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Le ragioni del reddito di cittadinanza


Davide
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Saggi. «Il reddito di base», un libro di Elena Granaglia e Magda Bolzoni per Ediesse«

La recente crisi economica, che ha esacerbato i rischi di povertà e di vulnerabilità, e le tendenze di più lungo periodo del capitalismo contemporaneo, con i connessi fenomeni di precarizzazione e distruzione di tante occupazioni, rendono sempre più centrale la domanda di come assicurare a tutti un reddito decente».

Questa considerazione apre il capitolo conclusivo del prezioso volume dell’economista Elena Granaglia e della sociologa Magda Bolzoni, Il reddito di base, (Ediesse, pp. 230, 12 euro). Ed è il tema attorno al quale ruota l’intera ricostruzione proposta dalle due studiose: introdurre una qualche forma di reddito di base per compiere il passo decisivo in favore di un sistema di protezione sociale universalistica nel welfare state italiano che, unico tra i Paesi d’Europa, non prevede neanche uno schema di reddito minimo garantito.

A PARTIRE dall’articolazione del volume che si muove da una iniziale chiarificazione terminologica del termine polisenso «reddito di base», il volume «si muove in Europa» (secondo capitolo), insiste sulle «carenze dell’Italia» (terzo capitolo), per concludere con una comparazione tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito, che induce a riflettere sulle possibilità di attenuare le distinzioni tra queste due misure.

Granaglia e Bolzoni descrivono infatti un terreno comune del pensare e praticare una qualche forma di reddito di base inteso come (nuovo?) diritto sociale fondamentale. Il reddito di cittadinanza sostenuto ed affermato tanto come ius existentiae, diritto di esistenza, che come diritto di accesso alle risorse comuni, secondo nobili e storicamente risalenti tradizioni filosofiche, giuridiche e istituzionali. Il reddito minimo garantito pensato e inserito nei sistemi di Welfare come diritto all’inclusione sociale: «il diritto a non essere costretti a vivere in povertà».

ECCO SVELATO il comune fondamento: «disporre di un reddito di base, sia esso nella forma di reddito di cittadinanza o in quella di reddito minimo, rientra a pieno titolo nei diritti di cittadinanza». È l’idea di una cittadinanza sociale in cui la previsione di un reddito di base promuova l’indipendenza delle persone e un nuovo rapporto fiduciario tra individui, società e istituzioni. Tanto nel caso del reddito di cittadinanza, in cui questo reddito di base, universale e incondizionato, è indirizzato a tutta la popolazione, indipendentemente da altre valutazioni. Quanto per il reddito minimo garantito in cui risulta previsto, sempre in prospettiva universalistica, ma solo per alcune condizioni a rischio di esclusione sociale e povertà relativa.

SIAMO AL CENTRO di una possibile nuova visione dei legami sociali, nella transizione dentro la quarta rivoluzione industriale, quella digitale, della seconda età delle macchine. Granaglia e Bolzoni indicano come il ragionare dell’introduzione di un reddito di base divenga lo strumento intorno al quale ridefinire le responsabilità delle istituzioni pubbliche, accanto a quelle del mercato e delle imprese. Da un lato si tratta probabilmente di tornare a pensare – e rendere operative – le basi per un nuovo equilibrio tra pre-distribuzione e redistribuzione, come premesse per calibrare interventi pubblici finalmente inclusivi ed efficienti. Dall’altra si tratta di situarsi all’altezza della sfida epocale che ci attende, quando «anche i robot rivendicano un reddito di cittadinanza», come recitava uno slogan che ha accompagnato la campagna referendaria svizzera in favore di un reddito universale. Il reddito di base come diritto. Tutto il resto verrà di conseguenza. Per questo anche la confusa classe dirigente italiana dovrebbe leggere questo agevole libretto.

