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Grecia, Italia e Spagna: inadatte all'euro


jamesly
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Per quanto i politici italiani e spagnoli si affrettino nel negarlo, è indubbio che vi siano grandi somiglianze tra la Grecia e gli altri membri del Club Med – vale a dire i Paesi della “periferia sud” dell’eurozona. In primis, questi Paesi vi sono entrati con delle condizioni storiche e macro-economiche tutto sommato similari: sono Paesi con storie politiche turbolente, in cui le componenti socialiste e nazionaliste hanno avuto un forte impatto sui sistemi politici e sulle carte costituzionali, dotati di una cultura di tipo mediterraneo in cui storicamente l’efficienza della pubblica amministrazione non è stata al top delle preoccupazioni dei legislatori e dei comuni cittadini. Di conseguenza, le loro economie hanno fatto uso disinvolto della leva costituita dalla spesa pubblica e dal debito (con l’eccezione parziale della Spagna, che prima della crisi aveva un debito pubblico molto ridotto) in presenza di una moneta sovrana a cambio flessibile – oppure oscillante all’interno di una banda fissa prestabilita.
Di solito, gran parte degli economisti sono tentati dalla carta del moralismo: questi Paesi sono stati poco propensi a dotarsi di meccanismi di mercato, hanno preferito piuttosto aumentare la spesa pubblica e il deficit associato, e quindi non sono nelle condizioni di negoziare e nemmeno – almeno nel caso greco – di avere una sovranità politica. Nella visione tecnocratica, l’euro, prima di una moneta unica, è stato uno strumento di normalizzazione e di redenzione dopo anni di sbornia.
Questa è certamente una visione che ha un suo fascino, specie presso un pubblico poco addentro alle questioni economiche o che ama sentirsi dire che uno squilibrio nasce sempre da comportamenti “immorali”. Tuttavia, non è una narrazione esatta per vari motivi: ignora, appunto, la storia travagliata di questi Paesi, che sono entrati repentinamente nella modernità e, di conseguenza, al fine di creare benessere diffuso in tempi brevi hanno dovuto usare il settore pubblico come “valvola di sfogo” per creare occupazione.
Sarebbe poi comico accusare questi Paesi di essersi indebitati troppo senza contemporaneamente accertare il fatto che ci sono stati anche dei creditori irresponsabili – come ad esempio molte banche tedesche – che hanno inondato di euro le inefficienti economie greche e spagnole, alimentando l’esplosione del debito pubblico e del debito privato. In terzo luogo, le politiche austere sarebbero state credibili se fossero state richieste e implementare a partire dal 1999 (anno dell’effettiva nascita dell’euro), e non dopo lo scoppio della crisi globale. Aver implementato le politiche d’austerità in tempi di recessione è stato un errore macroscopico, foriero di disoccupazione alle stelle e di (per ora) moderata deflazione.
Vi è infine un difetto strutturale di enormi proporzioni: l’eurozona non ha vie d’uscita, non c’è un processo chiaro che permetta a uno Stato membro di imboccare un’onorevole abbandono della scena. Per scoraggiare colpi di testa, si usa uno stratagemma intimidatorio: un Paese in default tecnico che dovesse o volesse uscire dall’euro, sarebbe obbligato subito a farsi espellere dall’UE. E’ evidente che così non funziona: l’euro è come un bellissimo edificio attraente e riccamente decorato, ma che non presenta nemmeno un’uscita di sicurezza. Il vulnus scaturito dalla mancanza di una procedura chiara di uscita dall’eurozona provoca un paradosso: quando un Paese è nelle condizioni di non pagare il proprio debito cumulato, e si trova in uno stato di bancarotta parziale, esso rischia di dover uscire dall’unione confederale.
Con il senno di poi, si può dire tranquillamente che l’ingresso affrettato nell’euro di alcune economie mediterranee – Grecia e Portogallo in primis, ma anche Spagna e Italia – sia stato un errore: questi Paesi non erano pronti, e probabilmente non sono adatti, a un sistema monetario a guida tedesca basato su bassa inflazione, controllo “militare” della spesa e indipendenza della Banca centrale. Tuttavia, come ha detto il Ministro greco Yanis Varoufakis, l’euro è come un transatlantico in fiamme, che si trova a più di metà del viaggio, diretto verso l’America: è molto più facile ormai cercare di raggiungere la costa che tornare indietro.

Fonte: http://www.rivistaeuropae.eu/economia/grecia-spagna-italia-inadatte-alleuro/


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CAzioppo
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Sei troooopppo intelligente


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annibale51
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Mah...io ho un dubbio: E' la moneta che sviluppa l' economia o è l' economia che dà valore alla moneta? Pensare di poter sviluppare l' economia perché si cambia moneta è da FOLLI! (vedi Argentina). Come pensare di sconfiggere i carri armati con la cavalleria. L' Euro così com' è (il marco tedesco) è semplicemente il mezzo in mano alle economie forti del nord Europa per sfruttare le economie deboli del sud Europa. I paesi forti diventeranno sempre più ricchi a scapito dei paesi più deboli. L' Euro al posto dei panzer...prima si favorisce l' indebitamento dei paesi a economia debole con una moneta forte...poi si derubano tali pasi delle loro ricchezze. Come dei semplici cravattari. Ciao a tutti!


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annibale51
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Nel frattempo i paesi ad economia debole tenderanno a determinare un valore alla moneta basso favorendo ancor di più i paesi ad economie forti che si troveranno sempre più competitivi nei mercati internazionali. E' indubbio che il valore dell' Euro senza le incertezze e le debolezze di bilancio dei paesi meridionali sarebbe probabilmente il doppio...Bisognerebbe ricordarlo a Varoufakis.


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Anonymous
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Sei troooopppo intelligente

Mi faresti una sintesi di quello che ha scritto?


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