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Chomsky: il boicottaggio “rafforzerà il sostegno a Israele"


fasal75
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Originale italiano con link: http://znetitaly.altervista.org/art/8214

Il boicottaggio accademico “rafforzerà il sostegno a Israele”

Di Noam Chomsky

e Rami Almeghari

22 ottobre 2012

Rami Almeghari: Si dice che la sua attuale visita nella Striscia di Gaza sia da collocare all’interno del tentativo di rompere l’assedio a Gaza. Come mai questa visita ha avuto luogo adesso?

Noam Chomsky: è stata una questione organizzativa. Come sapete sono qua per prendere parte ad una conferenza di linguistica presso l’Università Islamica di Gaza e questa per me è una bella occasione per sostenere la rottura di questo assedio.

RA: Concorda con le richieste palestinesi ed internazionali di boicottare Israele tanto dal punto di vista accademico quanto da quello economico?

NC: Nel caso del Sud Africa, per esempio, nel quale sono stato coinvolto rispetto al boicottaggio, sono stati estremamente selettivi e questa selezione veniva messa in pratica in modo che potesse essere d’aiuto per le vittime, non per farci sentire meglio, ma per essere d’aiuto alle vittime.

La stessa cosa avvenne per il boicottaggio della guerra in Vietnam, nel quale sono stato impegnato.

Anche in questo caso praticai disobbedienza civile ed organizzai forme di resistenza finendo in prigione diverse volte.

Ma alla fine dobbiamo sempre chiederci, quando decidiamo che tattica adottare che cosa comporti e che effetti abbia per i Vietnamiti e non cosa voglia dire per noi. Qualche volta ci sono cose che dovresti fare e qualche volta no ed in effetti sono state molto utili.

La stessa cosa è valida per il boicottaggio. Se si cerca di mettere in atto un boicottaggio accademico dell’Università di Tel Aviv (per un esempio) ci si deve chiedere quali potranno essere le conseguenze per i Palestinesi e le conseguenze indirette.

Quando invece si porta avanti un simile gesto negli Stati Uniti si sta cercando di arrivare alla popolazione americana sensibilizzandola, facendo in modo che sia di sostegno per i diritti dei palestinesi e contro le politiche israeliane e statunitensi.

Quindi ci si deve chiedere: un boicottaggio dell’Università di Tel Aviv avrà effetto sugli americani che stai cercando di raggiungere?

Questo dipende dal tipo di organizzazione ed educazione presente nel territorio statunitense.

Attualmente, se consideriamo le interpretazioni e le convinzioni in possesso della “gente”, una richiesta di boicottaggio dell’Università di Tel Aviv aumenterebbe il sostegno ad Israele ed alla politica americana perché non verrebbe compreso.

Non ha senso parlare in Swahili se non si capisce quello che stai dicendo. Potrebbero esserci circostanze in cui un boicottaggio di Tel Aviv potrebbe risultare d’aiuto ma prima deve essere messo in atto un sforzo educativo ed organizzativo.

La stessa cosa nel Sud Africa. L’equivalente del BDS, i programmi di boicottaggio e sanzioni, iniziò realmente nel 1980. Prima c’erano pochi casi. Quindi solo dopo 20 anni di seria organizzazione e di vero attivismo si giunse ad un situazione in cui l’opposizione all’apartheid era praticamente universale.

Le multinazionali stavano lasciando il paese a seguito della Sullivan Law, (in origine “Sullivan principles”, n.d.t.), il Congresso degli Stati Uniti stava votando alcune sanzioni e l’ONU aveva già dichiarato l’embargo.

Questo non è il caso della Palestina, non ci siamo neanche vicini.

RA: ma lei concorda, dissente o concorda solo in parte?

NC: non si può concordare o meno, non ha senso. Quando si parla di tattica ci si deve sempre chiedere quali siano le conseguenze, prima di tutto per le vittime, ed in seconda istanza per il pubblico che si vuole raggiungere.

Quindi bisogna chiedersi: la gente con cui voglio parlare vedrà tutto questo come un modo per ridurre il sostegno alla politica statunitense liberando i Palestinesi o considereranno questa tattica come un motivo per rinforzare ulteriormente il supporto alla politica americana ed attaccare i palestinesi ?

E’ questo che ci si deve chiedere quando si mette in atto qualunque strategia, che sia disobbedienza, spaccare le vetrate di una banca, dimostrazioni e via dicendo.

Sono queste le domande che ci dobbiamo porre se ci interessano le vittime. Se non è così possiamo non interessarci a simili domande e fare quello che ci fa sentire meglio.

