Io, l’uomo nero
 
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Io, l’uomo nero


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Caro Giovanni,
sono il giornalista che ha raccolto e scritto il racconto di Pierluigi Concutelli, l’ex terrorista neofascista mai pentito che il 10 luglio del 1976 assassinò a Roma il giudice Vittorio Occorsio. Vorrei spiegare – se tu me lo permetti – le ragioni di un libro (il titolo è Io, l’uomo nero , edito da Marsilio) che già sta facendo discutere prima ancora di essere pubblicato.

Sono nato nel 1971 e appartengo a una generazione cresciuta negli anni di piombo ma lontana da quel periodo cupo per mentalità, visione del mondo, contingenze culturali e sociali. Io appartengo alla generazione di Drive in e dei fast food: immune, e io dico per fortuna, dall’estremismo ideologico e dall’uso sistematico della violenza politica. Distante anni luce dalle spranghe, dalle molotov e dai morti che hanno insanguinato un pagina ancora oscura della storia del nostro Paese. Ma la mia è anche una generazione che vorrebbe capire il perché di quegli anni terribili: le stragi che hanno fatto decine e decine di morti innocenti e le ragioni che stavano dietro agli editti firmati da raffinati intellettuali contro un commissario di polizia freddato, poi, a colpi di pistola. Sono domande alle quali soltanto le testimonianze dei protagonisti possono dare risposte. E non risposte giudiziarie, sia chiaro. Quelle spettano ai magistrati. Ma soltanto personali, politiche, storiche e sociologiche.

Ecco, allora, le ragioni di un libro intervista a Pierluigi Concutelli, responsabile non soltanto dell’omicidio del giudice Occorsio ma anche delle morti di due ex suoi camerati in odor di pentimento. Il libro è solo la storia di un uomo colpevole di reati gravissimi, che spero possa aiutare a capire – dando un punto di vista sicuramente parziale- perché giovani promettenti e colti, furono travolti da una follia ideologica e sanguinaria che li trasformò in assassini spietati. Tutti: neri e rossi. Comunisti e fascisti. Pentiti, dissociati e non pentiti.

Per questo mi ha stupito leggere l’articolo firmato su “Repubblica” da Miriam Mafai, una collega che ho sempre stimato per la sua lungimiranza e per la sua onestà intellettuale. La signora Mafai ha detto che a certi personaggi non può essere consentito di presentare un libro o partecipare a manifestazioni pubbliche. Facendo una differenza sostanziale tra gli ex terroristi pentiti e quelli che non hanno mai rinnegato il loro passato: i primi liberi di raccontare la loro storia, gli altri invece relegati nel dimenticatoio della memoria. Io credo invece fermamente che un assassino è sempre un assassino. Pentito o no, dissociato o no, poca importa. Ma non per questo debba essere costretto al silenzio, specialmente se le sue parole possono aggiungere una nuova tessera nell’ ingarbugliato mosaico degli “anni di piombo”. I fantasmi, gli incubi della nostra storia, non possono e non devono farci paura.

Giuseppe Ardica
Fonte: http://www.lastorianascosta.com/news.php
19.02.08


Citazione
mat612000
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Registrato: 2 anni fa
Post: 16
 

Sto leggendo con attenzione il tuo libro e apprezzo il lavoro che hai svolto, inoltre, anch'io sono rimasto poco piacevolmente sorpreso dall'articolo della Mafai di cui parli, soprattutto per la pretesa davvero assurda di pretendere il "pentimento" in funzione di attribuire a persone condannate per fatti di lotta armata, il diritto di raccontare la propria esperienza.
C'è però un cosiglio che vorrei darti per proseguire al meglio il tuo lavoro di raccolta di testimonianze.
Non confondere in un unico calderone magmatico definito "violenza" o, peggio ancora, "terrorismo" esperienze, lotte e movimenti che partivano da basi sociali, analisi politiche e ambienti culturali completamente differenti.
Questo è particolarmente evidente nel caso dell'eversione di destra, fenomeno, come racconta lo stesso Concutelli nel tuo libro, privo di analisi storiche e politiche, contraddistinto da un fortissimo individualismo, avventurismo e spirito di rivalsa, aspetti quasi completamente assenti nei movimenti armati "rossi".
L'uso della violenza e dell'omicidio come strumento di lotta politica non è una novità dell'Italia degli anni 70 e 80, ma tale strumento non può fare da comun denominatore di esperienze e processi storici completamente diversi, se ragioni in questo modo anzichè chiarire, confondi i tuoi interlocutori.
A conferma di quanto dico considera, ad esempio, la totale assenza di contatti e di arruolamenti da parte di movimenti come quello a cui aderiva Concutelli nella classe lavoratrice ed operaia, cosa che, al contrario avvenne per la formazione delle Brigate Rosse, almeno all'inizio della loro esperienza armata ben radicate nella realtà del lavoro operaio in fabbrica.
Quanto agli intellettuali che "tollerarono" certe posizioni ed esperienze, credo che sia un discorso molto vasto e separato dal precedente e che vada inserito in un male atavico della nostrana intellighenzia: il trasformismo unito al conformismo.


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mat612000
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Registrato: 2 anni fa
Post: 16
 

Ho terminato giusto ieri il libro e, onestamente, sono un po' deluso.
Concutelli non vuole o non può dire troppe cose e questo traspare in ogni pagina, se si aggiunge poi la sostanziale aridità e povertà delle analisi politiche e delle ideologie che hanno armato la mano del protagonista, il risultato finale è, purtroppo, quello di un'opera superficiale e di una testimonianza sul periodo della lotta armata, non particolarmente coinvolgente ed originale.


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