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È l’ideologia liberale che soffre, la democrazia se la cava bene


Adriano Pilotto
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n questo articolo apparso su The guardian, lo scrittore Kenan Malik sottolinea come, nonostante i timori diffusi per il futuro della democrazia liberale, in realtà la democrazia sembra in forma abbastanza buona, perché è proprio nella logica democratica che le elezioni diano risultati diversi da quelli attesi. Quella che invece è in corso, secondo Malik, è una crisi della ideologia liberale, la quale avendo un profondo timore della forza della maggioranza, intesa come minaccia alle libertà individuali, tenta di spostare il potere decisionale su organizzazioni tecnocratiche sottratte al controllo popolare. Ma così facendo si accrescono le tensioni tra liberalismo e democrazia e si assiste all’ascesa dei movimenti populisti, i quali uniscono politiche identitarie di stampo reazionario e illiberale a politiche economiche e sociali che una volta erano basilari per la sinistra.

di Kenan Malik, 1° gennaio 2017

Benvenuti nel 2017. Sarà come il 2016. Anzi, di più. Questo è l’anno in cui Donald Trump si insedia ufficialmente alla Casa Bianca, e Theresa May deve (probabilmente) iniziare le trattative per la Brexit.

Sarà l’anno in cui le elezioni in Germania, in Olanda, in Francia, e forse in Italia, vedranno con ogni probabilità la destra populista guadagnare terreno, e magari anche trionfare.

In Olanda, il Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders , ostile all’Islam e all’immigrazione, è in testa nei sondaggi e a marzo potrebbe entrare nella coalizione di governo. In Francia, a maggio, Marine Le Pen con il suo Fronte Nazionale di estrema destra, dovrebbe arrivare almeno al secondo turno nel ballottaggio per le elezioni presidenziali e potrebbe anche vincerle. In Germania, Angela Merkel potrebbe ritrovarsi ancora cancelliere dopo il voto di settembre, ma l’ estrema destra di AfD otterrà quasi certamente decine di seggi al Bundestag.

E così, il 2017 sarà anche l’anno in cui i timori per il futuro della democrazia liberale raggiungeranno un nuovo picco. Paure, però, che in realtà sono giustificate solo a metà. La democrazia è in ottima salute. È l’ideologia liberale che è in difficoltà.

Democrazia non significa che ogni volta si ottenga il risultato “giusto”. Il senso del processo democratico è proprio che è imprevedibile. Il motivo per cui abbiamo bisogno della democrazia è che quali siano le strategie politiche “giuste” o chi sia il candidato “giusto” è spesso oggetto di aspri contrasti. Donald Trump o Marine Le Pen possono essere reazionari, e le loro politiche possono contribuire a indebolire la trama della tolleranza liberale, ma il loro successo rivela un problema della politica, non della democrazia.

Ci siamo così abituati a parlare di “democrazia liberale” che spesso dimentichiamo che c’è una tensione intrinseca tra il liberalismo e la democrazia. Al centro dell’ideologia liberale si trova l’individuo. Classicamente, i liberali dichiarano che qualsiasi limitazione di legge alla libertà di un individuo debba avere un valido motivo e comunque essere ridotta al minimo possibile.

I liberali, d’altra parte, hanno paura delle masse, temendo le decisioni di piazza e la “tirannia della maggioranza” in quanto minacce alla libertà dell’individuo. Con tutto il loro disgusto per i vincoli imposti dallo Stato, molti liberali però sempre di più considerano le istituzioni statali come un mezzo per tenere sotto controllo la forza delle masse. Questo ha portato inevitabilmente a un’ambivalenza sulle virtù della democrazia.

Con la fine della guerra fredda, molti liberali avevano previsto che la tensione tra liberalismo e democrazia si sarebbe risolta. Le istituzioni liberali, immaginavano, avrebbero potuto concentrarsi sul governare e sull’attuazione di strategie politiche “giuste”, mentre, liberate dai sogni del socialismo, le masse sarebbero semplicemente diventate l’elettorato, esercitando i loro diritti democratici con le elezioni e godendo dei benefici portati da governi tecnocratici.

