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L'ultima partigiana

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http://www.gdp.ch/cultura/la-storia-di-una-delle-ultime-partigiane-viventi-id106530.html

Cultura - Testimonianza
La storia di una delle ultime partigiane viventi
Antonietta Chiovini oggi ha 89 anni e abita a Biganzolo sul Lago Maggiore. All'inizio della guerra era fascista, come il resto della sua famiglia. Adolescente a Verbania, un prete la convinse ad entrare nella Resistenza. Aiuto' molti ebrei a mettersi in salvo nel nostro Paese.

di Christian Doninelli e Giovanni De Vito - 17 gennaio 2016

Antonietta Chiovini, 89 anni, vive a Biganzolo (VB) e ammette senza imbarazzo: all'inizio della seconda Guerra mondiale era fascista, come del resto tutta la sua famiglia. Nel 1940, adolescente a Verbania, citta' ai bordi del lago Maggiore, fara' un incontro decisivo. Un prete la convince ad entrare nella Resistenza. A rischio della sua vita, accompagnera' molte famiglie ebree perseguitate verso la Svizzera. Oggi la signora Chiovini e' una delle ultime partigiane viventi nella regione. Dopo settant'anni di silenzio ha deciso di raccontarci la sua storia.

Perche' proprio oggi ha deciso di raccontare la sua vicenda?
Quasi tutte le mie compagne sono scomparse, e' giusto che racconti adesso. Sono rimasta zitta per molto tempo, per pudore, perche' era una storia personale.

Lei era una giovane adolescente, perche' decise di entrare nella Resistenza?
I miei genitori erano fascisti e anch'io lo ero. Eravamo sette fratelli ma solo io e mio fratello Nino entrammo nella Resistenza, gli altri erano piccoli. Poi un giorno, mio padre che lavorava alla Cassa di Risparmio di Verbania, venne trasferito a Cuggiono vicino Milano e li' conoscemmo un prete antifascista, don Giuseppe Albeni, che radunava la sera tutti noi giovani. Si discuteva, si rifletteva e ci ha fatto capire cos'era il Fascismo.

Quali furono i primi incarichi nella Resistenza?
Il primo lavoro che ho fatto e' stato a Cuggiono e dintorni nel '43; assieme a mio fratello andavamo di nascosto a fare delle scritte sui muri. Il mio nome di copertura era "17" perche' avevo diciassette anni. Allora ero anche poco colta; una volta dovevo scrivere su un muro che il segretario politico di Cuggiono era un grassatore. Non sapevo cosa volesse dire grassatore, che era colui che rubava i soldi alla gente, un bandito. Don Albeni ci mandava qua e la' a fare queste cose. Lui voleva ricostruire la Democrazia Cristiana che a quei tempi era il Partito Popolare. Io ero molto giovane e non avevo ancora una visione completa per capire le cose politiche. Con don Albeni siamo andati a parlare con tutti i preti della montagna perche' lui diceva che era necessario stare vicino ai partigiani e quando sarebbe caduto il fascismo bisognava ricostruire il partito cattolico. Venne catturato e messo in prigione a Novara con l'accusa di aiutare i partigiani. Durante l'interrogatorio gli chiesero se mi conosceva. Ovviamente nego' e poi riusci' a farmi arrivare la notizia che ero in pericolo e che mi dovevo nascondere. Alla fine venne rilasciato e trasferito nella diocesi di Varese.

Oltre alle scritte sui muri, avete avuto altri incarichi?
A quei tempi, tutte le informazioni erano sotto il controllo del Fascismo. Per evitare la censura, la Resistenza diffondeva le notizie attraverso due giornali, l'Unita' e il Ribelle. Io avevo il compito di prendere i giornali in un'osteria in via Orti a Milano e consegnarli ad una signora che faceva le pulizie nei cinema. Lei poi li infilava tra le poltroncine pieghevoli del cinema. Altre volte li portavo ad una tintora e lei li nascondeva nei vestiti dei clienti. Oppure portavo i giornali a Saronno, li consegnavo al capo stazione e lui li dava ai ferrovieri che li distribuivano nei treni.

Quali rischi correvate?
Come minimo si rischiava di essere violentate, torturate, deportate in Germania e se eri fortunata, ti uccidevano subito.

