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France Telecom, suicidi in linea


Tao
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Cinque lavoratori di France Telecom si sono suicidati negli ultimi quindici giorni. La notizia è stata confermata con «costernazione e tristezza» dalla direzione della compagnia, che però precisa di «non tenere la contabilità» di questi drammi anche se, ha promesso, verranno fatti «esami approfonditi delle situazioni professionali di ognuno di questi lavoratori».

Secondo il sindacato Unsa, due persone lavoravano nella regione di Rennes, una nel nord, una a Tolosa e una nella regione parigina. «Questi lavoratori non si conoscevano - precisa la direzione - non avevano legami tra loro e lavoravano in settori distinti».
I suicidi delle ultime settimane portano a 23 il numero delle persone che si sono tolte la vita a France Telecom quest'anno. Questa ondata di suicidi fa seguito ai 35 casi del 2008-2009, che avevano sollevato una forte indignazione e avevano spinto France Telecom non solo ad allontanare Didier Lombard, il presidente che aveva osato parlare di «moda dei suicidi», sostituito da Stéphane Richard, ma anche a mettere in atto una trattativa sullo stress sui luoghi di lavoro, dopo i risultati di un questionario a cui aveva risposto più dell'80% dei 102mila dipendenti.
Nessuno dei cinque suicidi si è tolto la vita sul luogo di lavoro, come invece era successo per alcuni casi precedenti. Uno di loro, un consigliere di clientela, si è gettato da un ponte dopo aver lasciato il lavoro.

Stéphane Richard, appena arrivato alla testa di France Telecom, aveva promesso di «rimettere il fattore umano al cuore» dell'impresa. Oggi i sindacati non lo criticano direttamente ma si interrogano, invece, sulla strategia dello stato, che resta il principale azionista (26%) della compagnia di telecomunicazioni francese, privatizzata nel 2004, dopo essere stata trasformata in società per azioni nel '97. Secondo Sébastien Crozier, dell'Unsa, «lo stato ha preteso 11 miliardi di dividendi in tre anni. Questo impedisce a Stéphane Richard di avere un vero progetto industriale entusiasmante. La gente si chiede come riusciranno» a versare allo stato i dividendi richiesti.

Restano, cioè, le angosce di sempre, che hanno spinto così tanti lavoratori a togliersi la vita. Le pressioni sul lavoro continuano. Secondo il sindacalista, a questa angoscia se ne è aggiunta un'altra, recente: «La ripresa dell'autunno e l'angoscia generata dalla questione delle pensioni tra i dipendenti di France Telecom porta a dirsi che bisognerà lavorare due anni di più, rende il clima pesante». Secondo Christian Mathorel della Cgt, Stéphane Richard ha le mani legate: «Per rimettere l'umano nel cuore dell'impresa, bisogna avere i mezzi. La questione dell'occupazione e quella dei metodi di management pongono ancora problema». Secondo la Cgt «dobbiamo constatare che le prime misure prese da Stéphane Richard sono lontane dal rispondere ai bisogni di trasformazione dell'impresa». Secondo l'Unsa, l'estate è stata relativamente calma. Ma il numero di suicidi è improvvisamente cresciuto con la ripresa dell'autunno, anche perché «i responsabili della crisi morale non hanno ricevuto nessuna sanzione»: Didier Lombard, l'ex presidente, è ancora nella direzione del gruppo, anche se in un posto non operativo.

Il terremoto che ha scosso France Telecom risale al 2004, con la parziale privatizzazione. La compagnia pubblica deve affrontare la concorrenza agguerrita dei nuovi operatori. Parallelamente, è in corso una veloce rivoluzione tecnologica. Vecchi mestieri vengono spazzati via, la telefonia mobile prende il sopravvento su quella fissa, nasce il marchio Orange. Ai vecchi dipendenti, che hanno lo statuto di funzionario pubblico, viene chiesto di abbandonare la filosofia di «servizio pubblico» e sono messi sotto pressione per raggiungere una produttività da settore privato. Arrivano i giovani, assunti con contratti di diritto privato, la concorrenza interna angoscia. I manager adottano sistemi all'«americana», viene imposto un programma, il Ttm, «Time to Move», che comporta anche continui trasferimenti di posto.

I dipendenti si sentono inadeguati, giudicati, temono per il posto di lavoro, visti i licenziamenti che si abbattono per ridurre i costi. La solidarietà interna tra lavoratori si attenua.

Anna Maria Merlo
Fonte: www.ilmanifesto.it
12.09.2010


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Tao
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E se il suicidio degli imprenditori e degli operai fosse anche il segnale che che la sorte degli uomini oggi, è meno significante della sorte delle merci ?

L’articolo apparso su Repubblica col titolo "Il lavoro non è una merce" sul suicidio in un anno di 14 imprenditori nel Nord-Est a causa della crisi economica, ha suscitato in me un certo scalpore, non tanto per la comprensibile tragedia che ha accompagnato costoro fino al gesto estremo, quanto perché evidenzia che la modema economia è una scienza autonoma e amorale le cui uniche categorie sono la produzione, il suo potenziamento, il profitto. Il lavoro che ne è il motore, attraverso la figura dell'imprenditore da una parte, e il dipendente (o operaio) dall'altra, è stato subordinato a quei canoni, come pure la territorialità, che nell'attuale globalizzazione non conosce i tradizionali confini nazionali.

