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"Vecchio" articolo di Limes su Benazir Bhutto (INT


Hassan
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http://limes.espresso.repubblica.it/2007/10/23/misfatti-amici-e-nemici-di-bhutto/?p=289

23 Ottobre 2007
Misfatti, amici e nemici di Bhutto
di Francesca Marino

Ridda di ipotesi sui mandanti dell'attentato all'ex premier pakistano. La signora non è molto popolare in patria, complice il suo recente voltafaccia anti-talebano. Riassunto dei due precedenti mandati di Bhutto come primo ministro. La spartizione di potere con Musharraf. Le paure dell'Occidente possono generare effetti perversi.
“E’stata lei a insistere nel mettere in scena questo spettacolo, ed è lei a essere responsabile dei morti e dei feriti”. Così Fatima Bhutto, nipote e avversaria politica della più famosa Benazir, ha commentato l’attentato del 18 ottobre a Karachi. Benazir Bhutto, due volte primo ministro del Pakistan e segretario del Pakistan People’s Party, tornava in patria per la prima volta dopo quasi dieci anni: tornava in patria in trionfo, salutata da una folla giubilante di cittadini e di attivisti politici. Attraversando Karachi, una delle città più pericolose del Pakistan, a passo d’uomo e disdegnando le più elementari misure di sicurezza. Gettato alle ortiche il giubbotto antiproiettile, Benazir si concedeva un bagno di folla permettendo a sostenitori e amici di arrampicarsi per complimentarsi sul camion che la conduceva dall’aereoporto a casa. I due attentatori suicidi non hanno raggiunto il loro obiettivo, ma hanno provocato una carneficina tra la folla: 193 morti e 550 feriti circa.

Nessuno ha rivendicato l’attentato, ma la Bhutto ha dichiarato che i mandanti sarebbero tre, di cui però non ha ancora fatto i nomi. Secondo il quotidiano locale The News, si tratterebbe del primo ministro del Sindh Arbab Ghulam Rahim, di quello del Punjab Chaudry Perwez Elahi e di Ejaz Shah, ex capo dell’Intelligence Bureau. Non si escludono nemmeno, nell’ordine, gli ex-sostenitori del defunto (da una trentina d’anni) dittatore Zia, i Taliban, gli estremisti del Waziristan e alcuni elementi del Muttahida Quami Movement, i servizi segreti più o meno deviati e lo stesso governo. Baitullah Mehsud, comandante dei militanti waziri legati ad Al Qaida, ha negato a mezzo stampa ogni coinvolgimento dei suoi uomini nella strage di Karachi. La Bhutto non ha accusato direttamente il presidente Musharraf, ma invoca l’intervento di “investigatori” stranieri per far luce sull’accaduto, che “potrebbe coinvolgere elementi vicini al governo”.

Benazir sapeva già, prima di partire, che avrebbero attentato alla sua vita. Ha infatti dichiarato di essere stata avvertita da “un governo amico” e che gli attentatori cercheranno ancora una volta di ucciderla. Per questo motivo nessuno riesce a capire perchè la Bhutto non si sia attenuta ai protocolli di sicurezza. Considerato anche il fatto che ci sono poche persone, in Pakistan, a essere meno amate di lei, perfino all’interno del suo stesso partito tra i sostenitori dei suoi defunti fratelli. Benazir viene infatti da molti ritenuta il mandante dell’omicidio di suo fratello Murtaza, ucciso nel 1996 dalla polizia di Karachi mentre lei era premier. L’altro fratello, Shah Nawaz, è morto in Francia nel 1985 avvelenato, pare, dagli uomini dell’Inter-Services Intelligence (Isi). La Bhutto è popolare soltanto in parte del Sindh e in alcune aree del Punjab. Pur essendo sindhi di nascita, difatti, non riscuote alcun consenso tra i nazionalisti del Sindh e tra i Mohajir (gli abitanti del Sindh immigrati dopo la Partition, la divisione tra India e Pakistan). Nel resto del Pakistan la signora viene generalmente vista come il fumo negli occhi. Dagli integralisti essenzialmente perché donna, dal resto del paese perché corrotta e poco affidabile e dai Taliban e da Al Qaida perché si è messa al servizio degli Stati Uniti riciclandosi come paladina della democrazia e della lotta al terrorismo al solo scopo di rientrare in Pakistan e riprendere il potere.