I suoi genitori sapevano che lei e suo fratello eravate nella Resistenza?
Si', e per questo mio padre ha rischiato la fucilazione. Una spia infiltrata tra i partigiani lo aveva denunciato e fatto arrestare per colpa nostra. Assieme ad altre tre persone si trovava davanti al plotone di esecuzione per essere giustiziato quando, per puro caso, uno dei capi fascisti lo riconobbe, perche' lavoravano nella stessa banca, e gli chiese: "Tu cosa ci fai qui?". Mio padre rispose che due dei suoi figli erano entrati nella Resistenza. All'ultimo minuto, il gerarca fascista salvo' la vita a mio padre. Gli altri tre vennero fucilati.

Che importanza hanno avuto le donne nella Resistenza?
Se non ci fossero state le staffette, i partigiani rimanevano isolati perche' non potevano scendere dalla montagna ne' girare liberamente, mentre noi donne ci spostavamo anche di notte e se i fascisti ci fermavano, raccontavamo loro una balla, che magari stavamo andando a cercare un dottore perche' la mamma stava male. Poi io ero una ragazzina e non destavo sospetti. Portavamo da mangiare ai partigiani, farina, riso. Alcune volte li accompagnavo dal fotografo per fargli fare le nuove foto per i documenti falsi e poi trasportavo le armi.

La popolazione era ostile nei vostri confronti?
No al contrario! La gente ci aiutava. Una volta avevo preso il treno per Laveno e poi dovevo prendere un traghetto. Avevo una valigiona pesante con dentro un fucile mitragliatore smontato e quando scesi dal treno la valigia si apri' e caddero i pezzi. Mi sentii gelare il sangue. Pensai tra me e me: "E' finita! Adesso mi ammazzano!". In quell'attimo la gente si strinse attorno a me per coprirmi ed io raccolsi i pezzi del mitragliatore e scappai.

Lei ha aiutato dei perseguitati a fuggire in Svizzera?
Tra Milano, Busto Arsizio e Gallarate adunavo i nuovi partigiani e li accompagnavo in montagna. Poi c'erano dei soldati alleati scappati dal campo di concentramento vicino Novara e li aiutavo a passare in Ticino, ne avro' accompagnati circa una trentina ed era la cosa piu' pericolosa. Ho accompagnato anche molte famiglie di ebrei verso la Svizzera, saranno state circa una cinquantina di famiglie e non capivo perche' li considerassero diversi da noi perche' parlavano il milanese come noi! (ride). Ma c'erano le leggi razziali e loro fuggivano perche' perseguitati.

Dopo la guerra vi siete rivisti con queste famiglie?
Raramente. Anche perche' noi non conoscevamo i loro nomi e loro non conoscevano i nostri. Mentre con alcuni contrabbandieri svizzeri ci siamo rivisti a Verbania perche' loro hanno continuato i loro traffici. Trasportavano il salgemma perche' qui non c'era il sale e rientravano in Svizzera col riso. Ci siamo rivisti qualche volta con le figlie della famiglia ebrea Pontremoli di Lugano.

Come venivano organizzati i trasferimenti?
Nel '44 ci recammo per due volte clandestinamente ad Ascona in Svizzera assieme a mio fratello Nino e al comandante Marco. Li' incontrammo il capo dei contrabbandieri svizzeri che si chiamava Thoman, per organizzare la logistica del trasferimento dei nostri partigiani che uscivano dai campi del Ticino e che ritornavano a combattere dopo i tragici rastrellamenti dell'Ossola. Avevamo preso in affitto una villetta sopra Ascona per ospitare i partigiani, lo chiamavamo posto 24. A Castagnola siamo stati anche ospiti della Principessa Caracciolo perche' il figlio Carlo era partigiano con noi nella Battisti e sua sorella e' la Principessa Marella. Pensa che al mattino veniva il maggiordomo ad accendermi la stufa nella stanza per fare il bagno. Io che ero abituata a vivere nelle baite! (ride).

Quanto tempo ci impiegavate?
Ci volevano due giorni di cammino partendo da Scareno attraversando la Valle In
trasca, poi la Cannobina si saliva al passo del Limidario che era oltre i 2000 metri e c'era tanta neve e freddo. Da li' scendevamo a Brissago, poi ad Ascona, Locarno e Lugano.

