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Quali libri bruciare?


Tao
 Tao
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Nel suo ultimo articolo apparso su "L'Espresso", Roberto Saviano fa i conti col boom editoriale esploso intorno alla questione "camorra". Quale medico più indicato dell'autore di Gomorra, e cioè del libro-evento che il boom l'ha innescato, ad analizzare i pro e i contro di questo sintomo culturale? Soppesati i rischi della deriva modaiola e dell'inflazione d'interesse da un lato e l'urgenza di iniettare e far entrare in circolo il principio attivo dell'informazione dall'altro, quella di Saviano è una diagnosi critica ma, tutto sommato, positiva. «Può darsi che il chiasso possa essere assordante. Ma mai potrà essere più assordante di quanto sia stato il silenzio. E non mi importa fino a che punto l'interesse degli editori sia quello di sfruttare una tendenza o una moda. Anche una tendenza o una moda è frutto di un clima cambiato, di una domanda che chiede di essere esaudita». Giusto. Senonché, quando col solito sottilissimo acume osserva che «la pericolosità della parola non deriva da quel che è stato scritto, ma da ciò che viene letto», Saviano non affronta solo il fenomeno "Codice Camorra", ma tocca un nervo scoperto dell'attuale democrazia culturale.

È in scena in questi giorni presso il Teatro Argentina di Roma l'adattamento teatrale, ad opera di Luca Ronconi, di Fahrenheit 451, il capolavoro di Ray Bradbury. «Spesso scivolo come un serpente su una vettura della sotterranea a sentire che cosa dicono le persone. O nelle mescite di bibite dolci, e sapete che cosa ho scoperto?» «Che cosa?» «Che la gente non dice nulla.» «Oh, parlerà pure di qualche cosa, la gente!» «No, vi assicuro. Parla di una gran quantità di automobili, parla di vestiti e di piscine e dice che sono una meraviglia! Ma non fanno tutti che dire le stesse cose e nessuno dice qualcosa di diverso dagli altri.» La società affrescata dall'utopia negativa di Bradbury non sembra poi così distante dalla nostra. Per questo Farenheit 451 conserva ancora intatta la sua giovinezza e in ogni nuova generazione di lettori ridesta l'impressione di un libro scritto oggi, anzi scritto domani. Vuoto esistenziale, apatia emotiva, coscienze atrofizzate, chiacchiere preregistrate sono il desolante sfondo umano prodotto dall'abolizione dei libri in cui irrompe il grido di protesta di Montag, il suo "Non so proprio più nulla di nulla!".

La bulimia editoriale è sotto gli occhi di tutti. È evidente come, sebbene mantenga inalterata tutta l'attualità del suo allarme, i contorni dello scenario profetizzato da Bradbury non combaciano esattamente con la realtà di oggi. Un paese che le statistiche dipingono come abitato da un popolo di non-lettori, con un paradosso degno del miglior teatro dell'assurdo, sforna centinaia di volumi al giorno. Raccolte poetiche, romanzi e saggi ci invadono. L'Italia è una penisola bagnata dai libri. E questo non perché la nostra società abbia bandito dai propri confini ogni tentazione inquisitoriale. La censura esiste ancora, non ha mai smesso di esistere, ma oggigiorno opera in una forma molto più subdola. È la sindrome "Lazarillo de Tormes" denunciata in un'intervista di qualche anno fa dal poeta Filippo Davoli: «se pensa alla sorte subita dal Lazarillo de Tormes, le può sorgere un dubbio niente male… quel librino di picaresca era pericolosissimo, per il regime; sicché, lo stesso regime spinse alla pubblicazione di altrettanti libri di picaresca, simili al Lazarillo ma inoffensivi… capisce cosa voglio dire?».

L'editore Robin dà alle stampe una piéce teatrale di Amélie Nothomb, Quali libri ardere. Due uomini e una donna, esiliati in un appartamento assediato dalla guerra e dall'inverno, sono costretti dalla ristrettezza del tempo a loro disposizione e dall'urgenza concreta di scampare alla morsa del gelo ad affrontare l'indifferibile problema: quali libri consegnare all'abbraccio delle fiamme? Col solito piglio crudele e visionario la scrittrice belga ci indica come, sotto il pressing drammatico delle necessità materiali e nella saturazione culturale della società contemporanea, il focus della domanda si sia sensibilmente spostato dal «leggere?» al «cosa leggere?» scivolando nel suo inevitabile corollario: «quali libri bruciare?» Anche in questo caso c'è un romanzo che, nonostante i suoi quattro secoli di età, non cessa di dare fondo al suo messaggio moderno. Mi riferisco al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. La montagna di romanzi cavallereschi che hanno fatto impazzire il povero hidalgo è liquidata dal curato e dal barbiere con un gesto estremo: un bel fuoco acceso in cortile, un gesto di ecologia letteraria che – va detto – ha tutt'altro che il radicalismo di una condanna sommaria. La furia incendiaria dei due intraprendenti amici, alter ego di Cervantes non meno del Cavaliere dalla Trista Figura, non si abbatte sulla letteratura cavalleresca tout court, ma – così come il capolavoro cervantino che ne è il correlativo oggettivo – sulla sua deriva commerciale e di genere.

Non c'è dubbio che, se avesse potuto, un gran rogo letterario avrebbe appiccato Louis-Ferdinand Céline che, nei suoi Colloqui con il professor Y, mette da parte il miracolo della moltiplicazione dei pani per inveire contro "il miracolo della moltiplicazione dei libri". Proprio della "fenice" Céline, ripetutamente arsa dalle critiche feroci, dalle messe all'indice e dai ritiri dovuti all'ostilità suscitata dai suoi libelli antisemitici e ogni volta resuscitata – mercé il suo impareggiabile stile – dalle sue proprie ceneri, Einaudi rimanda in libreria, a breve distanza di tempo e secondo un ordine quantomeno opinabile, Da un castello all'altro e Rigodon, prima e ultima parte della celebre trilogia. Ritratti di un secolo e di un'Europa in fiamme. Libri da sottrarre a qualsiasi rogo e da portare con sé come viatico del nuovo millennio. A ricordarcelo nella poesia L'indispensabile, ancora una volta su uno sfondo di guerra e impellenze fisiche, attraverso la voce di un croato e destinando al barbecue ben altra carne intellettuale, è il poeta inglese Tony Harrison: «Guardai i miei Shakespeare e dissi no! / Guardai i Sartre che ho letto tante volte / a lume di candela, e non ci potei rinunciare / nemmeno se era questione di vita o morte. // Perché era fascista come i nemici cetnici, / pensai a Céline – ma quello sì / che è stile! Così usai Il Capitale / per cuocere la razione Onu di fagioli.»

Graziano Dell’Anna
Fonte: www.ilprimoamore.com
Link: http://www.ilprimoamore.com/testo_815.html
26.02.08


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