Benazir Bhutto è stata premier due volte, dal 1988 al 1990 e dal 1993 al 1996. Gli anni del suo governo vengono essenzialmente ricordati per il disastro in cui versavano l’economia, strettamente monitorata dall’Intensive Care Unit del Fondo Monetario Internazionale, e la situazione politica interna. In compenso Asif Zardari, marito del premier e noto ancora oggi come Mister Ten per cent, rastrellava contanti e risorse in tutto il paese trasferendo il malloppo su conti svizzeri. Quanto ai diritti delle donne -soggette all’infame Hoodood secondo cui la testimonianza di una donna vale metà di quella di un uomo e si può essere accusate di adulterio essendo vittime di uno stupro- c’è voluto il 2006 e il generale Musharraf messo sotto pressione dall’Occidente per vedere qualche timido cambiamento. I contributi dati dalla Bhutto al suo paese sono stati essenzialmente l’inizio, tramite l’Isi, del terrorismo nel Kashmir e il sostegno alle attività dello scienziato nucleare A.Q. Khan, di cui gli americani chiedono da tempo la testa.
E’ opera dell'ex premier l’accordo -mediato dalla Cina- con la Corea del nord, la quale ha venduto missili e tecnologia militare al Pakistan in cambio di aiuti economici e nello sviluppo di un programma nucleare. Sempre durante il secondo governo Bhutto, con la collaborazione dell’allora Direttore generale delle operazioni militari Musharraf e del ministro degli Interni Nasirullah Babar, sono nati i Taliban ed è stato consentito ad Osama bin Laden di stabilirsi a Jalalabad e creare Al Qaida; il traffico d’oppio prosperava, e al confine con l’Afghanistan si facevano affari d’oro producendo eroina e armi.

Non ci si deve quindi meravigliare della reazione dei suddetti Taliban, definiti un tempo da Benazir “i miei ragazzi”, di fronte alle ultime esternazioni della signora. Diventata d’improvviso una paladina della lotta senza quartiere al terrorismo e ad Al Qaida, la Bhutto è stata l’unico leader dell’opposizione a sostenere Musharraf durante l’attacco alla Lal Masjid, ha dichiarato che permetterebbe all’Agenzia per l’energia atomica di interrogare direttamente A.Q. Khan e perfino che consegnerebbe all’India Dawood Ibrahim, capo supremo della mafia pakistana (sospettato addirittura di finanziare l’Isi e protagonista nella faccenda del nucleare e della Corea del Nord) che vive indisturbato a Karachi da anni. Esternazioni che le sono valse il sostegno, se non la fiducia (l’accordo Benazir-Musharraf è stato definito a Washington “il migliore dei mali”) degli Stati Uniti, ma che in patria non hanno certo giocato a suo favore. Non sono infatti soltanto i jihadisti -che rappresentano oltretutto una minoranza nel paese- o gli integralisti a non gradire le ingerenze sempre più pesanti degli Usa nella politica estera e adesso anche nella politica interna del Pakistan. La maggioranza della popolazione pakistana è essenzialmente composta da moderati che vorrebbero il ritorno nel paese di una parvenza di vera democrazia ma che, al tempo stesso, cominciano a percepire la cosidetta lotta al terrorismo come lotta contro l’Islam.

Nove anni di “dittatura illuminata” hanno di fatto portato il paese sull’orlo del tracollo. I soldi piovuti in Pakistan grazie al sostegno nella lotta al terrorismo hanno in un certo modo dato una spinta, almeno sulla carta, all’economia: sulla carta perché, al di là dei numeri, di fatto a beneficiarne sono stati e sono soltanto i soliti noti. La situazione dell’ordine pubblico è drammaticamente peggiorata, i conflitti regionali si sono acuiti e, come nel caso del Baluchistan, sono stati sedati in un bagno di sangue. Il terrorismo non è mai stato così attivo e così potente, e a questo punto Musharraf appare al tempo stesso ostaggio e burattinaio del potere dei militari, da sempre il vero governo del Pakistan. L’accordo tra la Bhutto ed il presidente-generale, che dovrebbe nelle intenzioni traghettare il paese verso la democrazia, così come il nuovo ruolo di paladina dell’Occidente di Benazir,
appaiono improbabili a chiunque, visto soprattutto che nel suddetto accordo di democratico non c’è praticamente nulla: i due si sono semplicemente accordati per spartirsi il potere infischiandosene allegramente della legge e della Costituzione, con la benedizione di Washington che teme un governo filo-integralista. Musharraf è stato rieletto presidente con l’ennesima elezione-farsa e il risultato delle politiche, che dovrebbe sancire il terzo (e incostituzionale) mandato di Benazir è già stato largamente annunciato. Il terzo contendente, l’ex-premier Nawaz Sharif, è stato esplicitamente escluso dal cosiddetto atto di riconciliazione nazionale che ha sancito l’amnistia per le accuse di corruzione a carico della Bhutto e di suo marito ed è stato prontamente rispedito in Arabia Saudita quando ha provato a rientrare nel paese.

Sono in molti a temere che la spartizione di potere tra il presidente e l'ex premier ottenga soltanto l’effetto di radicalizzare ulteriormente le proteste e di rafforzare l’integralismo. La politica dell’Occidente, che sostiene attivamente Musharraf e Bhutto per paura che il paese e la sua tecnologia nucleare cadano in mani jihadiste, rischia di ottenere l’effetto opposto. E di precipitare il Pakistan in una crisi dalle proporzioni e dagli esiti difficilmente prevedibili.


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