Chi erano gli interlocutori in Svizzera?
Tre contrabbandieri. A Brissago ce n'era uno, si chiamava "Baccala' ", un altro che era di Locarno e si faceva chiamare "Leone". Diceva di essere il figlio del sindaco di Locarno e che non poteva rientrare in Svizzera perche' aveva fatto la guerra in Spagna. Poi Thoman ad Ascona che era il capo di tutti i contrabbandieri. Sempre al posto 24 di Ascona, abbiamo ospitato e poi accompagnato in Italia Giovanni Gronchi, comandante dei partigiani del nord d'Italia. Quando lo accompagnai da Scareno ad Esio, per ringraziarmi mi regalo' la sua giacca a vento. Dopo la guerra venne eletto Presidente della Repubblica Italiana.

Perche' avevate scelto i contrabbandieri?
Perche' conoscevano bene i sentieri non controllati dalla polizia di frontiera. Ma siccome non ci fidavamo di loro, ogni volta che facevamo dei trasferimenti di persone, mandavamo sempre un nostro partigiano.

Che ricordo ha della Svizzera?
Quando siamo arrivati la prima volta in cima al Monte Limidario, ci siamo guardati in faccia con Marco e mio fratello e abbiamo esclamato con gioia: "Qui non c'e' piu' la pena di morte!". La Svizzera era tutta illuminata mentre da noi c'era il coprifuoco, tutto al buio. Poi a Lugano sono andata al cinema e ho visto Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin mentre in Italia era censurato. Gli svizzeri avevano una paura tremenda perche' i tedeschi volevano far saltare la galleria del Sempione e le dighe idroelettriche della Val Formazza, che forniva elettricita' alla Svizzera. E' stato grazie ai nostri partigiani della Val Grande Martire, che a Varzo, nella notte fra il 21 ed il 22 aprile del '45, disinnescarono le 60 tonnellate di esplosivo piazzate nella galleria e pronte ad esplodere. L'operazione salvo' il tunnel dalla distruzione e la Svizzera continuo' a mantenere i collegamenti con l'Italia.

A me queste storie convincono poco...delle convinzioni politiche di una adolescente negli anni '40 ancora meno. A sentire gli anziani che hanno vissuto la guerra a quei tempi non ci si poteva fidare ne dei fascisti, ne degli antifascisiti (specie quelli dell' ultima ora di entrambi gli schieramenti), anzi...qualcuno qui in paese racconta (giuro) che i più seri erano i tedeschi! Boh...mi piacerebbe chiedere alla signora cosa ne pensa della politica italiana degli ultimi 30 anni...visto che essere antifascista ed ex partigiano sembra essere prerogativa essenziale per salire al potere.

[quote="annibale51"]A me queste storie convincono poco...delle convinzioni politiche di una adolescente negli anni '40 ancora meno. A sentire gli anziani che hanno vissuto la guerra a quei tempi non ci si poteva fidare ne dei fascisti, ne degli antifascisiti (specie quelli dell' ultima ora di entrambi gli schieramenti), anzi...qualcuno qui in paese racconta (giuro) che i più seri erano i tedeschi! Boh...mi piacerebbe chiedere alla signora cosa ne pensa della politica italiana degli ultimi 30 anni...visto che essere antifascista ed ex partigiano sembra essere prerogativa essenziale per salire al potere.[/quote
Anche a me in montagna hanno detto che i tedeschi erano i migliori, che venivano a suonare ed organizzavano feste da ballo.
Ovviamente da una parte e dall'altra non erano tutti uguali.

A mio nonno lo hanno risparmiato trovandolo ad ascoltare radio londra. Ma non è sempre andata così.

Mio nonno, punto' una pistola ad un soldato tedesco, una 7,65, il soldato tedesco che stava requisendo i viveri che i paesani avevano trafugato dalle caserme abbandonate, se ne ando' senza ritornare con i rinforzi o facendolo saltare in aria. Misteri della guerra.

Mentre con alcuni contrabbandieri svizzeri ci siamo rivisti a Verbania perche' loro hanno continuato i loro traffici. Trasportavano il salgemma perche' qui non c'era il sale e rientravano in Svizzera col riso.

...e Berta filava... .

Ed era solo ieri!

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