Nei fatti, è accaduto il contrario. La tensione tra liberalismo e democrazia è diventata molto più acuta. Molti liberali insistono sul fatto che l’unico modo di difendere i valori liberali è metterli al riparo dal processo democratico. Molti di coloro che si sentono politicamente senza voce in questo nuovo mondo ritengono di poter far sentire la loro voce democratica solo sfidando i valori liberali. È questa polarizzazione tra liberalismo e democrazia che ha creato il tumulto del 2016 e ne creerà ancora di più nel 2017.

Democrazia non significa semplicemente tracciare una croce su una scheda elettorale. Significa, fondamentalmente, poter contestare il potere. Possiamo votare come individui nella riservatezza della cabina elettorale, ma possiamo difendere la democrazia e affermare la nostra voce politica solo agendo collettivamente. Questo richiede una robusta sfera pubblica e una democrazia che venga contestata tanto nelle strade e sui luoghi di lavoro, quanto nel seggio elettorale. L’erosione del potere delle organizzazioni dei lavoratori e dei movimenti sociali ha contribuito a minare la democrazia in questo senso più ampio.

Allo stesso tempo, il declino di queste organizzazioni ha favorito uno spostamento del potere, togliendolo alle istituzioni democratiche, come i parlamenti nazionali, per darlo a istituzioni non politiche, come i tribunali internazionali e le banche centrali. Molti liberali ritengono che questa sia una garanzia di buon governo e che metta al riparo le strategie politiche più importanti dai capricci del processo democratico. Molti a sinistra, perse le radici con la classe politica tradizionale, hanno accolto volentieri questo cambiamento, ritenendo che organizzazioni transnazionali, come l’Ue, fossero veicoli fondamentali del cambiamento sociale. Una buona parte dell’opinione pubblica, tuttavia, è rimasta con la sensazione di non avere più una voce politica.

Dopo avere perso i mezzi tradizionali di manifestare il loro disagio, e in un’epoca in cui una politica di classe ha poco significato, molti elettori della classe lavoratrice sono infine giunti a esprimersi attraverso il linguaggio della politica di identità; non la politica di identità della sinistra, ma quella della destra, la politica del nazionalismo e della xenofobia, che alimenta molti movimenti populisti.

I critici dell’ideologia liberale hanno da tempo riconosciuto che il suo difetto fondamentale è che in verità gli esseri umani non vivono semplicemente come individui. Noi siamo esseri sociali, troviamo la nostra individualità e il nostro senso solo attraverso gli altri. Da qui l’importanza per la vita politica non solo degli individui, ma anche delle comunità e dei movimenti collettivi.

Politicamente, il senso collettivo è stato espresso secondo due grandi modalità: la politica della identità e la politica della solidarietà. La prima mette in rilievo l’appartenenza a un’identità comune, basata su categorie come la razza, la nazione, il sesso o la cultura. La seconda aggrega le persone in un’entità collettiva, non legata a una determinata identità, ma a un comune obiettivo politico o sociale.

Se la politica della identità divide, la politica della solidarietà propone obiettivi collettivi che superano le divisioni di razza o di sesso, cultura o nazionalità. Ma è proprio la politica della solidarietà che è andata in pezzi, nel corso degli ultimi due decenni, con il declino della sinistra. Per molti, l’unica forma di politica collettiva rimasta è dunque quella radicata nell’identità. Da qui l’ascesa di movimenti populisti basati sull’identità. Questi movimenti spesso uniscono politiche identitarie di stampo reazionario a politiche economiche e sociali che una volta erano basilari per la sinistra: la difesa dei posti di lavoro, il sostegno dello stato sociale, l’opposizione all’austerità. Guardiamo le elezioni presidenziali francesi del prossimo anno: i due candidati che possono arrivare al secondo turno sono il candidato del centro-destra François Fillon e la candidata di estrema destra Marine Le Pen. Fillon è socialmente conservatore ed economicamente “liberale”. Vuole distruggere ciò che resta del “modello sociale” francese, tagliando la spesa pubblica e cancellando i diritti dei lavoratori. Mentre è la Le Pen che si è presentata come il campione della classe lavoratrice, nemica dell’austerità e a favore dello stato sociale.

