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Rosa Luxemburg e l'accumulazione del capitale


delino
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Rosa Luxemburg: "L'accumulazione del capitale" - PGreco Edizioni

Nel corso della lettura di questo testo, ho capito perché esso rappresenti la madre di tutte le idee antimperialiste, anticolonialiste e, attualmente, antiglobaliste.
La domanda centrale che la Luxemburg si pone, durante tutto il libro, è questa: dove viene collocata la sovrapproduzione capitalista e dove viene realizzato il plusvalore delle merci?
La geniale pensatrice tedesca (di origini polacche) parte dagli schemi di Marx , secondo i quali la riproduzione capitalista si può sintetizzare in questa formula: c + v + p (dove “c” è il capitale costante, cioè le macchine, gli impianti e le materie prime per la produzione; “v” è il capitale variabile, cioè i salari dei lavoratori addetti alla produzione; “p” il plusvalore estorto dai capitalisti).
Naturalmente, tale formula si può sviluppare nella versione della riproduzione allargata, con la quale si tiene conto sia della produzione dei mezzi di produzione, sia dei beni di consumo per i salariati e per i capitalisti. Ma si può espandere ancora tenendo presente che i capitalisti risparmiano una parte del plusvalore realizzato per reimpiegarlo in capitale (costante e variabile) aggiuntivo, innescando, in questo modo, un processo di riproduzione infinito e sempre più esteso, dove sembra che lo scopo del capitalismo sia quello di “produrre per produrre”.
Ma dove realizzano il plusvalore (da dove attingono, cioè, la ricchezza per realizzarlo; dove vendono le loro merci per realizzare il profitto), infinitamente e vorticosamente incrementale, i capitalisti? Questo si chiede la Luxemburg. Gli schemi marxiani (puramente speculativi, che Marx non ebbe il tempo di approfondire, perché sopravvennero la malattia e la morte) non ce lo spiegano, sebbene il filosofo di Treviri avesse avuto delle geniali intuizioni e avesse lanciato, ne “Il Capitale”, preziose quanto problematiche avvisaglie.
Gli schemi di Marx andrebbero bene se la società e il mondo fossero costituiti da soli capitalisti e da soli operai (ma ciò non giustificherebbe l’impeto e l’ossessione dei capitalisti di produrre plusvalore e di realizzare profitto).
Atteso che l’obiettivo dei capitalisti è quello di realizzare plusvalore e accumulazione di plusvalore (in forma di denaro) per innescare nuovamente e rilanciare il processo di produzione e di accumulazione, e che la produzione di merci è solo un mezzo (e non un fine) per produrre plusvalore, bisogna cercare e trovare lo spazio (economico, geografico, sociale) in cui il plusvalore venga realizzato, ovvero in cui le merci prodotte si ritrasformino in capitale monetario.
La Luxemburg individua questi spazi in ambienti esterni al capitalismo: è lì che viene esportata e smerciata la sovrapproduzione e realizzato il plusvalore. Questi ambienti possono essere: sociali (i contadini e i rentiers agrari, ai tempi in cui scriveva l’autrice, innanzitutto; gli artigiani e i vecchi mestieri che producevano al di fuori del sistema e della logica capitalistici; ma anche tutte quelle categorie sociali che vivevano e vivono all’ombra e al servizio dei capitalisti: servi, lacchè e prostitute, come potrebbero essere oggi i componenti dell’entourage del bunga-bunga; lo stato che accumulava e accumula ricchezza attraverso l’imposizione fiscale a carico, soprattutto, dei lavoratori, per farla rientrare nella disponibilità dell’accumulazione capitalistica attraverso, a esempio, le spese militari); geografici (paesi terzi da sottomettere e da colonizzare ai fini della realizzazione esterna del plusvalore e dell’accumulazione capitalistica); economici (aree e sistemi economici del mondo non ancora assimilati al dominio e alla logica produttiva del capitalismo).
Questa teoria luxemburghiana degli ambienti esterni è fondamentale, perché ci serve a comprendere non solo le crisi di sovrapproduzione (e di sottoconsumo) del capitalismo, e le lotte intestine intercapitalistiche per l’appropriazione di nuovi sbocchi, ma anche, e soprattutto, che il capitalismo ha un bisogno vitale di esercitare l’imperialismo e il colonialismo.
Applicate alla fase attuale, le idee della Luxemburg ci aiutano a capire che in un mondo dominato, ormai, interamente dal capitalismo (nella sua forma economica e sociale di “capitalista generale”, intendo dire, perché persistono le lotte tra le varie frange capitalistiche, sia d’oriente che d’occidente, per il dominio mondiale), allo stesso non resta che trovare sbocchi “sociali” esterni al proprio ambiente (caratterizzato, soprattutto, dal predominio del capitalismo finanziario). Questo spiegherebbe la rinuncia a Keynes e la dilatazione delle differenze sociali all’interno degli stessi paesi capitalistici avanzati. Nella fase attuale, insomma, il capitalismo non solo ha l’esigenza di esercitare il suo peso imperialistico su paesi come l’Iraq, la Siria, l’Egitto, la Libia, l’Afganistan, ecc., ma ha bisogno anche di creare, all’interno degli stessi paesi capitalistici sviluppati, aree separate ed emarginate dall’ambiente capitalistico ufficiale, affinché il sistema possa sopravvivere a se stesso. Questo la dice lunga sul perché il capitalismo tollera, anzi agevola e promuove, la miseria, il degrado e anche la criminalità che, attraverso i suoi traffici extracapitalistici di appropriazione piratesca e di sfruttamento servile, garantisce sbocchi economici e sociali alla sovrapproduzione e alla realizzazione del plusvalore (il Mezzogiorno d’Italia, a esempio, è stato storicamente, dall’unità in poi, un’area geografica utilizzata, economicamente, come mercato di sbocco della sovrapproduzione del capitalismo settentrionale; oggi, le attività illecite della criminalità organizzata raccolgono la ricchezza che garantisce al capitalismo italiano ed europeo quegli sbocchi e quei profitti che altrimenti il Sud-Italia, stante la sua condizione di sottomissione e di arretratezza, non sarebbe capace di assicurare).
Un’ultima annotazione. Credo che Keynes sia molto debitore nei confronti della Luxemburg che è stata, da quello che so, la prima intellettuale marxista che ha analizzato le cosiddette leggi di movimento del capitalismo anche dal lato della domanda, e non solo della produzione.


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