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Halevi - Il caso Giappone, un'economia in bilico


Tao
 Tao
Illustrious Member
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Ieri il governo nipponico ha varato un pacchetto di 27 mila miliardi di yen, pari a circa 207 miliardi di euro, per stimolare l'economia. E' la seconda volta da agosto, quando vennero stanziati 11 mila miliardi di yen, che Tokyo adotta misure di rilancio. Contrariamente agli Usa ed all'Unione europea, il sistema bancario giapponese non è esposto alla crisi dei prodotti derivati, delle sintetiche ecc. La deflazione da debito l'aveva già sperimentata per oltre un decennio ed era dovuta a due eventi. Il primo fu lo scoppio nel 1992 della grande bolla speculativa gonfiatasi dal 1987 in poi che portò l'indice della borsa valori Nikkei a 38000 punti. Attualmente viaggia sugli 8500. Il secondo evento fu la crisi asiatica del 1997-98. Allora le banche nipponiche si lanciarono in prestiti verso le economie circostanti le cui monete, legate al dollaro, erano in forte rivalutazione nei confronti dello yen. Ciò discendeva dalla politica Usa post giugno 1995 di innalzare i saggi di interesse per rivalutare il dollaro al fine di salvare le posizioni in dollari - e quindi il debito Usa - delle società nipponiche. Queste infatti stavano soffocando per via della svalutazione del dollaro che imperò dal 1985 al 1995 e che causò appunto la bolla speculativa nipponica del 1987-92.

Il cambiamento di rotta della Federal Reserve nel giugno del 1995 creò una bolla di ricchezza monetaria nei paesi asiatici per via del lor collegamento col dollaro. La bolla scoppiò nel 1997-98 e le banche nipponiche si trovarono scoperte. Una volta rimesse interamente in piedi dal governo le banche sono state molto attente, benché abbiano agito da trasmettitore del carry trade dello yen (negli anni novanta la Bank of Japan aveva azzerato i tassi per combattere la stagnazione permettendo così alle società finanziarie di indebitarsi in yen ed investirli in buoni e titoli in paesi con tassi di interesse molto più alti, tra gli altri coinvolgendo proprio l'Islanda e l'Ungheria, ora in crisi totale).

In base alla decennale esperienza della stagnazione le misure appena varate da Tokyo devono essere prese con molta prudenza e scetticismo. Qualsiasi soluzione dell'attuale crisi economico-finanziaria internazionale deve, nei fatti, poggiarsi sul confronto tra due schieramenti: quello dei creditori formato da Cina, Giappone, paesi petroliferi e Russia e per certi versi Eurolandia; quello dei debitori formato essenzialmente dagli Usa. Tokyo dovrebbe far quindi parte della soluzione del problema. Invece è un'economia in bilico. Strutturalmente il Giappone è un esempio vivente del capitalismo teorizzato da marxisti come Hilferding, Lenin e Luxemburg. Il settore dei beni di investimento ed i settori dell'auto e dell'elettronica sono talmente ampi che nessun rilancio interno può assorbire in maniera soddisfacente le capacità produttive eccedentarie. Il Giappone può beneficiare di una politica di rilancio purché il resto del mondo lo faccia per lui rilanciando la domanda delle sue esportazioni. Altre possibilità non ve ne sono. Negli anni 80 l'espansione dell'economia nipponica dipendeva dalle esportazioni nette; nei 90, quelli della stagnazione, le esportazioni nette, la pavimentazione dei fiumi e cose simili, hanno permesso al Giappone di fare il morto a galla, nulla più. Poi la fame di macchinari proveniente dalla Cina e gli investimenti diretti nipponici in quel paese hanno riattivato il nesso tra esportazioni e crescita interna, sebbene in forma debole.
Adesso Tokyo perde esportazioni, sia perché la Cina di fatto persegue una politica di sostituzione delle importazioni, sia perché la crisi finanziaria lo colpisce due volte. La caduta della crescita nella domanda Usa ed europea riduce le esportazioni. Queste sono penalizzate anche dalla rivalutazione dello yen nei confronti del dollaro e quindi dell'iperapprezzamento nei confronti dell'euro. Lo yen sale perché la crisi finanziaria sta sgretolando il carry trade ed i capitali, gestiti dalle banche nipponiche stanno rientrando al loro sicuro porto di approdo. L'alto valore dello yen sta preoccupando anche i G7 che hanno emesso un comunicato pieno di paura. E la situazione del 1995 può infatti ripetersi in forma aggravata, cioè senza l'aiuto della crescita Usa.

Joseph Halevi
Fonte: www.ilmanifesto.it
Link: http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/02-Novembre-2008/art21.html
2.11.08


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