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Il Generale e la cappella del disonore

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Il Generale e la cappella del disonore

di Gianvito Armenise

CITTA’ DEL VATICANO - Non diciamo nulla di scandalosamente rivoluzionario se ribadiamo che la storia la scrivono i vincitori. Da sempre è così e non ce ne meravigliamo. L’uso politico della storia, dopo tutto, altro non è che una sorta di prosecuzione degli eventi bellici in tempo di pace al fine di rimuovere dalla coscienza collettiva dei “vinti”, la memoria del proprio passato affinché non abbiano un futuro. Come singoli e come popolo. Siffatta operazione di mistificazione e di rimozione, comporta, com’é agevole immaginare e constatare, azioni concrete e tangibili che si sono concretizzate - ad esempio - nell’innovazione toponomastica delle città conquistate oppure nell’imposizione di una “verità di Stato” innestata attraverso centrali culturali ed educative assai simili a quelle dei regimi totalitari. Questo ‘modus operandi’ ha finito, spesso, col travolgere e condannare all’oblio anche coloro i quali hanno avuto l’”ardire” di combattere e militare dalla “parte sbagliata”. E, si sa: chi vince con le armi, autocertifica la bontà delle proprie scelte e finisce con l’ipotecare la presenza del suo nome tra gli altri che affolleranno il grande pantheon dei padri della patria. Agli sconfitti, invece, gli uomini e la storia non potranno che tributare le gesta più infamanti; non potrà che essere assegnato loro un posto tra i malfattori, i derelitti, i criminali, i mercenari. Sovente accade questo. Molto spesso, al contrario, si preferisce che i vinti siano inghiottiti dai buchi neri della storia. Abbandonati nelle anticamere degli eventi, costoro - i vinti - continuano ad urlare le proprie ragioni mentre i secoli sfrecciano veloci come dardi invisibili. I vinti continuano a tendere le mani ai vincitori nella vana speranza di ricevere un qualche conforto, una preghiera, un cenno. Invece nulla. Il silenzio più assordante ingoia gli sconfitti. E non importa se essi siano letterati, semplici soldati o generali. L’indifferenza della storia per costoro è come un paesaggio innevato: maledettamente uguale e ripetitivo. A conferma di ciò, alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Hermann Kanzler. Molti lo identificheranno forse con qualche centravanti della nazionale tedesca. Ma pochi riconosceranno in quel nome un Generale che seppe comandare un esercito di ben 15.000 uomini accorsi dai quattro angoli della terra per difendere, il 20 settembre del 1870, la Chiesa ed il suo Papa dall’invasione del Generale Cadorna. Kanzler fu un eroe nel senso più nobile del termine. Compì una scelta di campo e decise di militare sotto lo stendardo di Nostro Signore Gesù Cristo. Alla domanda: “E’ giusto o non è giusto. Mi conviene o non mi conviene”, Kanzler ed i suoi uomini scelsero la via dell’Onore per la difesa della Regalità Sociale di Cristo, imprimendo nel proprio cuore l’espressione “Sub Christi Regis vexillis militare gloriamur”, come insegna Sant’Ignazio di Loyola nei suoi Esercizi Spirituali. Il generale Kanzler morì a Roma nel 1888. In quella Roma che assisteva impotente e compiacente ad ogni sorta di sopruso e di angheria nei confronti della Religione Cattolica. Kanzler non poteva immaginare che anche lui avrebbe subìto l’ostracismo della memoria. Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero del Verano, sempre a Roma, in una cappella circondata da escrementi, sporcizia e sudiciume. Niente fasti, nessun marmo, neanche un fiore. Non una lapide né una targa. Non un sorriso e neppure una preghiera per il Generale che volle difendere la sua “Roma di martiri e di Santi” ma non più “patria eterna di memorie”. A lui la storia ha saputo riservare un posto che farebbe storcere il naso anche ad un clochard delle banlieux parigine. La stessa polvere e la stessa sporcizia che ricopre i cuori degli uomini che preferiscono la convenienza alla giustizia o che scelgono Barabba e non Gesù. Un’umanità eternamente inchiodata al tradimento di Giuda e che non riesce a scorgere la grandezza del pentimento di Pietro. La sorte terrena del Generale Kanzler è un’offesa ed una vergogna. Quel letamaio dovrebbe far impallidire tutti coloro i quali non perdono occasione per pavoneggiarsi riempiendosi la bocca di vacue espressione ‘politically correct’. Gli italiani “democratici” in servizio permanente effettivo, dove sono? Sempre pronti a sposare battaglie di civiltà in nome dei diritti umani, dimostrassero la loro buona fede con le opere e si adoperino per restituire la dignità dovuta al Generale Kanzler. Se davvero ‘Roma Capitale’ deve essere l’inizio di un percorso teso alla pacificazione e alla ricucitura di strappi passati, allora le condizioni infamanti di quella cappella non possono essere tollerate un minuto di più. Per questo chiediamo al Sindaco Gianni Alemanno (l’unico che ha l’autorità per intervenire) di concedere la giusta dignità al riposo delle spoglie mortali di questo eroe ‘dimenticato’.

LA SCHEDA

Hermann Kanzler (Weingarten, 28 marzo 1822 - Roma, 6 gennaio 1888) è stato un militare tedesco e comandante delle guardie dello Stato pontificio durante la presa di Roma del 1870. Dal 1865 era pro-ministro delle armi e comandante supremo delle forze pontificie. Kanzler nacque in una cittadina nei pressi di Karlsruhe da Max Anton, un impiegato dell'amministrazione fiscale del Granducato di Baden. Più tardi la famiglia si trasferì a Bruchsal, dove il ragazzo trascorse la sua giovinezza. Cominciò il suo servizio nel corpo dei dragoni a Karlsruhe, dopodiché entrò nelle file dell'esercito pontificio. Nel dicembre 1843 rassegnò definitivamente le sue dimissioni dall'esercito granducale. Kanzler entrò nell'esercito papale nel 1845, combatté nel 1848 contro l'impero austriaco nel corso della I guerra d'indipendenza e nel 1859 fu nominato colonnello del primo reggimento dell'esercito pontificio; in seguito, l'anno successivo, fu promosso Generale dall'allora comandante in capo Lamoricière, in riconoscimento delle sue audaci azioni a Pesaro ed Ancona contro l'esercito piemontese nel corso della II guerra d'indipendenza. Nell'ottobre 1865 divenne comandante supremo delle forze armate pontificie e proministro delle armi. Il 3 novembre 1867 comandò l'esercito papale a Mentana e sovrintese la difesa di Roma nel settembre 1870. Dopo la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale del Papa, Kanzler continuò ad essere nominalmente proministro fino al 1888 e rimase ad esercitare le sue funzioni di comandante in capo delle truppe e le armi papali, anche se solo simbolicamente. Al Generale fu conferito anche il titolo nobiliare di barone von Kanzler. Sposò una donna dell'antica famiglia comitale romana dei Vannutelli, che di lì a poco avrebbe dato alla Chiesa due Cardinali. Fu a lungo nel consiglio del Campo Santo Teutonico e fu amico del direttore dell'ente, Anton de Waal. Il figlio di Kanzler, il barone Rudolf Kanzler (nato il 7 maggio 1864) fu l'archeologo capo della Santa Sede e, fin dal 1896, fu membro della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra; considerato il "più abile conoscitore della topografia di Roma antica", ebbe una parte di primo piano negli scavi effettuati sotto la Basilica di San Pietro e nelle catacombe.

http://www.papanews.it/dettaglio_approfondimenti.asp?IdNews=15377

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