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Verso la fine dell'euro?


MatteoV
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Secondo un recente sondaggio l'Italia è ormai il paese più euroscettico dell'eurozona; la maggioranza degli italiani non nutre molta fiducia nella moneta unica e auspicherebbe un ritorno a una valuta nazionale. Uno scenario ribaltato rispetto a qualche anno fa in cui il nostro paese era considerato tra i più entusiasti dell'unione monetaria. Contemporaneamente si sta assistendo a un analogo slittamento del ceto dirigente da una difesa sempre più tiepida a una vera e propria critica dell'euro che in alcuni casi giunge al punto da auspicarne la fine. Il Movimento Cinque Stelle, dove già da qualche tempo serpeggiavano posizioni sovraniste, ha abbracciato ormai apertamente la campagna anti-euro, mentre la Lega Nord di Salvini, che guadagna consensi nei sondaggi, ha fatto dell'opposizione a Bruxelles il proprio cavallo di battaglia. Persino nel PD, partito tradizionalmente pro-euro, si fanno largo posizioni sempre più critiche nei confronti dell'area valutaria europea.
Sta diventando chiaro ai più che l'euro così com'è non può reggere a lungo. La rigidità dei vincoli impedisce agli stati di reagire con efficaci politiche anticicliche al collasso economico sempre più incombente. Del resto una riforma o revisione dei trattati appare improbabile, perché si scontrerebbe con gli interessi della casta finanziaria e del governo tedesco, che sono quelli che dettano la linea delle politiche economiche europee. Una riforma dell'eurozona che possa sortire qualche effetto significativo dovrebbe somigliare più a una rivoluzione. Per cominciare agli stati dovrebbero essere concessi limiti di deficit molto più alti di quelli attuali, attraverso i quali ciascun governo possa aumentare la spesa pubblica e ridurre le tasse, in modo da rilanciare la domanda. Per non parlare di misure ancora più rigide, come il Fiscal Compact, che andrebbero semplicemente abolite. Del resto questo provvedimento potrebbe non essere sufficiente per i paesi mediterranei, a causa degli svantaggi competitivi dovuti al cambio fisso. Questo mette costantemente fuori mercato le merci dei paesi dell'Europa del Sud che sono privi della leva valutaria e si trovano così costretti a ridurre il costo del lavoro alimentando la spirale deflazionistica. Perciò si richiederebbe l'ideazione di meccanismi correttivi che trasferiscano risorse dai paesi più competitivi a tutti gli altri. Ma pensare che la Germania accetti misure del genere, andando a minare il proprio vantaggio competitivo, appare lontano da qualsiasi realismo. Sicuramente la deflazione dell'eurozona danneggia la stessa industria tedesca, la quale vede calare la domanda dei paesi europei che costituiscono la maggior parte del suo mercato. Ma piuttosto che accettare correttivi del genere, politicamente poco digeribili, tanto varrebbe per il governo della Merkel tornare al marco e accettare una rivalutazione. [CONTINUA]


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