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Morozko 1964 - Aleksandr Rou


GioCo
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Morozko (Russian: Морозко, Morózko) è un film russo (Gorky Film Studio) prodotto nel 1964 che si basa su una fiaba omonima nota anche in inglese come "Jack Frost".

Trattasi di un racconto dal tipico intreccio mitologico di derivazione classica greca e latina, con la canonica conclusione positiva "e vissero felici e contenti". La fiaba è di quelle tipiche originarie dei piccoli paesi rurali dispersi nelle vastità delle campagne di quache secolo fa, raccontate a lume di candela tra i fienili o vicino al fuoco nei casolari d'inverno, nell'attesa del periodo propizio per il lavoro nei campi. Questa versione in pellicola è però persino troppo zuccherosa per aderire fedelmente all'originale, dato che nei luoghi in cui erano raccontate, non veniva mai garantito un lieto fine (ad esempio "Cappuccetto Rosso" di Perrault del 1600, verrrà modificata dai Grimm nel 1800 con un finale positivo). Il registro moraleggiante è quello dei film di quell'epoca, in linea con le tendenze a noi più note della Disney, cioé piene di quell'overdose stucchevole di "buonismo a tutti i costi" che ha accompagnato il mondo per alcune generazioni. In sintesi Marozko è la storia di una ragazza orfana di madre ma adorata dal padre, Nastenka, che condivide la sua dimensione domestica con una matrigna che adora invece solo sua figlia, la sorellastra Marfushka. Nastenka viene per ciò quotidianamente maltrattata e coperta di epiteti dalla matrigna quali "strega" e "vipera", oltre che obbligata ai lavori più assurdi, dato che la stessa ha totalmente sottomesso il padre, in aderenza ai canoni del "modello cenerentola".

Potremmo concludere qui la nostra disamina, ma vale la pena approfondirla per alcuni aspetti che fanno di quest'opera (credo) una delle più inquetanti che si possano vedere oggi.

Il primo aspetto riguarda ciò che filtra in trasparenza nella pellicola, un modo di pensare che per noi è oggi quasi del tutto sconosciuto. La protagonista, Nastenka, letteralmente comanda il ciclo del sole e la crescita della vita (chiede al sole di concedergli altre ore di buio e fa spuntare i fiori dove non dovrebbero stare) ma non lo fa imponendo la una sua propria volontà, "chiede" e "prega" il sole o esegue l'ordine impartito di "innaffiare un tronco morto finché non spuntano dei fiori" e l'ambiente la accontenta, sia che la ragazza fa richiesta, sia che rimanga in silenzio, sia persino che neghi l'evidenza "d'aver bisogno" per pura cortesia. Nei tre aspetti, emerge quindi la modestia così come aderisce ai modelli teorici antichi, modelli preverbali e quindi non strettamente ragionabili rispetto a una semantica bidimensionale (vero e falso, segno e significato) nel senso che si aggiungono conoscienze tacite in essere che possono essere trasmesse principalmente con l'esempio e condivise dal momento che c'è un esperienza comune a cui rifarsi. Si tratta di una semantica "situazionale" e che quindi può essere compresa appieno dalla tradizione che fa scrorrere attraverso le generazioni i significati, "la lettura" degli accadimenti.

Per capire meglio si prenda in considerazione la "legge" delle cause e delle conseguenze. Noi siamo abituati a seguire percorsi di pensiero e decodifica che cercano cause univoce e si focalizzano su conseguenze univoche. Quindi se spingo leggermente con un dito un bicchiere, lo sposto dalla sua posizione sul tavolo. Questa semplificazione ci permette di studiare i fenomeni. Tuttavia pone anche una serie congrua di limiti. Ragioniamo per assurdo. Se agito la mano in aria e il bicchiere (ogni volta che lo faccio) si sposta, potrei pensare (a mente a perta) che l'effetto è un fenomeno che ha quell'origine. Quindi il bicchiere si può spostare in più modi. Se a un certo momento vedo un bicchiere spostarsi "da solo" e ho l'esperienza sia della spinta con il dito che agitando la mano, quale delle due cause andrò ad associare? Questo esempio ci porta a capire che la mente non lavora per associazioni letterali, per logiche astratte e calcolate infilate come le perline una dietro l'altra in una collana di agenti cogenti interdipendenti, certi sicuri e definiti da Dio, ma per associazioni calcolate dall'empirismo che parte da premesse potenziali molteplici e giunge a decadere (nell'unico stato osservato) in un tempo e in un luogo "hit et nunc" per fuggire verso destinazioni infinite. Un unico istante che ogni volta concentra connessioni di significato infinite. Tutti i significati dispersi nell'oceano delle possibilità passate e future.

