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Il potere illusorio della folla


Tao
 Tao
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Codici Aperti. «Le menzogne del web» di Charles Seife per Bollati Boringhieri . Diffusione di notizie false, furti di identità, insulti come pratica diffusa. La critica alla Rete con il rimpiano dell’autorità perduta del giornalismo

C’era un tempo in cui le infor­ma­zioni, una volta assem­blate e ela­bo­rate, erano spac­ciate come veri­tiere. I cer­ti­fi­ca­tori che garan­ti­vano la loro esat­tezza erano inse­riti in un dispo­si­tivo che pre­ve­deva una veri­fica della loro fon­da­tezza e la con­se­guente pos­si­bi­lità di una revi­sione. I gior­na­li­sti le pro­du­ce­vano in base a un deca­logo di regole che ave­vano, nelle gerar­chie esi­stenti nei media, un fat­tore di con­trollo. La catena gerar­chica era com­po­sta da capo­re­dat­tori, diret­tori e financo l’editore poteva inter­ve­nire per modi­fi­care quanto scritto o fil­mato. Nei manuali di sto­ria del gior­na­li­smo sono stati spesi fiumi di inchio­stro sugli stru­menti di auto­go­verno dei media e sull’esistenza di leggi che garan­ti­vano il pub­blico attra­verso un sistema di norme e san­zioni – le que­rele per dif­fa­ma­zione, la richie­sta di ret­ti­fica, l’indennizzo -: fat­tori, tutti, fina­liz­zati alla cor­ret­tezza e alla veri­di­cità dell’informazione stam­pata, tra­smessa in tv o per radio. Anche la ten­sione tra verità e veri­di­cità svol­geva un ruolo non indif­fe­rente per garan­tire l’informazione da mani­po­la­zioni, espli­ci­tando così il dub­bio sull’oggettività e neu­tra­lità della infor­ma­zione dif­fusa. L’autogoverno dei media garan­tiva inol­tre l’esercizio del con­trollo sui poteri vigenti nelle società.

L’ospite inat­teso

Que­sta fabula, per quanto con­te­stata e cri­ti­cata, ha legit­ti­mato i media quali stru­menti indi­spen­sa­bili nella pro­du­zione dell’opinione pub­blica. Con la Rete, tutto ciò è andato in fran­tumi. Ogni uomo e donna pos­ses­sore di un com­pu­ter con­nesso al web diven­tava poten­zial­mente un pro­dut­tore di infor­ma­zione. L’autorità dei gior­na­li­sti ne è risul­tata ridi­men­sio­nata, tanto più se in Rete gior­nali, tv e radio pote­vano essere messi in discus­sione e con­te­stati. Il web poteva diven­tare il medium che eser­ci­tava il con­trollo sui cin­que poteri vigenti, com­presa la cri­tica ai media main­stream. Anche in que­sto caso, un’altra favola si è impo­sta nella discus­sione pub­blica: il «potere della folla» garan­tiva forme di cor­re­zione e modi­fica in tempo reale dell’informazione pro­dotta on-line.

Il potere auto­re­go­la­tivo della folla si è però rive­lato fal­lace. Molti i casi di infor­ma­zioni inven­tate e false dif­fuse; tan­tis­simi gli epi­sodi di imprese e governi nazio­nali che hanno assol­dato «mer­ce­nari» per com­pi­lare voci par­ziali per Wiki­pe­dia, l’esempio più noto del potere della folla in Rete. Impos­si­bile tenere il conto dei furti e delle false iden­tità che carat­te­riz­zano il flusso infor­ma­tivo on-line. Ricor­renti sono gli insulti e le noti­zie false su que­sto o quel per­so­nag­gio pub­blico e tal­volta famoso. Rispetto al «lato oscuro» del cyber­spa­zio va ripri­sti­nata una forma di auto­rità che cer­ti­fi­chi la cor­ret­tezza delle infor­ma­zioni. Ne è con­vinto Char­les Seife, autore del volume Le men­zo­gne del web pub­bli­cato da Bol­lati Borin­ghieri (pp. 239, euro 22).