Giuseppe Allegri
Fonte: https://ilmanifesto.it
14.02.2017


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PietroGE
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Ancora una volta si discute dei massimi sistemi senza andare a vedere i dettagli nei quali, come è noto, si nasconde il diavolo.
-Chi deve ricevere questo reddito
-Quali sono le condizioni economiche che lo permettono
-La finanziabilità
-Il controllo sugli abusi
Se si vuole discutere bene se invece si vuole sognare o vedere chimere è meglio lasciar stare.


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oriundo2006
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Post: 3211
 

Pietro, la risposta è semplice: quando almeno quattro regioni sono nelle mani della mafia, è chiaro che i soliti pagheranno per permettere sì a molti indigenti di approvvigionarsi degnamente ma per consentire sopratutto ogni sorta di abuso e malversazione nel nome di una ritrovata ‘unità’ politica... E’ l’ultima trovata di un POTERE alla catarsi finale: cercare consenso pagandolo. I 5Stelle, di proposito o a sproposito, sono la cinghia di trasmissione tra apparato statale pseudodemocratico ( ma in effetti manifestamente ) completamente asservito alla mafia politica e cittadini regrediti a colonizzati, senza neppure più la dignità di chiedere lavoro ( e pretendere lavori pubblici assolutamente necessari ).


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PietroGE
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Purtroppo questo è quello che sospetto anch'io.


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Simulacres
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Post: 278
 

cit. "senza neppure più la dignità di chiedere lavoro"

eggià, sai... la sacralità del lavoro… è dall’epoca della Riforma che rincitrulliscono gli uomini col dogma della "dignità della questua del lavoro", che “Il lavoro rende liberi” e anche oggi che l''idolo lavoro" è piombato in uno stato di coma irreversibile, la religione deve andare avanti a tutti i costi, e basta! Ed ecco che i nuovi fanatici della religione del "dio del lavoro-forzato" 3.0 reagiscono scompostamente… come il suo idolo… in camicia di forza e tubo dell'ossigeno…


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PietroGE
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Post: 4109
 

Una società senza lavoro è una società senza futuro. Il lavoro è un diritto, ma anche un dovere. Se il reddito di cittadinanza è concepito come alternativa al lavoro avrà vita brevissima e condurrà alla miseria il Paese. Va bene come sussidio di disoccupazione tra un lavoro ed un altro, se le finanze lo consentono, ma il lavoro deve restare il centro delle attività di una società.


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vic
 vic
Illustrious Member
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Post: 6373
 

La questione del reddito di cittadinanza la vedo da un punto di vist diverso.
E' ormai sotto gli occhi di tutti che l'automazione avanza a grandi passi, perfino in settori ritenuti finora prevalentemente a lavoro umano.
L'autmazione da un lato permette un notevole incremento di redditivita', per il proprietario di un'impresa e per i suoi azionisti, dall'altro pero' impoverisce lo stato in quanto questo reddito di produttivita' non si trasforma piu' in aumento di gettito fiscale ad esso proporzionale.

percio' la vera questione non e' reddito di cittadinaza si' o no, bensi': come redistribuire alla societa' il guadagno ottenuto con l'aumentata produttivita', insomma come far pagare le tasse ai robot.

Non mi sono note soluzioni, ma attendo fiducioso.


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PietroGE
Famed Member
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Post: 4109
 

E i robot bisogna costruirli, ripararli e svilupparne sempre di nuovi se si vuole un incremento di produttività capace di sostenere un welfare accettabile o, eventualmente, una qualche forma di reddito di cittadinanza.
Il punto focale, che i Paesi asiatici hanno capito ma noi no, è la qualificazione del personale e quindi la scuola.
In questi ultimi 20 anni noi siamo andati nella direzione opposta : abbiamo cercato di diminuire il costo dei prodotti prendendo manodopera a basso costo, spesso immigrata e senza qualificazione.
Questo faceva risparmiare il costo della ricerca e delle macchine, creava però un sotto proletariato incapace poi di acquistare i prodotti che produceva, con danno per tutta l'economia.
Ecco perché io insisto sulle condizioni specifiche per la elargizione di una qualche forma di reddito di cittadinanza.


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