di quanto avviene almeno sulla carta nel settore privato.

Ai dipendenti pubblici precari non è riconosciuto il diritto all'impugnazione e alla conversione a tempo indeterminato dei contratti a termine illeggittimi,grazie ad un CCNL recepito dal Governo Amato con il Dlgs 165/2001,a differenza di quanto avviene almeno in teoria nel settore privato.

La Corte Costituzionale(sentenza n°89/2003) ha confermato quest'ultima ingiusta discriminazione con il pretesto dell'obbligo del concorso pubblico,che per altro vengono svolti anche per le assunzioni a tempo determinato,previsto dal art. 97 della Costituzione...in nome del quale vengono violati gli artt.1 e 3 della stessa.

Gli abusi contrattuali dei dirigenti pubblici,in qualità di datori di lavoro,non sono sanzionabili con la trasformazione del contratto di lavoro,per questo motivo i dirigenti pubblici si trovano a detenere un potere arbitrario,che spesso usano per la propria clientela e quella delle maggioranze di turno.
Al clientelismo del posto fisso si è aggiunto il clientelismo dei contratti a termine ad libitum...che si stipulano,si prorogano,scadono in concomitanza con le scadenze elettorali... oppure vengono "stabilizzati" ovvero convertiti a tempo indeterminato a pura discrezione della maggioranza di turno.(vedi le ultime elezioni amministrative siciliane e le 7000 assunzioni promesse dal governo Berlusconi e altre 7000 recentemente messe in campo da Prodi)
In Sicilia una legge regionale ha portato la durata massima dei contratti a termine per il pubblico impiego a 5 anni...la durata di una legislatura!

Le recenti rivendicazioni di stabilizzazione da parte di alcuni sindacati di base non metteno in questione i due fondamenti di questo sistema,perché non denunciano queste aberrazioni e non ne richiedeno l'abolizione,ma sono in parte tentativi di partecipare alla spartizione clientelare.

L'ingiusta discriminazione tra lavoratori è nel diritto,nei fatti ,perché è uno degli elementi fondanti del sistema produttivo edificato dai sindacati confederali e Condindustria a partire dagli accordi della concertazione del '93.
Un ingiusta disciminazione,che è alla base di una reale e concreta contrapposizione tra lavoratori,che si presta alle strumentalizzazioni dei commentatori in malafede ma non per questo è meno vera.
Ad esempio nel pubblico impiego a fronte di circa 3 milioni di lavoratori a tempo indeterminato,che certo non si ammazzano di lavoro, ci sono circa mezzo milione di precari che spesso,proprio perché privati dei più elementari diritti,sono costretti a lavorare anche per i primi.

Ma la situazione è destinata a peggiorare...perché in questa situazione di totale impunità,i datori di lavoro pubblici,anche se la L.30-Dlgs 276/03 non sarebbe applicabile nel pubblico impiego,continuano ad impiegare lavoratori con contratti a progetto palesemente illeggittimi e inoltre siccome è consentito dalla legge stanno iniziando a ricorrere anche alla somministrazione di lavoratori temporanei,con un ulteriore danno all'erario per le elevatissime tariffe pagate alle società di somministrazione,che sono dell'ordine del 150% - 200% della retribuzione oraria lorda del CCNL.

Quelli come l'autore dell'articolo...queste cose non le scrivono perché vedono la realtà al 67%...come nel caso della Fiom:
(citato) "è stato dirigente d'un pezzo di sindacato doc come la Fiom-Cgil"...in realtà Confindustria ha riconosciuto una quota di rappresentanza fissa,obbligatoria del 33% a tutti i sindacati confederali con gli accordi del 93...quindi la Fiom è un sindacato giallo al 33% DOC...oppure a denominazione d'origine padronale -DOP- se si preferisce! 😆


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