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Gli indignati preparano un'era post-istituzionale


Tao
 Tao
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I giovani accampati nella piazze di Lisbona e di Madrid indicano l'emergere di un nuovo spazio pubblico contro il sequestro della democrazia da parte delle élite

Di qui a qualche tempo le élite conservatrici europee, sia politiche sia culturali, avranno uno choc: gli europei sono gente comune e, una volta che subiscono gli stessi travagli o le stesse frustrazioni per cui sono passati altri popoli in altre regioni del mondo, anziché reagire all'europea, reagiscono come loro. Per quelle élite, reagire all'europea significa credere nelle istituzioni e agire sempre nei limiti che esse impongono. Un buon cittadino è un cittadino ben educato, e questi è uno che vive entro i limiti delle istituzioni.

Visto lo sviluppo diseguale del mondo, non è prevedibile che gli europei dovranno subire, nel breve periodo, gli stessi travagli per cui sono passati gli africani, i latino-americani o gli asiatici. Ma tutto lascia credere che si troveranno a vivere le stesse frustrazioni. Formulato in modo molto diverso, il desiderio di una società più democratica e più giusta è oggi un bene comune dell'umanità. Il ruolo delle istituzioni è quello di regolare le aspettative dei cittadini in modo da evitare che l'abisso fra quel desiderio e la sua realizzazione sia tanto grande da far toccare alla frustrazione livelli perturbatori.
Ora si può osservare un po' da tutte le parti che le istituzioni esistenti stanno svolgendo peggio il loro ruolo, e così risulta ogni volta più difficile contenere la frustrazione dei cittadini. Se le istituzioni esistenti non servono, è necessario riformarle o crearne delle altre. Finché questo non avviene, è legittimo e democratico agire al loro margine, pacificamente, nelle strade e nelle piazze. Stiamo entrando in un periodo post-istituzionale.

I giovani accampati nella piazza del Rossio a Lisbona e nelle piazze di Spagna sono i primi segnali dell'emersione di un nuovo spazio politico - la strada e la piazza - dove si discute il sequestro delle democrazie attuali ad opera degli interessi di minoranze poderose e si indicano le strade per la costruzione di democrazie più robuste, più capaci di salvaguardare gli interessi delle maggioranze.

L'importanza di questa lotta si misura con l'ira con cui le forze conservatrici si scagliano contro di loro. Gli accampati non devono essere impeccabili nelle loro analisi, esaustivi nelle loro denunce o rigorosi nelle loro proposte. Gli basta essere chiaroveggenti nell'urgenza di ampliare l'agenda politica e l'orizzonte delle possibilità democratiche, e genuini nell'ispirazione a una vita degna e sociale ed ecologicamente più giusta.

Per contestualizzate la lotta degli accampamenti e degli accampati, si impongono due osservazioni. La prima è che, al contrario dei giovani (anarchici o altro) delle strade di Londra, Parigi e Mosca dell'inizio del ventesimo secolo, gli accampati non tirano bombe né attentano contro la vita di dirigenti politici. Manifestano pacificamente per avere più democrazia. È un progresso storico notevole che solo la miopia delle ideologie e la meschinità degli interessi non permette di vedere. Nonostante tutte le trappole del liberalismo, la democrazia è penetrata nell'immaginario delle grandi maggioranze come un ideale di liberazione, l'ideale di una democrazia vera o reale. È un ideale che, se preso sul serio, costituisce una minaccia fatale per coloro a cui il denaro o la posizione sociale ha consentito di manipolare impunemente il gioco democratico.

La seconda osservazione è che i momenti più creativi della democrazia raramente si sono vissuti nelle aule parlamentari. Si sono vissuti nelle strade, dove i cittadini indignati hanno forzato i cambiamenti di regime o l'ampliamento dell'agenda politica. Fra molte altre domande, gli accampati esigono la resistenza alle imposizioni della troika perché la vita dei cittadini abbia la priorità sui profitti dei banchieri e degli speculatori; il rigetto o la rinegoziazione del debito; un modello di sviluppo sociale ed ecologicamente giusto; la fine della discriminazione sessuale e razziale e della xenofobia contro gli immigrati; la non privatizzazione dei beni comuni dell'umanità, come l'acqua, o dei beni pubblici, come le poste; la riforma del sistema politico per renderlo più partecipativo, più trasparente e più immune alla corruzione. Pensando di scrivere un articolo sulle elezioni in Spagna e Portogallo, alla fine non ho parlato di elezioni. Non ho parlato?

Boaventura de Sousa Santos (sociologo, è uno dei fondatori del Forum sociale mondiale)
Fonte: www.ilmanifesto.it
13.06.2011


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MicheleMorini
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