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Come lobotomizzare la Raf e farne un film


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Mentre gli studenti cancellano le «sinistre vibrazioni» del festival...
Mentre il red carpet diventa davvero rosso e torna in mano al popolo più vispo di Roma, in gara «La banda Baader Meinhof» di Uli Edel. Vi si raccontano con omissis moventi rapine e omicidi della Frazione Armata Rossa: il «rogo Springer», le esecuzioni von Drenkmann, Buback, Ponto e Schleyer, il rapimento Lorenz, i tre morti all'ambasciata svedese, il caso Prinzing...Ma chi iniziò?

Der Baader Meinhof Komplex di Uli Edel, film sulle lotte anti imperialiste nell'ex paese di Hitler, si attiene ai fatti storici, e non alle opinioni, affermano i responsabili. Ma racconta un florilegio di falsità nascoste da un'abile plastica facciale. E omette troppi fatti. Infatti il film è basato su un viluppo ancora non sciolto del nostro passato, non solo europeo, troppo complesso (lo dice il titolo e lo dimostrarono stupendi film dell'epoca, Germania in autunno, Sorelle...) e così pieno di omissis, da ingolfare qualunque spettacolo adrenalinico manierista. Invece si utilizza con disinvoltura la struttura a-b-c-d ovvero la solita ricetta narrativa: nascita del conflitto, sue complicazioni e crescita, sconfitte e trionfi reciproci...e alla fine il bene trionfa...
Così stereotipata è la dicotomia tra il buono e il cattivo, tra è il «maiale» Bruno Ganz, il mefistofelico supercapo della polizia, che sbriciolerà il male, una banda di ex idealisti charmant e ingenui, che usando mezzi disumani a fin di bene, si dannano, fino alla totale sconfitta e allo strano «suicidio seriale» (mai provato, del resto).

Il tutto è sostenuto, a parte una song di Joplin all'inizio e una di Dylan alla fine, dalle musiche pervasive e trapananti di Peter Hinderthur e Florian Tessloff che chiudono, proprio come succedeva nella cella di Stammheim, qualunque possibilità di riflessione critica e di respiro «umano».
A proposito. Non si fa cenno delle torture subite in carcere da tutti i membri della Raf; dell'uccisione del cineasta Holger Meins, fatta passare per terapia compassionevole - chiedete la versione del papà di Meins a tal proposito; del tumore al cervello di Ulrike Meinhof, curato con la lobotomia. E della foto di Meins, dopo lo sciopero della fame, con il corpo ridotto a «mucchio di ossa da Auswitsch», non v'è traccia.

Che tutta la furia degli studenti tedeschi guidati da Rudy Dutschke (a cui Sebastian Blomberg offre un volto e un corpo più rigido di quelli di Raspe e Mahler) nasca poi da una azione teppistica di supporter iraniani dello scià, fiancheggiati da un poliziotto cretino cui scappa un colpo, e da un nazi fanatico che spara a Duschke, invece che dalla scoperta che tutta la struttura dominante del paese fosse completamente in mano agli ex nazisti (non solo i colpiti dalla Raf, anche Helmut Schmidt) mentre i comunisti venivano imprigionati invece che glorificati, non è omissione da poco della storia ufficiale non contestata dal film.
Fuori concorso al festival, e buon successo commerciale in Germania, forse perché i «comunisti armati degli anni 70» sono disegnati in modo più cool del solito, quasi strafottenti teddy boy e gangsta girls, dandy tarantiniani dell'autovalorizzazione invece dei soliti intollerabili, fanatici noiosi fantocci, il film cerca di afferrare l'anima di un libro-cronaca degli eventi, scritto nel 1985 da Stefan Aust (ex Der Spiegel).

Gli autori (Bernd Eichinger produce e cosceneggia con Edel) vengono dalla scuola di cinema di Monaco di Baviera (alcuni dei protagonisti delle vicende narrate, come Holger Meins, per esempio, era invece allievo della rivale scuola di Berlino - Rondi facceli vedere i suoi capolavori! - e la stessa Ulrike Meinhof, oltre che giornalista famosa, aveva diretto film, idem). Uno stato, la Baviera, che peggiorò con leggi ancor più restrittive il Berufverbot, introdotto federalmente nel 1972 dal cancelliere Spd Brandt, col pretesto della lotta al terrorismo e che escluse dai pubblici impieghi chi era ritenuto un pericolo per lo Stato. Un esempio? L'uso del termine capitalismo era vivamente sconsigliato e da sostituire con economia di mercato. L'uso della parola comunista non ne parliamo. Sembra che questi due ragazzi-cineasti siano stati talmente «lobotomizzati» all'epoca nella terra dominata dai cristiano democratici di Strauss, da riuscire nell'impresa di non nominare mai la parola «comunista» (sostituita dall'impreciso anarchici) per i 131' del film.
Attenersi ai fatti, mettere fuori quadro il confronto politico dell'epoca sembra metodo corretto, affinché il pubblico decida. Invece lo è meno di quanto non si pensi. Infatti solo se il punto di vista sulla storia e sulla Storia che si racconta è esplicito, ha un senso censurare, semplificare o omettere o aggiustare i fatti che dicevamo, o modernizzare, come si fa, il linguaggio dell'epoca «affinché i giovani di oggi capiscano meglio» (invece è la paura a trasformare Baader-Meinhof, analisti poco conseguenti della politica criminale di Bonn, in nerd e nudista). Quando invece si pretende l' oggettività, si spaccia il falso. Così le cose non quadrano quando un film Bignami sui 10 anni di movimento autiautoritario in Germania - dall'uccisione nel '67 di Benno Ohnesorg, durante una manifestazione contro la visita dello scià di Persia, fino al 17 ottobre 1977 quando, tra la liberazione a Mogadiscio degli ostaggi dell'aereo Lufthansa e due giorni prima l'assassinio del capo della confindustria tedesca Hanss Martin Schleyer, verranno ritrovati nelle loro celle i corpi senza vita di Baader, Ensslin e Raspe - offusca i legami con la Ddr e non ricorda, magari in didascalia finale che Horst Mahler, l'avvocato marxista che traghettò la Raf da Al Fatha, è oggi leader di un partito neonazista, e che il notorio nazista svizzero Francois Genoud, pagò quella vacanza. Non bastava allora Baader di Roth (2002)?

Uli Edel, ora residente a Los Angeles, è in piena rieducazione estetica a forza di miniserie tv Usa, dopo due successi, se non altro originali, negli anni passati, Christine F. e Last exit in Brooklyn, entrambi scritti col braccio destro Berndt Eichinger. E cerca inutilmente di dare il suo contributo di immagini alla moda Raf, imposta per cancellare la vera storia di come fu assassinato (i metodi sono quelli che ha spiegato Cossiga anche ieri a tutti) il movimento anti autoritario e anti imperialista in Germania.

Roberto Silvestri
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Ottobre-2008/art55.html
25.10.08


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