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Eshin
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Si fa in fretta a dire femminismo…

BY MASSIMO IPPOLITO

http://www.enzopennetta.it/2015/12/si-fa-in-fretta-a-dire-femminismo/

La settimana scorsa ha destato scalpore e interesse la notizia che alcune femministe italiane (di un movimento chiamato “Se non ora quando”) abbiano voluto condannare la pratica dell’utero in affitto (o gestazione per altri, come alcuni la chiamano).

Il riferimento culturale di questi movimenti femministi nasce nel sostrato del femminismo internazionale ed il nome per antonomasia che molto è stato ricordato in questi giorni è quello di SYLVIANE AGACINSIKY. Proviamo a parlarne, contestualizzando il suo pensiero con lo sviluppo dei vari ‘femminismi’.

Prima di curiosare fra le pieghe del femminismo, iniziamo a presentare la donna ritornata a brillare in queste settimane: Sylviane Agacinsky nasce a Nades il 4 maggio 1945. E’ stata ed è una filosofa e militante femminista, punto di riferimento nel mondo della sinistra francese. Si laurea in filosofia a Lione. All’età di 45 anni, nel 1991, venne assegnata come professoressa associata presso l’EHESS (professore all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales), ruolo che poi lascerà nel 2010. Moglie del primo ministro francese Lionel Jospin, socialista a capo del governo francese dal 1997 al 2002.

Capite da soli che se un movimento femminista deve argomentare il rifiuto di benedire pratiche come quelle dell’utero in affitto, non può attingere da ambienti culturali estranei, ma deve farlo nel suo mezzo di elezione, il femminismo duro e puro. E femminismo di sinistra (perché, per chi non lo sapesse, c’è stato anche il femminismo liberale).

Le lotte della prima ondata del femminismo ugualitario per l’ottenimento dell’uguaglianza dei diritti sono andate avanti fino ai primi del ‘900 per poi cadere in una crisi generale, sfociata in un immobilismo del movimento che vedrà una rinascita solo negli anni ’60 e ’70 del ‘900. Quello che il nostro immaginario, un po’ troppo superficialmente, saluta come l’unico e vero movimento femminista.

Dimenticare o rinnegare la prima ondata del femminismo ha una conseguenza, quella di non comprendere le origini e le premesse di quanto sta accadendo oggi. Infatti fu Engels a parlare di non parità fra uomo e donna proprio a causa della famiglia tradizionale, che era patriarcale. Il vero obbiettivo, oggi come ieri, è quello di annullare chi era all’origine della famiglia patriarcale. Il padre. Ne sentite mai parlare? Il padre ormai è una figura diluita, talmente tanto da intravederlo con difficoltà, nella società odierna.

Ma torniamo alla nuova o seconda ondata del femminismo degli anni ’60-’70, essa riteneva che liberalismo e socialismo non bastassero più per risolvere quelle istanze di disuguaglianza ancora aperte, e che fosse necessario un discorso più radicale non più centrato sull’uguaglianza ma sulla differenza uomo-donna. Inizialmente demolendo i ruoli stereotipati di uomo e donna (come si fa nelle scuole di oggi, con i nostri figli) ma la seconda fase del progetto (che in molte scuole già avviene per non parlare della pubblicità e della rappresentazione del reale: TV, cinema e carta stampata) è quella di abbattere non più solo i ruoli maschio/femmina ma farci credere che anche l’identità maschio/femmina sia uno stereotipo.

Sul significato poi da assegnare alla diversità sessuale si sono sviluppate due correnti: egualitaria orientata al genere (gender theory) e differenzialista che vedono la loro origine rispettivamente ne: Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, e Le tre ghinee di Virginia Woolf. Gli esiti del dibattito stanno avendo risvolti politici e culturali fondamentali nel nostro tempo: infatti per la prima corrente, orientata al genere, vi è una differenza fra sex e gender, mentre per la seconda corrente quella differenzialista la distinzione fra sex e gender sarebbe epistemologicamente errata e politicamente fuorviante.

In altri termini secondo la corrente egualitaria o gender theory la distinzione sex-gender è necessaria per mostrare come la distinzione dei ruoli maschili e femminili sia ascrivibile non alla natura, ma alla società e alla politica, e che come tale possa e debba essere modificata al fine di riequilibrare il potere fra uomo e donna.

Secondo la corrente differenzialista, la categoria di differenza sessuale è una categoria ontologica e irriducibile ed è necessario costruire un mondo politico che tralasci categorie universali apparentemente neutre (valide tanto per l’uomo quanto per la donna), ma che in realtà sarebbero soltanto maschili (Parlamento, Stato, leggi, individuo). Ciò significa costruire un mondo politico su basi biologiche, e quindi rifiutare la distinzione fra sesso anatomico e genere.

