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«Sotto le bombe», viaggio in taxi nel Libano della guerra


Tao
 Tao
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Girato nei giorni dell'attacco israeliano, il film di Philippe Aractingi, tra fiction e realtà, restituisce il dolore di un paese

«Realizzare un film sotto le bombe era la sola arma che avevo per esorcizzare la mia paura». Così Philippe Aractingi racconta il suo Sous les bombes, e in effetti il secondo film del regista franco-libanese, autore di una quarantina di documentari e del musical di grande successo (purtroppo mai giunto in Italia) Bosta, è una «finzione» la cui messinscena viene continuamente destabilizzata dalla realtà. Tangibile, violenta. Luglio 2006, il Libano nei giorni dell'attacco israeliano. I bombardamenti devastano l'intero paese. Una donna arriva a Beirut da Dubai il giorno della tregua. Cerca di raggiungere il sud, la zona più selvaggiamente colpita, è lì che si concentra la presenza degli hezbollah cacciati dall'esercito israeliano, per ritrovare il figlio e la sorella. Nessuno accetta di accompagnarla, le strade sono pericolose, i ponti distrutti, finché un taxista la prende. La donna è sciita, l'uomo è cristiano, basterebbe questo a dirci la storia del Libano ... La donna è distrutta dall'ansia, l'uomo cerca di calmarla con la musica della radio. Il viaggio è duro, quasi impossibile, le cose di tutti i giorni come trovare un hotel diventano imprese epiche. Ambiguo all'inizio, pronto come tanti altri a speculare sulla guerra, il taxista si rivela pian piano anche lui coi suoi fardelli, il fratello che in passato aveva collaborato con gli israeliani.

Il riferimento di Aractingi è quasi esplicitamente Rossellini di Germania anno zero, con la realtà che «invade» e permea la struttura della finzione: lì erano le macerie naziste in presa diretta, qui sono le bombe israeliane che fanno esplodere un paese in cui decenni di guerra civile (alla quale peraltro Israele non è stato estraneo, e non solo col massacro di Sabra e Chatila) hanno lasciato un'instabile fragilità. Macchina da presa in spalla, niente trucco né set costruiti, Aractingi si muove vicino ai suoi attori/personaggi, la sublime Nada Abou Farhat e Georges Khabbaz altrettanto efficace, rinchiusi nella stanchezza dell'angusta automobile o nelle stanze d'albergo che li obbligano all'intimità. Intorno a loro il mondo della guerra, quello che ci mostrano senza volto, ormai quasi dei «figuranti» i tg e l'informazione: profughi, giornalisti, militari, associazioni umanitarie... I piani scivolano l'uno nell'altro, i personaggi divengono persone, i gesti e le cose cambiano di senso: seduzione, potere, sesso, denaro sono prove di vita in mezzo alle rovine e al lutto, alla miseria di un'«economia della guerra» che non è solo questione di traffici ma è qualcosa che si imprime nel cuore, nella testa, che ha segnato intere generazioni.

La scommessa di Aractingi comincia dalla rappresentazione, riguarda la sincerità possibile nel confronto con la guerra che sembra ormai formattata dalle immagini dominanti. «Documentando» la vita si trasforma in elemento narrativo ma questo non significa che il regista ne faccia un uso emozionalmente ammiccante. Non ci sono macerie e nemmeno cadaveri nel film, la forza del racconto è il suo pudore e la sua continua tensione all'onestà.

C.Pi.
Fonte: www.ilmanifesto.it/
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/03-Maggio-2008/art59.html
3.05.08


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