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Rigoni Stern: "Eravamo tre amici in guerra"


Tao
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CHE cos'è la guerra? E perché le guerre? Interrogativi che rimbalzano quasi da ogni pagina del nuovo libro di Mario Rigoni Stern, I racconti di guerra, che esce da Einaudi in questi giorni (621 pagine, 15,80 euro). In quattro parti ("Prima guerra mondiale", "Seconda guerra mondiale", "La prigionia", "La Resistenza") ci sono tutti i testi di guerra già apparsi in altre raccolte, più alcuni scritti inediti, pubblicati sui giornali: Il Giorno negli anni Sessanta, La Stampa nei decenni seguenti. E come scrive Folco Portinari nell'ampia introduzione, il dilemma del male è il problema sotteso all'intero volume, è il nucleo che tiene tutto insieme.

Rigoni Stern, lei ha una risposta alle domande sulla guerra?

"No. Non ho una risposta. Non c'è una risposta. La guerra ha cominciato ad apparire da quando l'uomo si è mosso su due gambe anziché su quattro. C'è solo la speranza: che le guerre finiscano. Per esempio in Europa, a parte i Balcani, non ci sono più tutte le guerre che hanno segnato i secoli passati".

Il punto di vista del narratore è diverso da quello dello storico?

"Se una guerra è raccontata non da uno storico di professione ma da chi l'ha vissuta o ne ha sentito narrare, allora il punto di vista cambia. Penso specialmente alla campagna di Grecia, iniziata il 28 ottobre 1940. Leggere gli atti dello Stato Maggiore fa rizzare i capelli in testa a chi c'era. La guerra di Grecia è stata quella peggio condotta, malissimo organizzata, sul piano militare e su quello umano".

La gran parte dei racconti riguardano la prima e la seconda guerra mondiale. Che rapporto c'è stato fra questi due conflitti? Che cosa vede di analogo e che cosa di diverso?

"La Grande guerra ha dato uno sviluppo inusitato alle armi di distruzione: con le mitragliatrici, l'uso dell'artiglieria e i gas asfissianti. L'ultimo conflitto ha ingigantito e perfezionato queste armi, in più c'è stata l'azione determinante dell'aviazione. Per fortuna nella seconda guerra mondiale non si è fatto uso di armi chimiche. Ma i caduti sono stati, comunque, molti di più. Se si pensa che solo la Russia ha avuto circa 30 milioni di morti...".

È nato così il mito dell'Armata Rossa che resiste a Stalingrado e entra a Berlino?

"Noi occidentali dimentichiano troppo facilmente che nella sua lotta al nazismo la Russia ha pagato per tutti, ha pagato più di tutti".

Combattevano per il comunismo?

"Nei rapporti con i russi, sia in battaglia sia nel Lager, ho capito una cosa: non combattevano per il comunismo, non combattevano per un'ideologia, bensì per difendere la loro terra. Combattevano per la loro Rus che là significa anche terra".

Portinari nota nel suo stile una "vis" di similitudini comparative: le cose sono riportate all'ambiente naturale. Si cammina come un cane senza padrone o si ricevono pallottole come vespe arrabbiate. Qual è l'origine di questo stile?

"Forse perché da ragazzo giravo per i posti della Grande guerra, boschi, rocce, vallette, picchi. Ho assimilato quel terreno, facendolo fonte di similitudini. Non avevo fatto scuole regolari, tuttavia avevo avuto la curiosità di avvincenti letture: Conrad, Tolstoj, Stevenson, London. E su tutti Dante. Mi portai in Russia la Divina Commedia , nascosta dentro la maschera antigas".

Ancora Portinari elogia la tensione etica da cui nasce il libro: la stessa delle opere di Primo Levi e Nuto Revelli.

"Eravamo tre amici che hanno vissuto esperienze diverse arrivando, attraverso il Lager, o la campagna di Russia, o la disastrosa Albania, o l'impegno nella Resistenza, alla stessa conclusione: che prima di tutto bisogna battersi per la libertà".

Sulla copertina di "Racconti di guerra" c'è una fotografia di alpini, 55ª compagnia, Battaglione Vestone, nel giugno del 1917 sull'Ortigara innevata, scattata dal tenente medico Arrigo Perin, cugino in secondo grado di Rigoni Stern. Per le casuali coincidenze della storia, lo stesso Rigoni Stern fece la campagna di Russia, quella del "Sergente nella neve", nel Vestone e nella 55ª.

"Prima di morire, questo cugino venne a trovarmi, per un giro sui luoghi della sua guerra. Andammo sull'Ortigara, non ti dico la commozione. Quando fummo dove c'era il suo posto di medicazione, s'è cavato le scarpe e ha camminato scalzo sulla terra dove aveva combattuto".

Fonte: www.lastampa.it
23.04.06


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