RA: Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha chiesto che l’ONU riconosca la Palestina come uno stato non-membro dell’ONU. Cosa ne pensa in considerazione del fatto che Israele continua con azioni unilaterali sul campo cambiano la questione nella sostanza?

NC: La questione è capire se questa scelta migliorerà la situazione dei palestinesi e non dipende da quello che Israele sta facendo concretamente, che è un discorso diverso. Abbas non può modificare quello che Israele fa nella pratica.

Abbas o i palestinesi possono compiere passi che miglioreranno la loro situazione in ambito internazionale, quindi dobbiamo chiederci se un passo verso il riconoscimento della Palestina con lo status di non-osservatore possa essere d’aiuto ai palestinesi o meno.

Bene, io penso che possa esserlo. Per esempio c’è una buona ragione per cui gli Stati Uniti ed Israele sono così fortemente contrari a questa ipotesi è che i Palestinesi potrebbero averne benefici.

Per esempio questo concederebbe loro uno status sufficiente per accusare Israele di crimini, davanti alla Corte Penale Internazionale.

E’ praticamente sicuro che non succederà, ma sarebbe un importante passo dal punto di vista educativo. Ed è questo che si deve pensare quando ci si preoccupa delle vittime. Come già detto se non si hanno a cuore vittime, non ci si devono neanche porre queste domande.

Ma se si hanno a cuore le vittime, ci si deve sempre chiedere che conseguenze ci saranno, in che modo modificheranno il loro destino. Come influenzeranno la gente di Gaza ed i palestinesi in generale. In questo caso credo ci potrebbero essere dei moderati effetti positivi.

Inoltre se USA e Israele sono profondamente contrari dobbiamo chiederci: perché? E loro si oppongono esattamente perché potrebbero beneficiarne i palestinesi .

RA: alcuni pensano che l’unica soluzione siano due stati separati, altri invece invocano una soluzione con uno stato democratico unico. Qual è secondo lei la più praticabile?

NC: non è una scelta. Sono stato a favore di quella che viene definita una soluzione con uno solo stato (o soluzione binazionale) per settanta anni, quindi, ok sono a favore di questa soluzione. Sono anche a favore della pace nel mondo e sono a favore di …liberarci dal problema della fama.

Ci sono una sacco di cose per cui sono a favore.

Ma se vogliamo affrontare la questione seriamente dobbiamo chiederci: “come arrivo da qua a là?”.

E’ questo il punto. Possiamo concordare tutti sul fatto che sia un’idea meravigliosa.

In realtà non penso che un singolo stato sia una buona idea, penso dovrebbe esserci una soluzione di nessuno-stato che eroda i confini dell’impero.

Non c’è alcuna ragione per rispettare le decisioni francesi od inglesi su dove sono stati segnati i confini.

Una soluzione senza stato sarebbe molto migliore.

Ma una volta di più dobbiamo chiederci: come ci arriviamo?

Negli ultimi 70 anni sono stato coinvolto in molti modi, ci sono stati percorsi differenti che av
rebbero potuto andare in quella direzione. Le circostanze cambiano e quindi devono cambiare le strategie e nel contesto attuale, in realtà dal 1975, c’è solo una strada che è stata proposta, ed è in fasi, attraverso una soluzione con due stati nella prima fase.

Se c’è un’altra via nessuno l’ha proposta.

Possono dirci “mi piacerebbe questa soluzione” ma non ci dicono come arrivarci.

E questo è tanto interessante quanto qualcuno che dicesse: “mi piacerebbe la pace nel mondo”

RA: molte grazie.

“Giova ricordare che è nel 1971 che il reverendo battista Leon Sullivan entra nel Consigliodi Amministrazione della General Motors per avviare una strategia di pressione (e azioni di disturbo) nei confronti di quelle multinazionali che contribuivano amantenere in vita in Sudafrica l’ignobile sistema di aparthaid. La sua opera ebbetanto successo che nel 1977 riuscì a pubblicare i c.d. Sullivan principles.” (da:

http://www.aiccon.it/file/convoc/L_INVESTIMENTO_SOSTENIBILE_E_RESPONSABILE.pdf. capitolo 3. (n.d.t).

Rami Almeghari è un giornalista e ricercatore universitario che risiede nella Striscia di Gaza.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/academic-boycott-will-strengthen-support-for-israel-by-noam-chomsky

Originale: Electronic Intifada

Traduzione di Maria Chiara Starace e Fabio Sallustro


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ws
 ws
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"cicero pro domo sua "


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