Tuttavia le due figure, dal punto di vista umano hanno avuto un diverso riguardo: indifferenza (se non disprezzo) per gli imprenditori, pietà e solidarietà per i dipendenti, considerati la parte più debole. Le vicende dei suicidi di cui sopra rompono questi schemi ideologici e segnano un'inversione di tendenza? Lo stesso Luciano Gallino, che interviene sull'articolo, introduce valutazioni di natura morale quali: perdita del senso dell'esistenza, senso di colpa, di vergogna, valutazioni che un tempo si tessevano non per gli imprenditori, ma per i dipendenti che peraltro non richiamavano alcuna attenzione. C'è da chiedersi se il Nord-Est non presenti ancora un capitalismo dal volto umano, dal momento che nell'era della tecnica quei suicidi non trovano una facile e congrua spiegazione.
Salvatore Zammataro, Vittorio Veneto (epydauro@tiscali. it) .

La crisi che stiamo attraversando è stata generata dall'economia finanziaria che, a differenza dell'economia industriale, non ha davanti agli occhi persone in carne e ossa, biografie, famiglie legate al reddito da lavoro, ma solo flussi finanziari, che vorticosamente si muovono per creare profitto nel minor tempo possibile. I rappresentanti di questa economia generalmente non si suicidano o, se lo fanno, è solo per il loro collasso economico a cui era legata la loro identità. Nessun pentimento e nessuna considerazione per gli effetti che la loro brama di denaro ha determinato nella vita reale di imprenditori e di operai che operano nell'economia industriale, a cui le banche, che parlano più volentieri con gli operatori della finanza che con gli imprenditori bisognosi di prestiti, hanno per giunta sottratto ossigeno.

A questa considerazione aggiungiamo il fatto che l'economia da locale o nazionale è diventata globale, con progressiva perdita delle relazioni umane e anche affettive che sono sempre esistite tra il datore di lavoro e i suoi lavoratori, quando questi mostravano competenza, professionalità, attaccamento al lavoro. La globalizzazione ha portato in primo piano il costo del prodotto che deve essere il più basso possibile perché l'impresa possa stare sul mercato. Ciò ha comportato la dislocazione della produzione con conseguente perdita dei legami territoriali che concorrono a creare e ad alimentare una sorta di familiarità tra imprenditori e lavoratori. Finanza da un lato e mercato dall'altro hanno portato in primo piano il valore delle merci e in secondo piano, quando non del tutto trascurato, il valore degli uomini. Di tutti gli uomini, siano essi imprenditori o lavoratori.

La lotta di classe, che in età umanistica opponeva i due, come ben descritto da Hegel nella dialettica "servo/signore", nell'età della tecnica finanziaria o mercantile non ha più ragione d'essere, perché sia il servo, sia il signore si trovano non più contrapposti l'uno all'altro, ma entrambi dalla stessa parte e hanno come controparte il mercato. Ma che cos'è il mercato? Non una "volontà" che si può piegare come in età umanistica era possibile piegare la volontà del signore, ma una pura e asettica "razionalità", a cui non importa la sorte degli uomini, ma la miglior circolazione delle merci e del denaro al minor costo possibile. Contro questa razionalità, che ha espulso qualsiasi considerazione umana, come si fa a opporsi, con quali strumenti e con quali possibilità di successo? Il suicidio degli operai e oggi anche degli imprenditori, oltre alla dimensione tragica di un così drammatico evento, va considerato anche a livello simbolico, e precisamente come il più evidente segnale che dice a chiare lettere come nell'età della tecnica, che ha definitivamente chiuso l'età umanistica, l'uomo non conta più niente, è qualcosa di "antiquato" come dice Günther Anders, la cui sorte non interessa minimamente a quel generatore simbolico di tutti i valori che oggi si chiama denaro.

Umberto Galimberti
Fonte: http://dweb.repubblica.it/home
10.04.2010


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Tao
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Il 18 febbraio Joe Stack, un ingegnere informatico di 53 anni, si è schiantato con un piccolo aereo contro il palazzo del fisco di Austin, in Texas, uccidendo se stesso e un’altra persona e provocando vari feriti. Prima di farlo, Stack ha scritto un manifesto contro lo stato per spiegare i motivi del suo gesto. La storia parte da quando, adolescente, viveva in miseria ad Harrisburg, in Pennsylvania, vicino a quello che un tempo era un centro industriale. La sua vicina, che aveva più di ottant’anni e si nutriva di cibo per gatti, era “la vedova di un metallurgico. Suo marito aveva sgobbato tutta la vita nelle acciaierie della Pennsylvania con la promessa che avrebbe avuto la pensione e l’assistenza medica. Invece era stato uno delle migliaia che non avevano avuto nulla, perché i manager incompetenti dell’acciaieria e i sindacalisti corrotti avevano sperperato i fondi pensione dei lavoratori e rubato le liquidazioni".

