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L’ultimo David Bowie


Davide
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Nota dell’autrice: il primo gennaio del 2016 mi risveglio in una bellissima casa di Berlino. A poche ore dall’inizio dell’anno nuovo ricevo sulla mia posta elettronica un’email che contiene l’ascolto in anteprima del nuovo disco di David Bowie, Blackstar. Mi pare un bellissimo regalo avere la possibilità di mettere le orecchie su quel lavoro proprio nella città europea che a David Bowie aveva cambiato e forse salvato la vita, la città che prepotentemente gli era tornata alla mente e alla scrittura alcuni anni prima, e che aveva tirato fuori dalla memoria con “Where are wenow?”

Blackstar non è solo un’uscita-evento ma un lavoro statuario, che mi pare immediatamente gigantesco. Quando torno in Italia, quindi, decido di dedicargli un articolo lungo, un long-form (si dice ancora?) per la rivista online Prismo: è il primo pezzo che scrivo, in anni di lavoro con la scrittura musicale, sull’artista a cui devo probabilmente ogni angolo e ogni curva del mio cervello e del mio intimo di ascoltatrice. La prima volta che decido di provarci, di vincere la timidezza di una materia troppo calda.

Lo scrivo domenica 10 gennaio, nel pomeriggio, la schiena appiccicata a un termosifone – lo stesso a cui sono appoggiata ora – ricordo la formazione del testo quasi nel dettaglio, la fatica di aprirlo, la fluidità nel trovarmi, qualche riga dopo, a casa. Ricordo soprattutto il pensiero della morte, il momento in cui decisi di dargli spazio nell’articolo, di lasciarmi andare a questo antro buio dell’interpretazione e di quelli che erano soprattutto i vagheggiamenti e i mondi di chi legge un’opera come facciamo noi che ascoltiamo e proviamo a restituire qualcosa.

Il pezzo sarebbe uscito la mattina seguente, lunedì 11 gennaio, giorno dell’uscita dell’album sul mercato.

Alle 8 del mattino di lunedì apro gli occhi e scopro che Bowie è morto il giorno prima, probabilmente nel pomeriggio, forse mentre io stavo scrivendo quell’articolo.

Il pezzo è uscito così come lo avevo scritto, non una virgola è stata spostata, non una considerazione rimaneggiata. Non era una recensione, non era un ricordo, non era una commemorazione: era uno squarcio, forse, una visione tutta personale e bollente del magma artistico a me in assoluto più caro e famigliare. Il pezzo è qua sotto, ancora oggi, nel bene e nel male, non modificato.

CONTINUA QUI http://www.minimaetmoralia.it/wp/lultimo-david-bowie/


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