Seife ha una for­ma­zione scien­ti­fica – è lau­reato in mate­ma­tica -, ma ha scelto come pro­fes­sione il gior­na­li­smo, arri­vando a inse­gnare gior­na­li­smo alla New York Uni­ver­sity. Nel suo lavoro di redat­tore e divul­ga­tore scien­ti­fico si è misu­rato con la ten­denza a spet­ta­co­la­riz­zare l’informazione scien­ti­fica, inter­ve­nendo spesso con­tro l’enfasi data ad alcune noti­zie riguar­danti ricer­che scien­ti­fi­che che di rivo­lu­zio­na­rio poco ave­vano, anche se erano spac­ciate come riso­lu­tive per la cura di que­sta o quella pato­lo­gia; o come un sov­ver­ti­mento radi­cale delle cono­scenze finora acqui­site in bio­lo­gia, fisica, chi­mica.
Il punto di forza delle sue argo­men­ta­zioni è sem­pre stato la neces­sità di riaf­fer­ma­zione delle capa­cità auto­re­go­la­tive della pro­fes­sione gior­na­li­stica come con­di­zione per le neces­sa­rie veri­fi­che delle noti­zie dif­fuse. Dun­que con­trollo sulle fonti, eser­ci­zio del dub­bio, messa a con­fronto di punti di vista e inter­pre­ta­zioni diver­genti. È dun­que espres­sione di quella «cul­tura» gior­na­li­stica che nel mondo anglo­sas­sone vede nei media gli stru­menti di una infor­ma­zione ogget­tiva della realtà. Com­pren­si­bile, dun­que, la sua dif­fi­denza nei con­fronti del flusso disor­di­nato e cao­tico di infor­ma­zioni e con­te­nuti della Rete.

In que­sto libro affronta alcuni temi «forti» della net­work cul­ture sta­tu­ni­tense. Il potere della folla, in primo luogo. Seife non disco­no­sce le pos­si­bi­lità di una «demo­cra­tiz­za­zione» dei media deri­vante dal pas­sag­gio del pub­blico da essere con­su­ma­tore pas­sivo a pro­dut­tore attivo di infor­ma­zione. Anzi, ritiene que­sta chance come un segnale di vita­lità del mondo dei media. Ciò che pro­pone tut­ta­via è il ripri­stino dell’intermediazione – il gior­na­li­sta — tra la realtà e la sua rap­pre­sen­ta­zione media­tica. I casi che cita di men­zo­gne e fal­sità vei­co­lati della Rete sono noti. Così come note sono le ope­ra­zioni com­piute dalle imprese per rico­struire un’immagine imma­co­lata dei loro pro­dotti, poli­ti­che azien­dali o per vei­co­lare infor­ma­zioni dan­nose su un con­cor­rente. Non man­cano nei suoi cahiers de doléan­ces le false recen­sioni pub­bli­cate su Ama­zon scritte dagli stessi autori di libri. L’analisi di Seife diventa pru­dente quando si tratta di ana­liz­zare i ten­ta­tivi di con­trollo e di disin­for­ma­zione com­piuti da que­sto e quel governo. E poco dice dell’uso della rete, in una com­mi­stione tra gior­na­li­smo d’inchiesta e mediat­ti­vi­smo, da parte di Wiki­leaks o di Edward Sno­w­den per denun­ciare l’intreccio tra cor­po­ra­tion glo­bali e governi locali per affari ille­citi, sui ten­ta­tivi di depi­stag­gio com­piuti dall’esercito Usa per coprire l’uccisione di civili da parte di sol­dati sta­tu­ni­tensi in zone di guerra; o sulle cor­ri­spon­denze tra amba­sciate e dipar­ti­mento degli esteri .

Un sistema integrato

Il pro­blema non è la sot­to­li­nea­tura delle men­zo­gne vei­co­late dalla Rete, ele­mento d’altronde pre­sente anche nei «vec­chi media», ma di come Inter­net abbia ricon­fi­gu­rato l’insieme del sistema infor­ma­tivo. Più che un ele­mento distinto da tele­vi­sione, carta stam­pata e radio, Inter­net è dive­nuta un media com­ple­men­tare ad essi. L’esempio più cal­zante è Twit­ter, dove un numero ster­mi­nato di cin­guet­tii sono dedi­cati al com­mento, alla segna­la­zione di quanto tra­smette il tubo cato­dico, l’etere o quanto viene pub­bli­cato dai quo­ti­diani. Più che un «meta­me­dia», come tal­volta è stato soste­nuto, Twit­ter è inter­fac­cia, canale di comu­ni­ca­zione, piat­ta­forma digi­tale che mette in stretta rela­zione il caos infor­ma­tivo della Rete e i media main­stream. Non è cosa ignota il fatto che i gior­na­li­sti scri­vano, discu­tano tra di loro, men­tre gli utenti del web inter­ven­gono, com­men­tano, cri­ti­cano. È que­sta com­ple­men­ta­rietà tra Rete e «vec­chi media» che ricon­fi­gura i ter­mini d
ella discus­sione sulle verità o le men­zo­gne dif­fuse attra­verso Inter­net. Ciò che rimane sullo sfondo del volume di Char­les Seife è «il modo di pro­du­zione» dell’opinione pub­blica. Dun­que della demo­cra­zia nelle società con­tem­po­ra­nee. Un pro­blema troppo grande da poter essere liqui­dato ripri­sti­nando l’autorità per­duta dei giornalisti.

Benefdettto Vecchi
Fonte: www.ilmanifesto.info
14.098.2015


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Non vedo la differenza da quanto ha affermato Umberto Eco.
Ormai l'acqua non è più calda, si è intiepidita.


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