Negli anni Novanta, periodo nel quale la Agacinsky inizia a scrivere su questi argomenti, Judith Butler, inaugura una nuova stagione del femminismo.

Essa gioca un ruolo fondamentale nella teorizzazione della dottrina queer (strambo) che attacca direttamente le «costrizioni» della normalità. In quanto minoranza, il movimento queer non punta ad «assimilarsi» alla cultura maggioritaria, ma piuttosto ad attaccarla al cuore.

La dottrina Queer denuncia il presupposto «eterosessista» dei discorsi sulla differenza. L’opera chiave è appunto quella di Judith Butler, Trouble dans le genre. Il concetto di base che viene portato avanti è di creare un nuovo paradigma antropologico, non più soggetto all’«eterosessualità obbligatoria». Judith Butler descrive la propria caccia alla «presunzione d’eterosessualità» nella letteratura femminista come nella cultura nel suo insieme. Portare «scompiglio» nel campo del genere (come recita il titolo del suo volume), significa riferirsi all’eccezione per pensare alla regola.

«Il travestito è la nostra verità per tutti. Egli rivela la struttura imitativa del genere stesso. Tutti noi non facciamo che travestirci, ed è precisamente il gioco del travestito a farcelo capire».

La metodologia queer non si richiama a un’identità particolare, ma a un movimento di rimessa in causa delle identità, considerate come normative. «Pertanto, niente ci autorizza a pensare che i generi debbano essere solo due».

Portando quest’idea alle sue conseguenze più estreme, non si tratterebbe neppure di utilizzare cinque o più generi, ma semplicemente di rifiutare ogni categoria di matrice di genere socialmente istituita.

« Il genere stesso è un artificio libero da legami, di conseguenza, uomo e maschio potrebbero designare altrettanto bene un corpo femminile come uno maschile; donna e femmina tanto un corpo maschile quanto uno femminile».

E oggi trovate ancora chi, in perfetta buona fede, non accetta si parli di una ideologia Gender…

Molto differente è il punto di vista della Agacinsky che a riguardo ha convincimenti che superano il femminismo Sessantottino:

“La donna non solo non è padrona del suo corpo. La donna è il suo corpo».

Ma sentite questa chicca:

«Nel momento in cui le nostre percezioni culturali, ancorate al quotidiano, si arenano, quando non si riesce più a leggere con certezza il corpo che si vede, ecco che non si è sicure di sapere se il corpo percepito è quello di un uomo o di una donna»

dice la Butler.

Questi aspetti marginali dei gender studies (qui abbiamo appena sentito la Butler) indicano il rifiuto dei limiti del nocciolo biologico esposto da Freud, che invece Agacinsky difende:

“Dobbiamo pensare a una differenza che non sia disuguaglianza”.

Un’altra filosofa e femminista cui la Agacinsky si contrappone è la sua connazionale Badinter. Negli ultimi mesi di tre anni fa, lo scontro era stato sulla legge che introduceva il matrimonio gay. Badinter a fav
ore, Agacinsky contro. E ancora, corollario della questione precedente, sulla legalizzazione della pratica dell’utero in affitto. Badinter a favore. Agacinsky contro.

In un’audizione all’Assemblea Nazionale, Badinter ha parlato a favore del matrimonio fra omosessuali :

“Chi lo rifiuta – ha spiegato – lo fa per due ragioni: per il fatto che esiste una rappresentazione millenaria dell’unione della donna e dell’uomo come l’unica legittima nella nostra società e per il fatto che il matrimonio per tutti aprirebbe la via all’omoparentalità”.

Affermava:

“Si dice spesso – afferma – che un bambino ha bisogno di una madre e di un padre per crescere bene. Del papà perché lui nell’immaginario collettivo è fermo, severo, retto e inflessibile, della mamma perché si suppone dolce che cucini bene e usi l’ammorbidente. Ma – prosegue Elisabeth Badinter – non perché si è madre o padre che si è buoni genitori capaci di rispondere adeguatamente ai bisogni dei bambini. Non è perché si è messo al mondo un bambino, che si è dotati degli ormoni della maternità, che si saprà amarlo. L’istinto materno è un mito e la femmina non è che una femmina animale. Ha una storia e un inconscio che potrebbero giocare i peggiori scherzi con tutte le conseguenze che si sanno sul bambino. In fondo – conclude – si parte come sempre dall’idea che una donna è fatta per amare i bambini che porta in grembo. Non ne posso più di questo pregiudizio naturalista che è smentito tutti i giorni. Dobbiamo accettare che le donne sono diverse”.

La Badinter continua: dal “femminismo della differenza” che le colpevolizza chiedendo loro la perfezione e in realtà vuole distruggere “la donna” in nome della “madre” e “che al figlio deve tutto il suo latte, le sue cure, il suo tempo, le sue energie. Una nuova forma di dominio maschile” (la nostra, dimentica che le figlie invece sono femmine). Afferma la Badinter, rifacendo sue le idee di Hegel ma andando oltre : “L’istinto materno non esiste.”