Tornando al film, verrebbe per esempio a noi da chiederci, perché se Nastenka può fare miracoli, non chieda semplicemente che la sua situazioni migliori e che la matrigna prenda coscienza e smetta di essere inutilmente crudele nei suoi confronti. Sarebbe infatti compatibile con la "logica biunivoca", le basterebbe pregare o comunque esercitare la stessa modestia che rivolge al sorgere del sole o ai fiori e se ci è dato che le cause seguono degli effetti, questa dovrebbe ripeterli funzionalmente al miglioramento della sua situazione. Eppure il sole non rispetta la volontà della richiedente perché la sua condizione venga modificata ma perché la volontà paradossale della matrigna sia rispettata (nel caso specifico la prima richiesta è che termini una calza di lana destinata alla sorellastra prima dell'alba, ma lavorando a mano con i ferri di notte al freddo e all'esterno della casa, alla luce della luna). Questo ha l'effetto di rispettare il contratto sociale. Nastenka infatti non ha il favore sociale catalizzato sempre su di sé perché profitta del sua capacità di esercitare miracoli, ma proprio perché rinuncia al suo tornaconto. Nastenka è al servizio della società (e quindi in subordine e nel suo caso specifico al rispetto della volontà dei genitori) a prescindere da quanto la richiesta sia assurda e quindi non valuta la richiesta ma la sua capacità di farla accadere.

Questa "condizione" che a noi può apparire (e in effetti è così) crudele, ha però dei risvolti notevoli. Oltre al favore sociale che la ragazza catalizza su di sé e ai miracoli di cui abbiamo già accennato, alla fine tutto ciò che conduce verso esiti auspicabili accade perché ai personaggi è data continuamente l'opportunità di esercitare la ragione e la forza, generando significato. Diremmo noi metaforicamente (per capirci) che "lo spirito" è forgiato sull'incudine divina, per produrre forza spirituale, cioé lettura concentrata (significativa) dell'accadimento, non in modo astratto, ma per "conoscienze tacite", cioè sia sorde che cieche, prive di ritmo e immagine propria di questa nostra realtà, ma non senza un proprio ritmo e una propria immagine.

Un altro aspetto è che solo uno (la protagonista) compie sempre la scelta giusta per ottenere ogni successo, indipendentemente dall'esercizio, cioè dalla privazione, dalla fatica e dalla difficoltà che richiede. Tuttavia tutti gli altri non falliscono in quanto l'esercizio a loro assegnato è troppo difficile.

Per ciò nella versione di questa fiaba è come se colui che può risolvere esercizi banali, può risolvere qualsiasi altro evento, mentre colui che non sa risolvere l'esercizio banale, permane nell'impotenza (spirituale). Per ciò lo stato di impotenza spirituale (vissuto come disagio), chiede forza materiale per superare la prova che esprime una "funzione cumulativa" che diventa materialmente antitetica a quei significati più deboli.

Non si tratta quindi della ragione ragionevole superiore (astratta) o del forte forte che vince sempre (concreto), ma di due piani distinti dove gli accadimenti devono
trovare accordo: il primo è "spirituale" e da esso deriva il significato, l'altro e quello materiale dove deriva la semplice esperienza priva di ragione. Solo con la sovrapposizione di queste due abbiamo la forza forte della ragione, l'unica e quella sempre corretta per definizione.


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Truman
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Ricevuto il messaggio. Ci medito su. Non sono temi a cui rispondere al volo. Anche una riflessione di mille anni potrebbe essere frettolosa.


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