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Birmania, si fa strada l'ipotesi dell'invasione umanitaria


Tao
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Dagli Stati Uniti alla Francia del ministro Kouchner, si moltiplicano le esternazioni "interventiste" per aiutare i sopravvissuti di Nargis. E rovesciare la Giunta

Birmania, in Occidente si fa strada l'ipotesi dell'«invasione umanitaria»

Una dittatura feroce foraggiata dalle corporation che improvvisamente diventa impresentabile, un popolo martoriato da decenni nel disinteresse generale che improvvisamente diventa importantissimo salvare. E poi: un presidente americano che ha sbagliato praticamente tutto e che potrebbe rifarsi la faccia nei pochi mesi che gli restano e una leader tenace e rispettata - Aung San Suu Kyi - recentemente glorificata dai media Usa. Sullo sfondo, i grandi interessi della geopolitica e il solito petrolio.

Se non vi ricorda qualcosa significa che avete passato gli ultimi dieci anni al riparo da quelle fabbriche di propaganda che sono ormai i media occidentali, totalmente indifferenti alla sorte dei bengalesi colpiti dal ciclone appena pochi mesi fa ma che oggi intingono la penna nella retorica del buonismo. Puntuali arrivano le esternazioni dell'ex-socialista Bernard Koucher, fondatore di Medici senza frontiere poi passato all'interventismo armato (Balcani '99) e ora strenuo difensore delle ultime invasioni made in Usa come ministro di Sarkozy.

Insomma, se il ministro degli Esteri francese esterna sulla necessità di «un'invasione umanitaria» della Birmania, c'è da drizzare le orecchie: la voce era circolata già la settimana scorsa sui media asiatici ma sembrava pura fantascienza. Adesso comincia a sembrare tutto più realistico, soprattutto se si considera che in zona sono già arrivate la Kitty Hawk e la Nimitz, mentre nella vicina Thailandia si posizionano i C-130 statunitensi. Sotto questa luce anche le mosse dei primi giorni, con l'offerta "condizionata" di aiuti alla giunta militare, assumono un senso più compiuto: non irresponsabile dilettantismo ma pura provocazione per costringere la giunta a sbattere la porta in faccia agli aiuti americani.
Non che i macellai che governano il paese con pugno di ferro - utilizzando il lavoro forzato dei contadini per ultimare oleodotti, infrastrutture e villaggi turistici finanziati dagli europei - siano galantuomini ma di certo, con il paese allo stremo, avrebbero accettato gli aiuti made in Usa come consigliava Pechino se non fossero stati chiamati ad ammettere pubblicamente che governano male il paese. Ma Washington su questo punto è stata chiarissima: volete i 3,25 milioni di dollari in aiuti? Lasciateli consegnare direttamente dai nostri aerei e dai nostri vascelli militari. La giunta naturalmente ha risposto picche e procede imperturbabile nella normale amministrazione: il referendum farsa e le esportazioni di riso (come prescrive il mercato) anche se, dopo il ciclone, la popolazione muore letteralmente di fame.

Da anni Washington impone sanzioni economiche contro il regime birmano ma solo di recente ha cominciato a fare sul serio, colpendo personalmente, con misure di restrizione finanziaria, i membri della giunta, i loro familiari e i loro soci. Malgrado i problemi economici che queste sanzioni provocano alla popolazione, l'opposizione birmana continua a sostenerle così come, qualche anno fa, invitava i cittadini occidentali a boicottare le allettanti offerte turistiche del paese. In realtà l'azione statunitense ha subito un'accelerazione solo negli ultimi tempi, quando cioè i progetti per la costruzione della famosa pipeline asiatica - quella che dovrebbe unire l'Iran alla Cina passando per Pakistan e Birmania - hanno preso consistenza. Ecco dunque il tentativo di far condannare Myanmar dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tentativo bocciato per il veto di Russia e Cina.

Le reazioni della giunta al passaggio del ciclone hanno mostrato il vero volto del regime - un volto sanguinario e schiavista, come denunciato più volte - e la propaganda ha preso la palla al balzo evidenziando anche la debolezza delle Nazioni Unite. Secondo Koucher l'Onu potrebbe invocare la propria «responsabilità nel proteggere i civili» per dare legittimità alla consegna forzata degli aiuti, senza curarsi delle obiezioni del governo birmano. Per provare quanto sia ipocrita e aggressiva questa idea, fate un piccolo esperimento mentale: immaginate gli aerei militari di Pechino (ma anche quelli di Mosca o di Caracas) che atterrano a New Orleans per portare aiuto alla popolazione abbandonata dal proprio governo. Oppure i soldati sauditi mandati - per conto dell'Onu - a nutrire e curare i bambini di Gaza senza curarsi delle obiezioni del governo israeliano…

Naturalmente Koucher si limita a parlare dell'obbligo di ingerenza dell'Onu e lascia ad altri il compito di spiegare che, vista la limitata capacità di proiezione delle Nazioni Unite, l'ingerenza umanitaria ha bisogno della macchina da guerra Usa e della retorica dei funzionari di Washington che, con una mano offrono gli aiuti e con l'altra deridono pubblicamente la reazione della giunta al ciclone. Mandando avanti Laura Bush, che ha definito la giunta birmana «inetta», l'amministrazione ha ottenuto quello che voleva: la chiusura agli aiuti - anche se nemmeno questo è vero visto che le associazioni considerate super-partes come Medici senza Frontiere sono nel delta dell'Irrawadi e stanno prestando soccorso alla popolazione colpita. Una sceneggiatura nota che, naturalmente, rafforza le posizioni dei più falchi tra i falchi della giunta che stanno freneticamente dislocando l'esercito più in vista dell'invasione Usa che per distribuire gli aiuti - mentre, naturalmente, la gente continua a morire.

Secondo Asia Times non ci sono indicazioni chiare che Bush stia preparando un'azione, tuttavia alcun analisti pensano che, fra i pro e i contro di un'operazione di salvataggio unilaterale, i pro prevalgano. Si tratta di approfittare dell'imprevista debolezza del paese per infilarsi in un'altra zona d'influenza cinese e, al contempo, rifarsi un minimo di reputazione esattamente come fece Bush senior con la sua invasione umanitaria della Somalia, nel 1992. Allora gli americani scapparono con la coda fra le gambe e, dopo 16 anni, in Somalia si continua a morire. A differenza della Somalia, però, il regime birmano ha un esercito pronto a difendersi lungo tutta la strada che porta alla nuova capitale costruita ex novo nella giungla (secondo alcuni appositamente a questo scopo) oltre a un alleato molto, molto potente, che potrebbe non gradire l'idea di un'ennesima base Usa ai propri confini.

Sabina Morandi
Fonte: www.liberazione.it
1.05.08


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