Stack allora decise che non poteva fidarsi delle grandi imprese e che si sarebbe messo in proprio, ma ben presto scoprì di non potersi fidare neanche di uno stato a cui importa solo dei ricchi e dei privilegiati. Stack attribuiva tutti questi mali a un ordine sociale in cui “bande di ladri come le case farmaceutiche e le società di assicurazioni possono commettere atrocità impensabili, sapendo che, se rischiano di rimanere schiacciati sotto il peso della loro ingordigia, il governo federale correrà in loro aiuto nel giro di pochi giorni”.

Alcuni interessanti studi sulla rustbelt, la regione industriale del nordest degli Stati Uniti, raccontano storie altrettanto scandalose di persone abbandonate senza scrupoli quando, grazie ai programmi concordati tra le industrie e lo stato, le fabbriche sono state chiuse e intere comunità sono state devastate. Chi pensa di aver fatto il suo dovere verso la società, rispettando il patto con il suo datore di lavoro e con lo stato, è facile che si senta tradito quando scopre di essere stato usato solo per ottenere profitti e potere.

Secondo uno studio della ricercatrice dell’Università di California Ching Kwan Lee, sta succedendo qualcosa di simile anche in Cina. Lee ha confrontato la disperazione dei lavoratori dei settori industriali in crisi negli Stati Uniti e di quella che chiama la rustbelt cinese, il nordest industriale della Cina, ora abbandonato perché il capitalismo di stato ha deciso di sviluppare il sudest. Nella zona industriale cinese i lavoratori si sono sentiti traditi come i colleghi statunitensi, ma nel loro caso il tradimento è stato quello dei princìpi maoisti di solidarietà e impegno sociale che pensavano fossero alla base del patto con lo stato. In tutto il paese decine di milioni di lavoratori licenziati “sono afflitti da un profondo senso di insicurezza” che suscita “rabbia e disperazione”, scrive Lee. I suoi studi sulla rustbelt statunitense ci fanno capire che non dovremmo sottovalutare l’indignazione che si nasconde dietro l’amarezza, spesso autodistruttiva, nei confronti del potere dello stato e delle imprese.

Negli Stati Uniti il movimento dei Tea parti riflette questa delusione. Il suo estremismo antifiscale non è tecnicamente suicida come la protesta di Joe Stack, ma è autodistruttivo. La California ne è un esempio drammatico. Stanno smantellando il più grande sistema mondiale di istruzione superiore pubblica. Il governatore Arnold Schwarzenegger dice che, se il governo non gli darà sette miliardi di dollari, dovrà eliminare l’assistenza sanitaria e i servizi sociali. E altri governatori stanno minacciando di fare lo stesso. Intanto un nuovo e potente movimento per i diritti degli stati chiede al governo federale di non interferire nei loro affari. Un bell’esempio di quello che in 1984 Orwell chiama “doppio pensiero”: la capacità di credere contemporaneamente in due idee contraddittorie è il marchio dei nostri tempi. Le difficoltà della California nascono in buona parte dal fanatismo antifiscale. E la stessa cosa succede anche altrove. L’ostilità contro il fisco è da tempo il tema principale della propaganda del mondo degli affari. La gente deve essere spinta a odiare e temere lo stato, per un ottimo motivo: tra i sistemi di potere esistenti, lo stato è quello che in teoria, e a volte anche in pratica, rende conto alla popolazione e può impedire ai poteri privati di depredarla.

Anche nella propaganda contro lo stato ci sono però delle sfumature. Il mondo degli affari, ovviamente, preferisce uno stato forte che lavora per le multinazionali e le istituzioni finanziarie, e le tira fuori dai guai quando distruggono l’economia. Con un brillante esercizio di doppio pensiero, i cittadini sono spinti a odiare i deficit di bilancio. Così i signori di Washington possono tagliare servizi e diritti, ma poi salvano banche e imprese. Però, al tempo stesso, non devono essere contrari a ciò che crea davvero il deficit, come le spese militari sempre più alte e l’inefficiente sistema sanitario privato.

Forse il modo in cui Joe Stack e altri come lui esprimono il loro dissenso è assurdo. Ma sarebbe opportuno cercare di capire cosa provoca le loro azioni. Perché oggi le persone che hanno ottimi motivi per lamentarsi si mobilitano in modi che mettono in serio pericolo loro e gli altri.

Noam Chomsky
Fonte: www.internazionale.it
7/13 maggio 2010 N. 845 Anno 17


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A_M_Z
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Prima di suicidarsi dovrebbero uccidere un pezzo grosso.

eccheccazzo..sprecare l'opportunità così..se non si ha niente da perdere si punisce la feccia.


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Saysana
Honorable Member
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Prima di suicidarsi dovrebbero uccidere un pezzo grosso.

eccheccazzo..sprecare l'opportunità così..se non si ha niente da perdere si punisce la feccia.

Non posso che quotare.


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