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C’eravamo tanto amati, New York times all’attacco di Obama


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Per un leader contano prima le azioni, poi lo stile. Le azioni - la lotta alla crisi - stanno arrivando, a tinte protezionistiche, per ora. Sullo stile ieri il New York Times, giornale amico di Barack Obama, è andato all'attacco:troppo spazio ai lobbisti, e basta evasori.

«Il team Obama è criticato dai bloggers di sinistra e di destra" scrive con risalto il New York Times "oggetto di caricature da parte dei comici tv, mentre i giornalisti chiedono se davvero Mr. Obama sta cambiando il modo di procedere di Washington o se invece è cambiato soltanto il partito che sta al volante ».

Tre sono i terreni scivolosi. Due, in particolare, irritano molti americani. Le tasse non pagate da chi vuole governare. L'ex senatore ed ex lobbista Tom Daschle ha rinunciato ieri alla designazione per la Sanità: non aveva pagato le tasse previste sul fringe benefit di una Cadillac a disposizione. Le dimissioni, chieste sempre ieri anche da un editoriale del New York Times, erano inevitabili dopo quelle di Nancy Killefer, alla Casa Bianca come responsabile del controllo della spesa federale, anche lei disarcionata dalle tasse.

Una sorte evitata per poco da Tim Geithner, neo ministro del Tesoro, anche lui con problemi fiscali, e che è al Tesoro di questi tempi con in Senato il gradimento più basso di tutti i suoi 23 predecessori, dal 45 in poi.

Poi, i lobbisti. Dopo proclami e nuove severe regole sulla distanza fra lobbismo e Governo, il candidato al posto numero 2 al Pentagono è un lobbista di lungo corso di forniture militari. Mentre il capo di gabinetto di Geithner è stato a lungo capo lobbista per Goldman Sachs. Il topo nel formaggio. Obama ha parlato di una «nuova era di responsabilità», ma- dice acido l'incipit del New York Times -, «non ha detto un granché sulle eccezioni alla regola».

Infine, l'incrocio lobbisti-mega finanziamenti anti-crisi. Sono sul tavolo due enormi spese: a giorni 885 e forse più miliardi di stimolo per l'economia, poi il salvataggio e ridisegno di finanza e banche. Il lobbismo protezionistico è al lavoro. Per il mondo, una mina devastante. Un segnale che altri seguirebbero. E la leadership americana?

La clausola buy american nel piano di stimolo esclude tra l'altro, nel testo della Camera, l'acciaio non americano dai progetti che verranno finanziati: edifici, ponti eccetera. La pubblica amministrazione poi deve comprare americano. Il Senato, in genere più saggio, questa volta sta peggiorando la situazione. La Casa Bianca ha detto che esaminerà la clausola buy american. Ma con quale compromesso? Il buy american lo vuole anche il sindacato, che ha speso e si è speso molto, per Obama.

Sul piano di risanamento finanziario, il Nobel Paul Krugman è stato acido: che succede a chi perde un sacco di soldi altrui? «Riceve un sacco di soldi dal Governo federale - ma il presidente gli dice cose severe prima di gettare i soldi col forcone». Gli uomini della vecchia Wall Street (come Il Sole 24 Ore da tempo ricorda) sono molto vicini a Obama.
Tuttavia una buona notizia c'è: il nuovo ministro del Commercio (anche se non di quello estero), il senatore Judd Gregg, è fra i più convinti liberoscambisti. Il destino di un Carter, inciampato subito, e che il Times maligno ricorda, non è inevitabile.

Mario Margiocco
Fonte: www.ilsole24ore.com/
4.02.3009


Citazione
marko
Estimable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 224
 

non aveva pagato le tasse previste sul fringe benefit di una Cadillac a disposizione.

Stiamo parlando di qualche centinaio di dollari di tasse per un'auto blu. A quando tanta serietà anche in Italia?


RispondiCitazione
afragola
Honorable Member
Registrato: 2 anni fa
Post: 738
 

ANTIEGEMONISMO E NUOVE PROSPETTIVE DI LOTTA CONTRO IL CAPITALISMO
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UNITED COLORS OF PRESIDENT di G.P.

Non ci voleva la sfera di cristallo per vaticinare dove Obama sarebbe andato a parare.

Il primo presidente nero della storia degli States - nonostante gli squilli di tromba di tutti i sognatori ex hippies debosciati di sinistra, in preda alle convulsioni mistiche dopo l’annunciazione mediatica della riedificazione del sogno americano di cui Obama sarebbe sommo artefice - sta molto più prosaicamente tentando di traghettare gli Stati Uniti nella nuova fase multipolare, in seguito ai nefasti e agli errori strategico-militari dell’era Bush.