Agacinsky, invece, parte da presupposti antropologici diametralmente opposti affermando che: “non possiamo non riconoscere che un figlio può originarsi solo da un padre e una madre, ovvero da un uomo e una donna”. E poi il grido d’allarme:

“il matrimonio fra persone dello stesso sesso, l’accettazione che essi possano avere dei figli non può che portare al mercato delle madri surrogate, e quindi al commercio di esseri umani”.

Nel libro La politica dei sessi, la filosofa afferma che “i due sessi sono costretti a porsi in relazione continuamente in virtù di quella mistione propria della specie umana che li rende necessari l’uno all’altra e che vista l’impossibilità di farsi guerra, li costringe alla politica”. Cioè alla dialettica, al compromesso, all’armonia.

“Ma una nuova politica dei sessi è possibile, una politica basata sulla mistione, (l’umanità è un insieme misto) che prende atto della differenza e dell’asimmetria essenziali, e introduce il concetto di parità che sostituisce e supera quello di uguaglianza operando una politicizzazione appunto della differenza”.

Il teorema centrale dell’analisi dell’Agacinsky è, come nella tradizione francese, il riconoscimento della differenza sessuale come differenza ‘prima’ e naturale degli esseri umani. E’ quindi da considerarsi una ricchezza e non, come da sempre si è cercato di dimostrare, una mancanza.

Ancora, ne La politica dei sessi, Agacinsky afferma che l’eguaglianza dei sessi è stata, in realtà, confusa troppo spesso con una sorta di rivendicazione egualitaria che si basava sul falso assunto di un’identità umana comune. Se, dunque, il concetto di differenza è considerato dall’autrice non come opposto all’eguaglianza, ma come contrario dell’identità, la parità è, invece una vera e propria idea di divisione sessuale del potere, di divisione del potere politico tra uomini e donne.

Nel suo saggio La metamorfosi della differenza sessuale, la Agacinsky sottolinea quanto la donna, dal punto di vista culturale, abbia dovuto lottare per il riconoscimento della propria parità. Anche attraverso i movimenti femministi.

Ma nella teoria del gender si tratta di ben altro.

«Possiamo certo ammettere, scrive, che la norma eterosessuale tradizionale pesi su chi non può riconoscersi in essa e che sia quindi necessario interrogarla per rompere il vecchio tabù che pesa sull’omosessualità e per rispettare gli orientamenti sessuali di ognuno. Ma la diversità degli orientamenti sessuali non sopprime la dualità dei sessi: anzi la conferma. In effetti possiamo parlare di orientamenti eterosessuali, omosessuali o bisessuali, solo se supponiamo fin dall’inizio che esistano almeno due sessi. Che si desideri l’altro sesso, o che al contrario non lo si possa desiderare, significa che i due sessi non sono equivalenti. L’assenza di equivalenza è confermata anche dalla sofferenza di coloro, maschi o femmine, che esprimono un imperativo bisogno di cambiare sesso».

Rifacendosi alle teorie di Gaston Bachelard, l’Agacinsky sostiene che è l’ipotesi della fecondità a suggerire la differenza sessuale: «la procreazione implica sempre il concorso dell’altro sesso. Anche in laboratorio la partecipazione dei due sessi è necessaria». Per ora, aggiungo io.

Agacinsky sostiene che la differenza sessuale è oggi rimessa in discussione e sottoposta a un tentativo di neutralizzazione. Talvolta viene ridiscussa in nome di un umanesimo astratto. Ma la differenza sessuale è relativa, divide la specie umana , come la maggior parte delle altre specie , ma non la nostra comune umanità.”

Afferma più avanti la Agacinsky che secondo questo pensiero la differenza sessuale sarebbe allora effetto di una cultura dominata dalla “norma eterosessuale” e dovrebbe essere cancellata a favore della diversità della sessualità. In realtà è la fecondità a fondare la distinzione maschile/femminile. I sessi designano poteri di genere non simmetrici, non equivalenti, e quindi non intercambiabili. Inoltre con le possibilità offerte dalle biotecnologie con l’utero in affitto e la donazione dei gameti maschili, si instaura, come afferma l’Agacinsky, “un modo di procreare che instaura l’irresponsabilità degli ascendenti e li separa a priori dai loro discendenti facendo diventare il padre e la madre biologici impersonali donatori di materiali e i figli vengono trattati come prodotti e non come persone”.

Sebbene io abbia parlato di molti argomenti, offrendo quindi a molti tipi di commenti di essere pertinenti, scommettiamo che qualcuno riuscirà ad andare in OT ?

Io vado a fare una doccia alla tastiera, sta sudando.

http://www.enzopennetta.it/2015/12/si-fa-in-fretta-a-dire-femminismo/

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