I populisti si presentano, inoltre, anche come campioni dei diritti e delle libertà. Wilders è stato riconosciuto colpevole di “incitamento alla discriminazione” , in quanto si è rivolto a una folla di sostenitori chiedendo loro se volessero “più o meno marocchini” in Olanda. Invece di sfidare la sua chiusura mentale con le armi della politica, i liberali si accontentano di farlo condannare da un tribunale, permettendo così a Wilders di incoronarsi martire della libertà di parola, e questo nonostante le sue posizioni profondamente illiberali, tra cui la richiesta che sia proibito il Corano. Personaggi come la Le Pen e Wilders hanno conquistato terreno rivolgendosi all’elettorato abbandonato dalla sinistra. Il fallimento della sinistra nel difendere la sovranità popolare ha consentito all’estrema destra di contestualizzare questa sovranità, non in termini di solidarietà, ma nel linguaggio del nazionalismo e della chiusura mentale.

La polarizzazione ai due estremi del liberalismo e della democrazia mostra come sono stati violentemente separati gli aspetti fondamentali di una visione progressista. Coloro che giustamente deplorano l’indebolimento dei movimenti collettivi e del senso della comunità, spesso vedono il problema come legato alla immigrazione eccessiva o all’eccesso di libertà individuali. Chi ha una visione liberale in materia di immigrazione, e su altre questioni sociali, spesso è soddisfatto di una società atomizzata.

Fino a che non troveremo il modo di stabilire una nuova politica della solidarietà che associ le idee liberali sui diritti individuali e sulle libertà, compresa la libertà di movimento, ad argomenti economici progressisti e alla fiducia nella comunità e nel senso collettivo, non potremo che aspettarci dal 2018 quello che ci aspettiamo oggi dal 2017. Anzi, anche di più.

Il più recente libro di Kenan Malik è “The Quest for a Moral Compass”.


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vic
 vic
Illustrious Member
Registrato: 2 anni fa
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Bah,

letta da un unto di vista svizzero si vede una gran confusione in questo post.
La Svizzera moderna e' stata praticamente costruita dal partito liberale, che oggi si chiama PLR. Cio' successe in antagonismo col partito conservatore, oggi detto PPD.

In Ticino la figura storica del piu' grande statista locale e nazionale e' quella del liberale Stefano Franscini. Cui si deve: la scuola pubblica laica, il politecnico federale di Zurigo, 5a universita' tecnica al mondo, e infine l'istituto nazionale di statistica, che nell'800 era una grande novita'. A Franscini successe in Consiglio Federale il liberale ticinese Giovan Battista Pioda. Ricordato oggi soprattutto per l'impegno notevole con cui propugno' la realizzazione del primo tunnel ferroviario sotto il massiccio del San Gottardo. Riusci' a convincere dell'idea il neonato stato italiano di Cavour.

Nel 1900 il PLR ticinese s'e' avvicinato sempre piu' al PS, dando con cio' vigore alla propria anima socialdemocratica.

Oggi assistiamo all'imperversare della globalizzazione che si rifa' piu' al liberismo che al liberalismo. Il PLR perde lentamente consensi, come d'altronde tutti gli altri partiti storici svizzeri: PPD e PS. C'e' l'UDC, che in tempi andati era il partito dei contadini che occupa lo spazio lasciato vacante e ci sono pure i Verdi, ma con successo molto limitato.

Insomma mi chiedo se l'autore dell'articolo abbia una minima idea di cosa realizzarono i liberali in una nazione democratica come la Svizzera. Rimasta fortemente democratica per merito un po' di tutti, certamente anche dei PLR.

My 2 cents.


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