Quest’ultimo ha utilizzato a più riprese il big stick delle “percosse” imperiali per far valere le ragioni della superpotenza USA, con risultati tutto sommato assai modesti (Iraq, Afghanistan), mentre Obama mostra di prediligere la carrot policy, ma solo per meglio imbrigliare i propri alleati, in posizione costantemente subordinata, nella ridefinizione dei progetti egemonici statunitensi.

Il neo Presidente è espressione di questo mutamento di strategia, voluto dagli strateghi Usa che devono ora ricorrere al soft power, concedendo in apparenza qualcosa in più ai propri partner internazionali, al solo fine di rallentare il processo di entrata nella fase policentrica e, soprattutto, in funzione di contenimento di quelle formazioni sociali che si stanno candidando a controbilanciare la predominanza dello Zio Sam nella riconfigurazione geopolitica mondiale.

Ciò non vuol dire che gli Usa abdicheranno al loro ruolo di gendarme planetario (l’uso della forza sarà mantenuto sullo sfondo e, di tanto in tanto, ripristinato come segnale d’avvertimento). Anzi, proprio per esercitare questo ruolo più proficuamente, nella mutata situazione dei rapporti di forza tra paesi, diviene indispensabile avviare una preventiva ricalibratura dei propri obiettivi egemonici, tornando a puntellare le zone d’influenza precedentemente conquistate e teatro di pericolose fibrillazioni.

Tutto ciò aumenta la commiserazione nei confronti di chi ha voluto vedere in Barack la reincarnazione del Reverendo King o di JFK. Ed, invece, ha ragione Marcello Foa che dalle pagine de Il Giornale paragona i primi passi politici di Obama a quelli del suo parente decaduto Tony Blair il quale, appena insediatosi, tra i cori soddisfatti dei progressisti che già immaginavano grandi e magnifiche sorti di rinascita, imbeccava la stampa per attuare misure antisociali, perseguite pari pari dai suoi avversari conservatori, molto prima di lui.

Diciamoci la verità, se Obama fosse nato in Italia sarebbe stato un Veltroni qualsiasi, se fosse nato in Spagna sarebbe stato uno Zapatero qualunque ecc. ecc. Ma, invece, è il primo cittadino americano e può permettersi di pensare (e di mentire) molto più in grande dei suoi fratelli un po’ sciocchi che abitano in Europa.

Del resto, come i suoi stuoini dabbene del Vecchio Continente, anche lui coltiva il vizio del trastullamento ideologico, con i grandi principi di libertà e di democrazia sempre portati in primo piano per coprire le spalle, in questo momento di crisi acuta e di transizione, ai poteri forti che lo hanno messo in sella e che lo sostengono con convinzione.

E poi, anche Obama comincia a fare esercizio di maanchismo, proprio come il suo “affiliato” scemo di casa nostra. Dice di aver emanato un decreto contro le «rendition» mentre, gratta gratta il provvedimento, viene fuori che si “auspica” solo il bandimento di tali pratiche; dice di volersi disimpegnare da alcuni scenari di guerra (sento già i pacifisti che schiamazzano soddisfatti per aver trovato un nuovo vate) ma esclusivamente per aumentare la potenza di fuoco su quelli dove si gioca la vera partita strategica tra potenze in conflittualità crescente.

Ancora, Foa sostiene giustamente che: “Il cambiamento è innegabile e condizionerà positivamente la popolarità degli Usa nel mondo, tuttavia è prevalentemente di immagine...
La macchina della propaganda gira a mille, anche sul fronte interno. Dal nuovo presidente ci si aspettava una svolta moral
izzatrice [di questa ne facciamo volentieri a meno, ndr], soprattutto contro la corruzione e l'influenza delle lobby. Bene, ma il sito Politico ha scoperto che ben dodici tra ministri e sottosegretari sono lobbisti, tra cui William Lynn, esponente dell'industria delle armi nominato numero due del Pentagono con l'incarico di... presiedere il comitato per l'acquisto degli armamenti. Il conflitto di interessi è colossale come lo era quello di alcuni esponenti della precedente amministrazione, ma, come Bush, Obama non si è ricreduto, confermando Lynn e gli altri undici apostoli. Si è indignato quando il New York Times ha pubblicato la notizia dei bonus da 18,5 miliardi di dollari incassati dalle banche salvate con i fondi pubblici e ha annunciato provvedimenti per scongiurare il ripetersi di episodi analoghi. Ma non ha nemmeno tentato di punire i manager ingordi, né di farsi restituire il maltolto. Chissà come mai...”

Come mai lo può percepire chiunque non abbia deciso di mandare il cervello all’ammasso, facendosi eventualmente accompagnare al manicomio da una struggente colonna sonora di Bruce Springsteen

http://ripensaremarx.splinder.com/


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